Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3079 del 06/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/02/2017, (ud. 24/11/2016, dep.06/02/2017),  n. 3079

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4184-2016 proposto da:

D.C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO OJETTI

114, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ANTONIO CAPUTO,

rappresentata e difesa dagli avvocati SALVATORE TROPEA e VINCENZO

MARADEI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, (già INA ASSITALIA – ASSICURAZIONI D’ITALIA

SPA), nella qualità di impresa designata per le controversie di

competenza del Fondo Garanzia Vittime della Strada, in persona del

Procuratore speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato VALENTINO

FEDELI, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

AVIVA ITALIA SPA, D.Z.F., A.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1852/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 27/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2016 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

udito l’Avvocato RAFFAELLA SCUTTERI, per delega dell’Avvocato

VINCENZO MARADEI che si riporta agli scritti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. è stata depositata la seguente relazione:

“1. Con sentenza resa in data 27/12/2014, la Corte d’appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la condanna di D.Z.F., A.G. e della Aviva Italia s.p.a. al risarcimento dei danni subiti da D.C.P. a seguito di un sinistro stradale (coinvolgente, tra gli altri, anche la Generali Italia s.p.a., quale impresa designata per il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada), determinandone l’importo in una misura inferiore a quella liquidata dal primo giudice su istanza della D.C..

2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione Patrizia D.C. sulla base di due motivi d’impugnazione.

3. Resiste con controricorso la Generali Italia s.p.a., che ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità, ovvero per il rigetto dell’impugnazione.

4. Nessuno dei restanti intimati ha svolto difese in questa sede.

5. Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto appare destinato ad essere dichiarato inammissibile.

6. Con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2054 c.c., nonchè per arbitraria ed erronea interpretazione delle risultanze probatorie (in relazione agli artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente interpretato l’art. 2054 c.c.atteso che dai dati emersi ad esito dell’istruttoria era emersa l’esatta dinamica del sinistro e del relativo responsabile, con la conseguente impossibilità di procedere all’applicazione della norma richiamata.

Le stesse risultanze probatorie, peraltro, avevano smentito la sussistenza dei presupposti in fatto indicati da entrambi i giudici del merito a fondamento della ritenuta carenza di legittimazione passiva della società designata dal Fondo di Garanzie per le Vittime della Strada, nonchè la sussistenza dei presupposti della ritenuta corresponsabilità della ricorrente nella causazione del sinistro oggetto di esame.

7. Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè per arbitraria interpretazione delle risultanze probatorie (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per essersi la corte territoriale immotivatamente discostata dalle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio nominato ai fini della quantificazione dell’entità dei danni subiti dalla ricorrente a seguito del sinistro.

8. Entrambi i motivi sono inammissibili.

Con riguardo alle censure dedotte dalla ricorrente sotto il profilo della violazione di legge, osserva il relatore come la D.C. – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge – alleghi un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171).

Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, rubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, nonchè dei fatti di causa ritenuti rilevanti.

Si tratta, come appare manifesto, di argomentazioni critiche con evidenza dirette a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.

Ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione dei fatti giuridicamente rilevanti, sui quali la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892).

9. Quanto invece ai paventati vizi motivazionali denunciati dalla D.C., osserva il relatore come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianze della ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede.

10. Si ritiene, pertanto, che il ricorso vada trattato in camera di consiglio per essere dichiarato inammissibile”;

2. La ricorrente ha presentato memoria ex art. 380-bis c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione trascritta e di doverne fare proprie le conclusioni, tenuto altresì conto della totale inidoneità delle considerazioni critiche illustrate nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. a incidere sulla relativa correttezza nonchè sull’integrale condivisibilità degli apprezzamenti in essa contenuti.

4. Il ricorso dev’essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00, per spese, oltre agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile -3, il 24 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2017

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