Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30774 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 28/11/2018, (ud. 30/10/2018, dep. 28/11/2018), n.30774

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 752/2013 R.G. proposto da:

Società L. s.r.l. in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore, Società Mondial di L.S.

s.r.l. in liquidazione, B.V., rappresentate e difese

dall’Avv. Emilio Rosso e dall’Avv. Leonardo Gnisci, elettivamente

domiciliate presso lo studio del secondo, in Roma, Via Pisanelli n.

2, giusta delega a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla Via dei Portoghesi

n. 12.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Friuli

Venezia Giulia n. 66/55/2012 depositata l’11 settembre 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 30 ottobre 2018

dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Giacalone Giovanni, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso.

udito l’Avv. Giovanna Galluzzo per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate, dopo avere emesso, per l’anno 2004, un avviso di accertamento nei confronti della L. s.r.l., emetteva per lo stesso anno un avviso di accertamento integrativo del precedente, sulla scorta di elementi sopravvenuti, deducendo che la società aveva immesso in depositi fiscali ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, merci con esenzione Iva, che erano state cedute ad altre società, l’ultima delle quali, la Pasid s.r.l., aveva, infine, estratto le merci con autofattura contenente l’iva, per poi cederle ad altri, che avevano corrisposto l’iva alla cedente Pasid, che poi non l’aveva versata all’erario.

2. La Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso, con sentenza che veniva poi confermata dalla Commissione tributaria regionale, la quale riteneva che l’avviso di accertamento era correttamente motivato, con l’allegazione del processo verbale di constatazione, e con la riproduzione di stralci del processo verbale, che vi era stata una istruttoria supplementare, che vi erano due società “cartiere”.

4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società.

5. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione delle norme contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto l’avviso di accertamento è fondato su documenti non conosciuti dalla società, in quanto non notificati o comunicati e, comunque, non allegati alla copia notificata dall’avviso.

1.1. Tale motivo è inammissibile.

Invero, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. Civ., 28 giugno 2017, n. 16147; Cass. Civ., 19 aprile 2013, n. 9536).

Inoltre, la Commissione regionale ha ritenuto sufficiente la motivazione dell’avviso di accertamento, non soltanto perchè all’avviso era allegata la documentazione posta a base dello stesso, e quindi gli allegati composti da n, 164 pagine, comprensivi del processo verbale di constatazione, ma anche perchè l’amministrazione “ha riproposto i rilievi essenziali che erano scaturiti dal processo verbale di constatazione nella parte motiva dell’avviso di accertamento notificato”.

Infatti, l’avviso di accertamento può essere motivato “per relationem”, ossia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, anche ove lo stesso si concreti nel richiamo alle risultanze di un’indagine di mercato, purchè, nell’ipotesi di mancata allegazione, nell’atto ne venga riprodotto il contenuto essenziale, allo scopo di consentire al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato (Cass. Civ., 23 febbraio 2018, n. 4396; Cass. Civ., 11 aprile 2017, n. 9323).

La ricorrente, pur contestando l’avvenuta notifica anche degli allegati, avendo ricevuto solo l’avviso di accertamento, senza gli stessi, non ha però impugnato la porzione di motivazione che, quale diversa ratio decidendi, aveva rigettato l’appello sul punto.

Va anche evidenziato che la ricorrente non ha riprodotto in modo integrale la relata di notifica per consentire alla Corte di valutare compiutamente il contenuto esatto della stessa, incorrendo nuovamente nel vizio dì autosufficienza.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta “violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 5”, deducendo che l’avviso di accertamento del 3-12-2009, integrativo di quello notificato il 24-12-2008, era stato emesso, in assenza di sopravvenuti nuovi elementi di conoscenza, in quanto essi erano già conosciuti dall’Ufficio al momento di notifica del primo accertamento.

2.1. Tale motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Quanto, al vizio di motivazione, si rileva che la sentenza della Commissione regionale è stata depositata l’11-9-2012, quindi proprio il giorno in cui è entrato in vigore il D.L. n. 83 del 2012, che ha modificato l’art. 360 c.p.c., n. 5.

Invero, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Civ., Sez. Un., 2014/8053).

