Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3078 del 11/02/2010

Cassazione civile sez. III, 11/02/2010, (ud. 01/12/2009, dep. 11/02/2010), n.3078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28696-2005 proposto da:

COMUNE DI ORVIETO (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

Dott. M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.

KIRCHER 14, presso lo studio dell’avvocato D’IPPOLITO ALESSANDRO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FINETTI SERGIO

giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

ARETUSA SRL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

Ma.Pa., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 140, presso lo studio dell’avvocato LUCATTONI PIERLUIGI,

rappresentata e difesa dall’avvocato TURRENI AGOSTINO giusta delega

in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

RISTORAZIONE ORVIETANA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 129/2005 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

emessa il 07/01/2005, depositata il 05/05/2005; R.G.N. 27/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2009 dal Consigliere Dott. ALBERTO TALEVI;

udito l’Avvocato Alessandro D’IPPOLITO;

udito l’Avvocato Marcello CAPRIO per delega Avv. Agostino TURRENI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.

“Con citazione, notificata in data 13/6/2000, la s.r.l. Ristorazione Orvietana ha narrato di essere conduttrice di alcuni locali di proprietà del Comune di (OMISSIS), esercitandovi attività di ristorazione e bar, per i quali – esclusi soltanto il piano mezzanino e l’appartamento ad uso abitativo – l’Amministrazione comunale aveva ad essa notificato, in data 29/2/2000, proposta di vendita per il prezzo di L. 900.000.000. Ad una richiesta della società attrice di ricomprendere nella compravendila anche i locali non contemplati nell’offerta iniziale, era seguita risposta negativa con missiva che, pur datata 20/4/2000, era stata notificata soltanto il 5/5/2000 dal messo comunale, quando il termine per esercitare la prelazione era ormai ampiamente scaduto, il 22/5/2000 la Ristorazione Orvietana aveva notificato al Comune diffida a stipulare l’atto alle condizioni che lo stesso Comune aveva comunicato il 29/2/2000.

Ciò premesso, l’attrice, ritenendo di avere correttamente esercitato il diritto di prelazione, ha chiesto, ai sensi dell’art. 2932 c.c. la pronuncia di una sentenza produttiva degli stessi effetti del contratto e, considerata la violazione, da parte del Comune di Orvieto, del principio della buonafede, la sua condanna al risarcimento del danno sia per responsabilità contrattuale che extracontrattuale. Il Comune di Orvieto, costituendosi, (… OMISSIS …) ha negato che l’attrice avesse correttamente esercitato il diritto di prelazione ed ha chiesto la reiezione della domanda.

Nel corso del giudizio è intervenuta la s.r.l. Arelusa, alla quale la s.r.l. Ristorazione Orvietana aveva ceduto nel frattempo un ramo di azienda ed anche il rapporto di locazione con il Comune, dal quale derivava il preteso diritto di prelazione. La società Aretusa ha fatto proprie le deduzioni e le richieste della Ristorazione Orvietana, della quale ha chiesto l’estromissione dal giudizio.

Con sentenza 10/1/2002 l’adito tribunale di Orvieto, respinte le eccezioni preliminari del Comune, ha ritenuto che l’esercizio del diritto di prelazione, da parte della Ristorazione Orvietana, fosse stato tempestivo e ciò in quanto il Comune, non avendo agito con buona fede nel corso delle trattative, era responsabile del superamento peraltro in misura irrisoria – del termine strettamente cronologico per l’invio della conferma definitiva dell’intenzione di acquistare. Ravvisato, quindi, l’inadempimento dell’obbligazione del Comune a stipulare, ha accolto la domanda di pronuncia ex art. 2932 c.c., respingendo, invece, la richiesta di risarcimento danni.

Ha interposto appello il Comune (… OMISSIS …). Ha concluso per la riforma della sentenza impugnata e la reiezione della domanda di parte attrice.

Si sono costituite le società appellate, sostenendo l’infondatezza dell’impugnazione e proponendo appello incidentale condizionato in relazione al rigetto della domanda di risarcimento dei danni …”.

Con sentenza 7.1 – 5.5.2005 la Corte di Appello di Perugia, definitivamente pronunciando, provvedeva come segue.

“1^) in parziale riforma della sentenza impugnata, subordina l’effetto traslativo all’avvenuta corresponsione del prezzo, come ivi determinato; 2^) conferma nel resto; 3^) condanna il Comune di Orvieto, in persona del sindaco pro tempore, a rifondere alle società appellate le spese del grado, che liquida in Euro 143,00 per esborsi, Euro 1.500,00 per diritti ed Euro 8.000,00 per onorari, oltre accessori di legge e spese generali come da tariffa”.

