Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30786 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 28/11/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 28/11/2018), n.30786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina M. – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Robert – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21274/2011 R.G. proposto da:

V.R. rappresentato e difeso giusta delega in atti dal

prof. avv. Francesco D’Ayala Valva con domicilio eletto presso

quest’ultimo in Roma, viale Parioli n. 43;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 105/14/10 depositata il 11/08/2010, non notificata;

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del sostituto

procuratore generale De Matteis Stanislao che ha chiesto il rigetto

dei motivi dal primo al quarto e l’accoglimento dei motivi dal

quinto

all’ottavo, con dichiarazione di assorbimento dei successivi;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

25/10/2018 dal consigliere Dott. Succio Roberto.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello del contribuente confermando la pronuncia di primo grado che ha statuito legittimità degli avvisi di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA 2001 e 2002 a suo tempo impugnati;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione il contribuente con atto affidato a tredici motivi; resiste con controricorso l’Amministrazione Finanziaria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 42, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR illegittimamente ritenuto legittimi gli atti impugnati, fondati sulle risultanze delle indagini finanziarie, sebbene difettosi di allegazione della prescritta autorizzazione al loro svolgimento; analoga censura è svolta con il secondo motivo di ricorso, diretta in questo caso a censurare sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’operato della CTR che ha ritenuto di non dover direttamente verificare l’esistenza in atti di copia delle ridette autorizzazioni;

– i motivi possono trattarsi congiuntamente, stante la loro stretta connessione, e sono infondati;

– per vero, il secondo motivo risulta anche inammissibile, in quanto alla luce di quanto eccepito, avrebbe dovuto esser formulato quale censura motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 5;

– come questa Corte ha ritenuto (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3628 del 10/02/2017), in tema di accertamento dell’Iva, l’autorizzazione prescritta del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7 (nel testo applicabile “ratione temporis”), ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie, esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti tra uffici, e non richiede alcuna motivazione, sicchè la sua mancata allegazione ed esibizione all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente;

– orbene, è pacifico in atti (anche in ricorso) che l’autorizzazione in parola è stata a suo tempo regolarmente concessa ed è stata prodotta in causa, e reca il n. 19663;

– con riferimento poi al difetto di autorizzazione all’esame dei conti correnti intestati al coniuge del contribuente, sebbene essa in concreto non sia mai stata prodotta, trova nondimeno applicazione alla presente fattispecie quella giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 9480 del 18/04/2018) in tema di accertamento, la mancanza di autorizzazione alle indagini bancarie rende le stesse illegittime ove si sia tradotta in un concreto pregiudizio per il contribuente, in conformità alla concezione sostanzialistica dell’interesse del privato alla legittimità del provvedimento amministrativo, espressa, in via generale, della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies; e ancora si è precisato sul punto come (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13353 del 28/05/2018) in tema di IVA, la mancanza dell’autorizzazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7, ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia delle movimentazioni dei conti bancari, non implica, in assenza di previsioni specifiche, l’inutilizzabilità dei dati acquisiti, salvo che ne sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente ovvero venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale dello stesso, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio, in quanto detta autorizzazione attiene solo ai rapporti interni ed in materia tributaria non vige il principio, invece sancito dal c.p.p., dell’inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita;

– come si evince dal ricorso, tal concreto pregiudizio (al quale rimanda anche la giurisprudenza citata dal ricorrente a pag. 177 del proprio atto) nel presente caso non è stato nè eccepito, nè dedotto altrimenti;

– il terzo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza gravata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR in violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, omesso l’esame di una domanda, fatto o punto decisivo della controversia quale la illegittimità dell’atto impugnato in quanto fondato sull’applicazione retroattiva della L. n. 11 del 2004, art. 1, comma 402, relativo alla presunzione della natura reddituale dei prelevamenti operati dai professionisti sui conti bancari; il quarto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in sostanza per le medesime ragioni di cui al precedente motivo, sotto il profilo della violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– i motivi sono strettamente connessi tra loro, ed è quindi possibile procedere al loro esame congiunto;

– gli stessi, alla luce dello ius superveniens e nel rispetto del giudicato costituzionale di cui si dirà formatosi nella disciplina vigente in materia, sono fondati con le precisazioni che seguono;

– come questa Corte anche di recente ha avuto modo di precisare (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22931 del 26/09/2018), in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicchè questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti; tutto ciò ferma restando la legittimità della imputazione a compensi delle somme risultanti da operazioni bancarie di versamento (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 6093 del 30/03/2016; Sez. 5, Ordinanza n. 16697 del 9/08/2016; Sez. 5, Ordinanza n. 2432 del 31/01/2017);

– sul punto, quindi, la sentenza deve essere cassata, dovendo il giudice del rinvio, in sede di nuovo esame del fatto, fare applicazione della disposizione in esame nel rispetto della sentenza della Consulta di cui si è detto;

