Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30784 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 28/11/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 28/11/2018), n.30784

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M. G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19294-2011 R.G. proposto da:

ALENPA IMMOBILIARE s.r.l. in persona del suo legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa giusta delega in atti dagli

avv.ti Giovanni Balbi e Rosamaria Ciancaglini con domicilio eletto

presso quest’ultima in Roma, alla via Bergamo n.43;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

e contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 173/41/10 depositata il 28/05/2010, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

25/10/2018 dal consigliere Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– va preliminarmente dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in quanto sprovvisto di legittimazione passiva;

– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello del contribuente e confermando quindi la legittimità dell’avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA 2004 a suo tempo impugnato;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione la società ALENPA IMMOBILIARE s.r.l. con atto affidato a quattro motivi; resiste con controricorso l’Amministrazione Finanziaria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la CTR tenuto in conto nè spiegato le ragioni in forza delle quali essa non ha condiviso o rigettato le valutazioni di cui alla perizia giurata a firma del Geom. P., perizia peraltro il cui contenuto non risulta trascritto in ricorso;

– il motivo è infondato; dalla lettura della sentenza gravata è chiaro come il giudice abbia sia pur implicitamente valutato il contenuto della perizia in parola, e in concreto non abbia ritenuto tali valutazioni idonee a modificare il proprio convincimento quanto alla prova della sussistenza della maggior pretesa azionata dall’Erario;

– il secondo motivo di ricorso censura la sentenza gravata per falsa applicazione della L. Finanziaria per il 2008, art. 1. comma 265, della L. Comunitaria per il 2008, art. 24, commi 4 e 5, dell’art. 2729 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 39 (recte: 1973), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento impugnato in quanto fondato esclusivamente sulle presunzioni relative alla discordanza tra prezzo indicato negli atti di compravendita e importo del mutuo contratto dagli acquirenti, sui valori delle compravendite oggetto di autorizzazione del Giudice Tutelare e sulla puntuale ed attenta attività dell’Ufficio accertatore;

– il terzo motivo denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 365 c.p.c. (recte art. 360), n. 3, per avere la CTR ritenute esistenti quelle presunzioni necessarie per far ritenere provata la maggior pretesa;

– il quarto motivo di ricorso censura la gravata sentenza per falsa applicazione della L. Bersani – Visco, art. 35, comma 23, per sua intervenuta abrogazione implicita in relazione all’art. 365 c.p.c. (recte art. 360) n. 3, per avere erroneamente il secondo giudice ritenuto tuttora operante la presunzione ivi prevista;

– tutti i ridetti motivi possono esser trattati congiuntamente, in quanto tra di essi connessi, e risultano inammissibili e comunque infondati;

– va premesso come in linea generale questa Corte ritenga (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6736 del 15/03/2017) che a seguito della soppressione, ad opera della legge comunitaria n. 88 del 2009, della presunzione iuris tantum di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, che era stata introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35 (conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2006), il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, secondo i quali spetta al giudice valutare l’eventuale esistenza di attività non dichiarate e dunque di un corrispettivo non integralmente fatturato anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti, sono nuovamente applicabili, con effetto retroattivo, in considerazione della “ratio legis” di adeguare l’ordinamento interno a quello comunitario;

– va poi confermato, sul punto, l’orientamento di questa Corte (Cass. n. 2082 del 2014, conf. Cass. n.4472/03, in motivazione, Cass. n. 3414/69) quanto al risultato conseguito dall’applicazione delle regole presuntive; si ritiene anche in questa sede incensurabile nel grado di legittimità l’apprezzamento del giudice di merito circa la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata al riguardo sia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (cfr. Cass. n. 245 del 2014; n. 10135 del 2005 e n. 16831 del 2003); ne deriva che la valutazione compiuta dal giudice di appello non è sindacabile in questa sede, non essendo stata oggetto di censura sotto il profilo della sufficienza e logicità della relativa motivazione, ma sotto il diverso profilo del vizio di violazione di legge;

– da quanto appena illustrato deriva quindi l’inammissibilità dei motivi di ricorso;

– comunque, in diritto, gli stessi sono anche infondati;

– precisa infatti questa Corte che la L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265, in vigore dal 10 gennaio 2008, aveva stabilito che le indicate presunzioni legali (basate sul valore normale) si applicavano soltanto per gli atti formati a decorrere dal 4 luglio 2006, mentre, per gli atti formati anteriormente, valevano, “agli effetti tributari, come presunzioni semplici” (“265. In deroga alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, per gli atti formati anteriormente al 4 luglio 2006 deve intendersi che le presunzioni di cui al D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, commi 2, 3 e 23 -bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, valgano, agli effetti tributari, come presunzioni semplici”). Successivamente la Commissione europea, con riferimento alla procedura di infrazione n. (OMISSIS), aveva espresso il parere che tale disciplina nazionale italiana, per quanto riguardava l’IVA sulle cessioni immobiliari, fosse incompatibile con l’art. 73 della Direttiva comunitaria 2006/112/CE, secondo cui la base imponibile IVA “comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni”. In considerazione di tale parere, la L. n. 88 del 2009, art. 24 (rubricato “Adeguamento comunitario di disposizioni tributarie”), comma 4, lett. f), e comma 5 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2008), in vigore dal 29 luglio 2009, ha sostituito sia il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), (in tema di imposte sui redditi), sia il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, (in tema di IVA), eliminando le sopra riportate disposizioni introdotte dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, stabilendo la seguente disciplina: a) D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d): “Per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio procede alla rettifica: (…) d) se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’art. 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonchè dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti.”; b) D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3: “L’ufficio può tuttavia procedere alla rettifica indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente qualora l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture di cui all’art. 51, comma 2, numeri 2), 3) e 4), dagli elenchi allegati alle dichiarazioni di altri contribuenti o da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonchè da altri atti e documenti in suo possesso”;

– quindi, in estrema sintesi, deve ritenersi che dopo il c.d. “decreto Bersani” del 4 luglio 2006 (il quale aveva elevato a rango di presunzione legale la differenza tra valore normale del bene e il corrispettivo dichiarato), la legge finanziaria del 2008 e la legge comunitaria n. 88 del 2008 hanno in sostanza ricondotto a mera presunzione semplice “l’accertamento di un prezzo inferiore a quello considerato di mercato”;

– ciò posto, osserva la Corte come la CTR si sia attenuta al quadro sopra tratteggiato in diritto; essa ha valorizzato ai fini della decisione non una presunzione legale ma una serie di presunzioni semplici (la differenza – “sistematica” e anche “notevole” come scrive la CTR, non certo occasionale nè contenuta – tra prezzo dichiarato e importo del mutuo; le risultanze dell’A.T.; il riferimento a due immobili ceduti sotto il controllo del Giudice tutelare) giungendo pertanto a una decisione adeguatamente motivata e corretta in diritto;

– pertanto, conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle finanze; pronunciando sul ricorso, lo rigetta, liquida le spese in Euro 10.000,00 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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