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Orvieto con un unico, articolato motivo.

La Aretusa s.r.l. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico, articolato motivo il ricorrente comune denuncia “Violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 38 sotto diversi profili, ciascuno dei quali assorbente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. Sia il Giudice di prime cure che la Corte territoriale hanno ritenuto valido e tempestivo l’esercizio della prelazione da parte della società Ristorazione Orvietana s.r.l., giudicando quindi sorto tra le parti il vincolo di concludere il contratto di compravendita. Per quanto qui interessa, la Corte ha (giustamente) escluso che la lettera inviata in data 10/3/2000 dalla Ristorazione Orvietana s.r.l. possa essere considerata esercizio della prelazione, testualmente affermando “nè ciò ha ritenuto il Tribunale, giacchè ivi esplicitamente si chiede sollecita risposta alle osservazioni, nella stessa lettera formulate all’offerta del Comune, alfine di valutare il possibile esercizio della prelazione”. La Corte, errando, ha invece ritenuto validamente esercitata la prelazione tramite la comunicazione datata 22.05.2000 e notificata al Comune in data 25.05.2000 (nonostante: – essa sia pervenuta al Comune ben oltre il termine di 60 giorni di cui all’art. 38 citato; – non abbia il contenuto voluto dalla citata norma ossia non contenga condizioni uguali a quelle comunicate dal proprietario;

– sia stata sottoscritta dall’avvocato della Ristorazione Orvietana anzichè dal suo legale rappresentante; – ci si trovi di fronte ad una tesi mai avanzata in tutto il corso del giudizio dalla stessa società attrice e dalla società intervenuta) assumendo che il ritardo della stessa rispetto al termine per l’esercizio del diritto di prelazione sarebbe addebitabile alla mala fede precontrattuale del Comune. Ma la ricordata comunicazione deve necessariamente provenire dal proprietario dell’immobile. La diffida 22/5/2000, notificata al Comune il 25/5 successivo, non costituisce valido esercizio della prelazione poichè non contiene la dichiarazione della volontà del conduttore di acquistare l’immobile offerto in prelazione alle stesse condizioni indicate nella denuntiatio, costituita dalla nota del Comune di Orvieto del 22.02.2000. Altro profilo di violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 38 sta nell’aver ritenuto validamente esercitata la prelazione a mezzo della più volte richiamata comunicazione dell’Avv. Turreni del 22/5/2000 anche se essa è stata effettuata oltre la scadenza del termine di 60 giorni dal ricevimento della denuntiatio fissato dall’art. 38 citato. Sulla natura perentoria del termine citato non può sussistere dubbio. La Corte d’Appello ha dichiarato senza fornire alcuna autonoma motivazione – di condividere l’argomentazione del Tribunale secondo la quale, da un lato, il ritardo rispetto al termine per l’esercizio del diritto di prelazione sarebbe stato “addebitabile alla malafede precontrattuale del Comune” i cui funzionari avrebbero temporeggiato sulla richiesta del potenziale acquirente di includere nella cessione anche altre parti dell’immobile fino alla scadenza del termine e, dall’altro lato, lo “sforamento rispetto al termine era risultato modesto e non significativo, in quanto rientrante nell’ulteriore termine di trenta giorni, stabilito dalla L. n. 392 del 1978, art. 38, comma 4 per il versamento del prezzo”. La pretesa addebitabilità del ritardo al Comune è in contrasto con la struttura legale della prelazione prevista dall’art. 38, rispetto alle cui modalità di perfezionamento è del tutto irrilevante ed ininfluente l’eventuale sussistenza di trattative tra le parti. Sia il giudice di primo grado che quello di secondo grado hanno erroneamente dato ampia rilevanza e risalto alle asserite trattative intercorse tra le parti, laddove esse sono del tutto irrilevanti ed inlnfluenti ai tini del meccanismo della prelazione.

Il motivo è fondato nella sua parte essenziale.