– come è noto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7057 del 28/07/1997; Sez. 1, Sentenza n. 4766 del 14/05/1999) le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall’origine la validità e la efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche “consolidate” per effetto di eventi che l’ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudicato, l’atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza;

– il quinto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51,D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo la CTR esaminato una per una le singole movimentazioni bancarie in contestazione, ma avendole prese in esame e valutate solo nel loro complesso, maturando un convincimento complessivo di tipo induttivo-sintetico;

– il sesto motivo formula analoga censura sotto il diverso profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo la CTR risposto alle analitiche giustificazioni di ogni singola operazione fornite dal contribuente nei precedenti gradi di giudizio;

– il settimo motivo svolge analoga censura sotto il diverso profilo della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la CTR reso sul punto una motivazione solo apparente;

– l’ottavo motivo svolge analoga censura sotto il diverso profilo del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non avendo la CTR adeguatamente motivato analiticamente in ordine alla fondatezza della pretesa tributaria portata da ciascuna movimentazione bancaria contestata, fondandosi unicamente sulla complessiva inattendibilità delle motivazioni addotte dal contribuente a sostegno delle proprie giustificazioni delle singole operazioni;

– i quattro sopra esposti motivi possono trovare trattazione congiunta, in quanto sostanzialmente costituenti frammentazione di una sola censura, previo assorbimento dei motivi quinto, sesto e settimo nell’ottavo motivo;

– gli stessi sono complessivamente fondati nei termini di cui al prosieguo;

– dalla lettura della sentenza si rileva come il rimando in essa operato a una generale inattendibilità e al difetto di prova delle giustificazioni addotte dal contribuente (punto n. 4 e 5 della sentenza della CTR) sia in realtà indice di una valutazione della prova – e della conseguente motivazione sull’esito di ciascuna contestazione dell’Amministrazione, nel confronto con le difese del contribuente – del tutto priva della necessaria analiticità;

– in sentenza invero si fa riferimento al fatto che il contribuente, secondo la ricostruzione offerta da questi nel processo, prestava continuamente denaro a terzi, senza interessi; tali somme erano restituite secondo modalità (in parte in contanti e in parte in assegni) del tutto inusuali; le cifre delle rate restituite non erano arrotondate; in alcuni casi vi erano due rimborsi al giorno;

– ancora, si osserva come in alcuni casi erano movimentate somme di denaro in contanti anche per importi superiori ai 10.000 Euro; non erano ritenute poi credibili giustificazioni relative a rimborsi per anticipazioni di spese di viaggio o di imposte anticipate per conto dei clienti;

– quanto poi alle movimentazioni riferite al conto intestato alla moglie del contribuente, la CTR ha ritenuto non giustificate le operazioni qualificate come prestito (di Lire 6.000.000) dal contribuente alla di lui moglie; come finanziamento di un prestito da fare a un terzo (per Euro 10.500,00), come compenso pagato dal contribuente alla moglie per il lavoro prestato come casalinga;

– tutti questi elementi mostrano come la CTR abbia esaminato le movimentazioni secondo categorie, o per gruppi di operazioni, senza però individuarle quanto a natura (versamenti di contanti, versamento di assegni, operazioni fuori conto, e quant’altro) e importo, difettando quindi la sua indagine di sufficiente analiticità;

– in tal senso si è espressa questa Corte (Cass. Sent. Sez. 5 Num. 26111/2015) ritenendo che debbano essere indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 26692 del 06/12/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 20199 del 24/09/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 16650 del 29/07/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 26173 del 06/12/2011

– con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in materia di imposte sui redditi; id. Sez. 5, Sentenza n. 15217 del 12/09/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 1418 del 22/01/2013; id. Sez. 5, Ordinanza n. 6595 del 15/03/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 21303 del 18/09/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 20668 del 01/10/2014); a fronte di tale analiticità nella deduzione del mezzo di prova da parte del contribuente deve infatti corrispondere speculare analiticità da parte del giudice nell’esaminare quanto dedotto e documentato;

– il nono motivo censura la gravata sentenza per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo il giudice di appello esercitato il potere di acquisizione della prova documentale bancaria relativa alle operazioni di finanziamento poste in essere dal contribuente, giustificative delle movimentazioni restitutorie sotto forma di ordine di esibizione di tali documenti agli istituti di credito; il decimo motivo svolge analoga censura sotto il profilo del vizio di motivazione; l’undicesimo motivo denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51,D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, artt. 2702 e 2703 c.c., art. 272 c.c., n. 4, art. 2729 c.c. e art. 116 c.p.c. tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo la CTR considerato come fornita da parte del contribuente adeguata prova contraria (sia pur nella situazione non per sua colpa difettosa quanto a documentazione a sue mani per quanto sopra detto) della pretesa di maggior imposta;

– i motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati;

– come questa Corte ha già ritenuto (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14244 del 08/07/2015) in tema di contenzioso tributario, il giudice tributario non è obbligato ad esercitare “ex officio” i poteri istruttori di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, salvo che non sussista il presupposto dell’impossibilità di acquisire la prova altrimenti, come nel caso in cui una delle parti non possa conseguire documenti in possesso dell’altra;

