Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30790 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. III, 30/12/2011, (ud. 19/10/2011, dep. 30/12/2011), n.30790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15062-2009 proposto da:

M.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CANINO 21, presso lo studio dell’avvocato MOLEA

VITTORIO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti ammesso

al beneficio del gratuito patrocinio;

– ricorrente –

contro

ORDINE PSICOLOGI LIGURIA (OMISSIS) in persona del Presidente in

carica del Consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Liguria dott.

C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ASIAGO N. 8/2,

presso lo studio dell’avvocato VILLANI LUDOVICO FERDINANDO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCONI ALBERTO giusta

delega in atti;

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE GENERALE REPUBBLICA CORTE SUPREMA CASSAZIONE ROMA,

PROCURATORE GENERALE REPUBBLICA CORTE APPELLO GENOVA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 27/2009 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 03/04/2009 R.G.N. 17/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/10/2011 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;

udito l’Avvocato VITTORIO MOLEA;

udito l’Avvocato LUDOVICO FERDINANDO VILLANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con provvedimento in data 26.4.2004 l’Ordine degli Psicologi della Liguria respingeva la domanda di iscrizione del dottor M. Consiglio per carenza del requisito della condotta moralmente irreprensibile, stante la sussistenza a suo carico di più di sessanta condanne penali nonchè per l’esistenza di una condanna per esercizio abusivo della professione di psicologo, e tutto in contrasto con la L. n. 56 del 1989, art. 7, lett. b (ordinamento della professione di psicologo).

Il M., con ricorso al Tribunale di Genova depositato il 27.7.2004, impugnava detto provvedimento (deducendo che l’Ordine non aveva il potere di sindacare l’intervenuta riabilitazione penale e che il reato di abusivo esercizio della professione non rilevava agli effetti di detto art. 7 della L. cit.).

L’adito Tribunale di Genova con sentenza in data 23.12.2004, annullava la delibera e dichiarava il diritto del M. all’iscrizione all’albo professionale; detto Tribunale riteneva non configurabile il requisito della buona condotta in quanto non previsto dall’art. 7 in questione. A seguito del ricorso con cui l’Ordine proponeva reclamo avverso la suddetta decisione (deducendo che il requisito della condotta irreprensibile o specchiata è espressione di un principio generale valido per tutti gli ordini professionali ed inoltre che è erroneo riconoscere ai provvedimenti di riabilitazione penale, come accaduto nel caso di specie, effetti in relazione alla valutazione della condotta per l’iscrizione all’Albo professionale), la Corte d’ Appello di Genova, con la decisione in esame, depositata in data 3.4.2009, in accoglimento del reclamo, respingeva il ricorso del M. contro la Delib.

Consiglio Ordine Psicologi 26 aprile 2004. Ricorre per cassazione il M. con sei motivi, e relativi quesiti; resiste con controricorso l’Ordine, che ha altresì depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo e secondo motivo si deduce violazione della L. n. 897 del 1938, art. 2 in relazione alla L. n. 56 del 1989, art. 7, lett. b in ordine alla ritenuta sussistenza nel caso di specie del requisito della buona condotta. Con il terzo motivo si deduce contraddittoria pronuncia sul decisivo punto di detta ritenuta insussistenza, con particolare riferimento all’omessa considerazione della concessa riabilitazione.

Con il quarto motivo si deduce ancora violazione di detto art. 7, lett. b. non fissando detta norma criteri di discrezionalità ma formulando invece ipotesi tassative. Con il quinto motivo si deduce erronea valutazione dell’art. 445 e.p.p. in ordine al ritenuto passaggio in giudicato di sentenze di condanna in quanto detta norma prevede la non configurabilità di alcuna condanna dopo il patteggiamento e l’estinzione del reato.

Con il sesto motivo, infine, si deduce omessa pronuncia in relazione all’art. 444 c.p.p. riguardo a quanto dedotto nel quinto motivo.

Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte doglianze.

Lo stesso infatti, pur sulla base di plurimi motivi, da esaminarsi congiuntamente, censura la decisione impugnata con riferimento alla essenziale ratio decidendi della ritenuta insussistenza dei requisiti per l’iscrizione all’albo professionale degli psicologi, da parte del M., con particolare riferimento alla mancanza del generale presupposto della buona condotta, anche per avere lo stesso riportato numerose condanne penali; il ricorrente tende quindi ad un’ulteriore valutazione, non consentita nella presente sede di legittimità, di circostanze di fatto ed elementi documentali. In particolare, questa Corte osserva che il requisito della buona condotta per l’iscrizione a qualsiasi albo professionale, ivi compreso ovviamente l’albo degli psicologi in questione, deve ritenersi, al di là di specifiche e dettagliate previsioni nei singoli albi, ineludibile principio di carattere generale: non solo rileva in proposito la previsione normativa di cui alla L. n. 897 del 1938, art. 2 (secondo cui “coloro che non siano di specchiata condotta morale e politica non possono essere iscritti negli albi professionali, e, se iscritti debbono esserne cancellati, osservate per la cancellazione le norme stabilite per i procedimenti disciplinari”), di cui costituiscono esplicito “richiamo” la L. n. 56 del 1989, art. 7 e art. 26, comma 3, (riguardanti l’albo degli psicologi) ma detta previsione è ulteriormente rafforzata dalla clausola generale di correttezza, rinvenibile nel nostro ordinamento, da un punto di vista civilistico, nell’art. 1175 c.c. e da un punto di vista ordinamentale ancor più ampio nella portata ” sociale” della nostra Carta costituente, fondata, tra l’altro, sul principio di solidarietà ex art. 2 Cost..

Infine, priva di pregio è la censura sulla rilevanza o meno del passaggio in giudicato delle sentenze penali di condanna ai fini dell’iscrizione nell’albo professionale; risponde a principi di ovvietà e di logica ritenere non sussistente, come ritenuto dai giudici di secondo grado, la buona condotta in questione sulla base di comportamenti penalmente rilevanti (che anno indotto il M. a patteggiare la pena) prescindendo dal requisito formale di una sentenza definitiva.

Condivisibile quindi, sul punto, è quanto asserito dalla Corte di merito sul punto, ritenendo che “ciò che rileva agli effetti della valutazione dei requisiti per l’iscrizione all’albo sono, quindi i fatti per cui è intervenuta la condanna in sede penale, considerati agli effetti dell’esercizio della professione, ed al fine di escuterne la rilevanza a tali fini non è di per sè dirimente il requisito, pur, richiesto dalla legge professionale, dell’intervenuta riabilitazione …”.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese presente fase che liquida, in favore dell’Ordine, in complessivi Euro 2.600,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre spese generali ed accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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