Infatti (premesso che il termine per l’esercizio del diritto di prelazione è un termine di decadenza; cfr. tra le altre Cass. 5369/09) vanno confermati i seguenti principi di diritto sostanzialmente pacifici da molto tempo:

– A) (v. Cass. Sentenza n. 1568 del 12/06/1963) “Mentre il fondamento della prescrizione è la presunzione di abbandono di un diritto per inerzia del titolare, il fondamento della decadenza è l’esigenza obiettiva del compimento di particolari atti entro un termine perentorio, stabilito dalla legge o dalla volontà dei privati, indipendentemente dalle circostanze subiettive od obiettive dalle quali dipende l’inutile decorso del tempo”, – B) pertanto “I termini perentori rientranti nell’istituto generale della decadenza decorrono per il solo fatto materiale del trascorrere del tempo, indipendentemente dalle situazioni soggettive ed oggettive verificatesi medio tempore e dalle quali sia dipeso l’inutile decorso del termine, salve le eccezioni tassativamente previste dalla legge (art. 328 c.p.c., comma 1, art. 395 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 6 e art. 397 c.p.c., comma 2” (cfr. Cass. Sentenza Cass., n. 6666 del 06/12/1988; per una recente applicazione di tali principi cfr. Cass. Sentenza n. 3812 del 21/04/1994: “Il termine di venti giorni dall’avvenuta comunicazione per la proposizione del ricorso avverso il decreto di liquidazione del compenso al consulente tecnico (L. 8 luglio 1980, n. 319, art. 11, comma 5) deve considerarsi perentorio, ancorchè la legge non lo dichiari espressamente tale, attesa la sua natura di termine di impugnazione. Ne consegue che la questione della tempestività del gravame, per il suo carattere pregiudiziale, in quanto attinente alla esistenza di un presupposto processuale, deve essere risolta d’ufficio dal giudice e che la decadenza va ravvisata per il solo fatto materiale del trascorrere del tempo, indipendentemente dalle situazioni soggettive e assoggettive verificatesi medio tempore, salve le eccezioni tassativamente previste dalla legge” invece Cass. n. 8247/97, citata dalla parte controricorrente, non suffraga in realtà validamente la tesi di quest’ultima poichè concerne una diversa ipotesi, e cioè quella che nella comunicazione del locatore non sia indicato il termine per il conseguimento del prezzo di acquisto ed il locatore stesso, sebbene tempestivamente sollecitato dal conduttore, si sia rifiutato di fornirlo). – C) da quanto ora esposto discende anche l’assoluta mancanza di “elasticità” di detti termini, i quali vanno rispettati sempre in modo rigoroso, senza che pertanto il Giudice possa ritenere irrilevante la loro violazione se sono stati superati in misura ritenuta modesta (cfr. tra le altre Cass. Sentenza n. 18783 del 26/09/2005).

Ha dunque errato in diritto la Corte d’Appello di Perugia quando ha attribuito rilevanza ai seguenti rilievi: -a) funzionari del Comune “… assicuravano gli emissari della Ristorazione Orvietana sulla volontà di pervenire alla vendita e temporeggiavano …”, -b) “…

la lettera di intimazione a rispettare il termine del 29/4/2000 era stata (volutamente) notificata soltanto il 5/5/2000 …” (tra l’altro la Corte non ha considerato neppure che il Comune non aveva nessun obbligo giuridico di inviare una lettera di intimazione a rispettare il termine di decadenza predetto; e che quindi si trattava di un fatto giuridicamente irrilevante pure

PQM

per tale motivo

sforamento rispetto al termine era risultato modesto e non significativo in quanto rientrante nell’ulteriore termine di trenta giorni, stabilito dalla L. n. 392 del 1978, art. 38, comma 4 per il versamento del prezzo …”; -d) “…Il comportamento, quantomeno ambiguo, del Comune ha, infatti, costretto la società attrice a fare ricorso ad un legale …” (la società attrice aveva l’onere di esercitare il diritto di prelazione nel termine di legge a prescindere dalle trattative in corso ed in particolare dal comportamento del Comune).

Sulla base di quanto sopra esposto (che ha efficacia assorbente rispetto alle altre doglianze) il ricorso va accolto; e l’impugnata sentenza va cassata.

1 fatti fondamentali (ed in particolare le date sopra citate) appaiono pacifici.

Questa Corte Suprema può dunque decidere nel merito ex art. 384 c.p.c. non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Detta decisione deve consistere nel rigetto della domanda ex art. 2932 c.c. proposta dalla Ristorazione Orvietana s.r.l. e fatta propria dalla Aretusa s.r.l. (la domanda di risarcimento danno ha costituito oggetto di mero appello incidentale condizionato sulla quale la Corte di merito correttamente non ha disposto dato il rigetto dell’appello principale; e non ha più costituito ritualmente oggetto del presente giudizio di cassazione).

Considerate le peculiarità della fattispecie, debbono ritenersi sussistenti giusti motivi per compensare integralmente le spese dei due gradi di merito e del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso; cassa l’impugnata decisione; e decidendo nel merito rigetta la domanda ex art. 2932 c.c. proposta dalla RISTORAZIONE ORVIETANA s.r.l. e fatta propria dalla ARETUSA s.r.l., compensa le spese di primo grado, di secondo grado e del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2010

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