– ancora, si è precisato che (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 955 del 20/01/2016) del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7,attribuisce al giudice tributario il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova non per sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma soltanto in funzione integrativa degli elementi di giudizio, il cui esercizio è consentito ove sussista una situazione obiettiva di incertezza e laddove la parte non possa provvedere per essere i documenti nella disponibilità della controparte o di terzi; si tratta quindi di un potere istruttorio in funzione integrativa, e non integralmente sostitutiva, degli elementi di giudizio (Cass. n. 673 del 2007; e n. 955 del 2016); potere integrativo che in quanto discrezionale resta tale quanto al suo esercizio;

– tale esercizio, pertanto, così come lo speculare mancato esercizio, deve essere adeguatamente motivato (v. Cass. Civ., Sez. 5, n. 673 del 2007); nel caso di specie, sussiste idonea motivazione in ordine alle ragioni che hanno indotto il giudice del merito a non esercitare detti poteri;

– con il dodicesimo motivo, poi, parte ricorrente chiede poi a questa Corte di sollevare questione di costituzionalità, in via subordinata, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51,D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e art. 7, commi 1 e 4, artt. 2702,2702 e 2724 c.c., n. 2, art. 2729 c.c. e art. 116 c.p.c. in relazione agli artt. 3,24,53,111 e 117 Cost.e formula anche questione di legittimità comunitaria della medesima disciplina in relazione all’art. 6 CEDU, chiedendo la disapplicazione delle disposizioni illegittime, ovvero la loro interpretazione adeguatrice alla luce delle previsioni sopraordinate, ovvero il rinvio pregiudiziale della questione relativa al loro contrasto con il diritto superiore;

– per le ragioni sopra esposte, il motivo de quo risulta assorbito nella decisione riguardanti i precedenti motivi;

– il tredicesimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 7 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR ritenuta legittima l’utilizzazione – al fine di rideterminare il reddito del contribuente delle risultanze del conto bancario intestato al coniuge senza aver ritenuto necessarie prove o almeno evidenze indiziarie della riferibilità nei fatti di tal conto al contribuente;

– il motivo è infondato;

– in linea di principio, questa Corte ha fermamente ritenuto che (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26173 del 06/12/2011) in tema di accertamento dell’imposta sui redditi, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 7 (nel testo vigente “ratione temporis”), secondo cui gli Uffici finanziari e la Guardia di Finanza, previa autorizzazione degli organi a ciò deputati, possono richiedere copia dei conti intrattenuti con il contribuente, non prevede alcuna limitazione all’attività di indagine volta al contrasto dell’evasione fiscale, circoscrivendo l’analisi ai soli conti correnti bancari e postali o ai libretti di deposito intestati esclusivamente al titolare dell’azienda, in quanto l’accesso ai conti intestati formalmente a terzi, le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società delle somme movimentate sui conti intestati al coniuge del contribuente, ben possono essere giustificati da alcuni elementi sintomatici come il rapporto di stretta contiguità familiare, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, l’infedeltà della dichiarazione e l’attività di impresa compatibile con la produzione di utili, incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova che le ingenti somme rinvenute sui conti dei familiari dell’amministratore non siano ad essa riferibili;

– e nel particolare caso che ci occupa, come si evince dalla sentenza impugnata, la moglie del contribuente risultava sprovvista di rediti propri;

– con il quattordicesimo motivo il ricorrente chiede a questa Corte di sollevare questione di costituzionalità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione agli artt. 3,24,53,111 e 117 Cost., poichè l’estensione della presunzione legale relativa ai compensi anche per le operazioni poste in essere sul conto del coniuge del contribuente sarebbe in contrasto con le sopra richiamata disposizioni costituzionali;

– il motivo è infondato e la questione risulta inammissibile in quanto manifestamente infondata per le ragioni illustrate in sede di decisione del dodicesimo analogo motivo;

– il quindicesimo motivo, infine, con il quale si chiede a questa Corte di sollevare questione di legittimità comunitaria del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, o in alternativa di procedere ad interpretazione adeguatrice delle sopradette disposizioni, o ancora in estremo subordine si chiede il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia in relazione all’art. 6 CEDU, sotto il profilo dell’eccesso di difficoltà della prova contraria gravante sul contribuente, risulta infondato per le ragioni – pure – illustrate in sede di rigetto del dodicesimo motivo;

– per le sopra esposte ragioni, debbono quindi essere accolti il terzo, quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo motivo; il dodicesimo motivo è assorbito nella decisione dei motivi precedenti; vanno rigettati i restanti motivi e le rimanenti istanze ed eccezioni.

P.Q.M.

accoglie i motivi dal terzo all’ottavo; dichiara assorbito il dodicesimo motivo di ricorso; rigetta tutti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata limitatamente a quanto in motivazione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione, che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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