Nella specie, invece, la ricorrente ha censurato la sentenza della Commissione regionale solo per insufficiente o contraddittoria motivazione, mentre avrebbe dovuto evidenziare “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Quanto alla dedotta violazione di legge si rileva che dal contenuto del controricorso (pagina 9) emerge che, benchè il verbale a carico della Pasid s.r.l. sia pervenuto il 28-2-2008, tuttavia la documentazione relativa al deposito fiscale è giunta solo il 12-6-2009, il 22-6-2009 ed il 1-7-2009. Tra l’altro, anche se il verbale redatto a carico della Pasid era stato redatto nel 2007, ciò che rileva ai fini della legittimità dell’accertamento integrativo per sopravvenuti elementi, è la conoscenza di tali elementi da parte dell’ufficio che emette l’avviso, anche se già in possesso e conosciuti da un diverso ufficio fiscale.

Infatti, si è affermato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, i dati conosciuti da un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’avviso di accertamento al momento dell’adozione di esso, costituiscono, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, elementi sopravvenuti, che legittimano l’integrazione o la modificazione in aumento dell’avviso di accertamento, mediante notificazione di nuovi avvisi, dovendosi limitare il contenuto preclusivo della norma al solo divieto di fondare il suddetto avviso integrativo sulla base di una mera rivalutazione o di un maggior apprendimento di dati già originariamente in possesso dell’ufficio procedente (Cass. Civ., 15 gennaio 2016, n. 576; Cass. Civ., 12 maggio 2006, n. 11057; anche Cass. Civ., 18014 del 2005 citata dalla ricorrente ove si è rigettato il ricorso del contribuente, “derivando il carattere della novità degli elementi giustificativi dell’integrazione…dalla sopravvenienza della loro conoscenza, indipendentemente dalla loro preesistenza presso lo stesso ufficio che ha proceduto al primo accertamento, ovvero presso uffici diversi dell’amministrazione finanziaria”).

3.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione delle norme sull’onere probatorio; insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, in quanto la società, a fronte della rettifica di maggiore iva per l’utilizzo illegittimo del deposito fiscale di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, ha dimostrato di avere immesso nei depositi fiscali le merci esenti da iva, cedendole ad altra società, emettendo regolare fattura, incassando il prezzo, fornendo, quindi, la prova documentale della concreta esistenza dell’operazione commerciale. La motivazione della sentenza pronunciata dalla Commissione regionale, invece, ha ritenuto inesistenti tali operazioni, basandosi su vaghe asserzioni contenute (pare) nel processo verbale di constatazione, che indicavano gli altri operatori commerciali privi di sufficiente struttura organizzativa. Nè viene fornita prova alcuna della partecipazione e consapevolezza della ricorrente alla ipotizzata frode fiscale.

3.1. Tale motivo è inammissibile.

3.2. Invero, anzitutto si rileva che la sentenza pronunciata dalla Commissione regionale non è meramente apparente, come adombrato dalla ricorrente.

Infatti, in motivazione, la Commissione tributaria regionale si sofferma analiticamente su tutti gli elementi di fatto rilevanti ai fini della decisione, mostrando in modo compiuto il percorso argomentativo utilizzato. Per la Commissione regionale, quindi, la ricorrente immetteva merce nel deposito fiscale ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, ma la merce era solo formalmente ceduta alla Olympic Monoproposi Epe di (OMISSIS), società cartiera, per poi transitare presso la Pasid, altra società cartiera, che provvedeva alla estrazione della merce dal deposito fiscale, con autofatturazione e successiva cessione ad operatori nazionali. I passaggi di merce erano tutti simulati, in quanto la merce non usciva mai dal territorio nazionale, sicchè la ricorrente cedente non versava l’iva, i successivi passaggi all’interno del deposito non erano assoggettabili ad iva, il soggetto che estraeva la merce con autofattura (Pasid) era, come detto, una cartiera che rivendeva la merce ad un operatore nazionale applicando all’iva, ma non effettuando alcun versamento di imposta.

3.3. Inoltre, poichè la sentenza della Commissione regionale è stata depositata in data 11-9-2012, trova applicazione il nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La ricorrente, dunque, non può limitarsi a censurare la motivazione della sentenza per insufficiente o contraddittoria motivazione, ma deve evidenziare “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”.

Infatti, a seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Civ., 12 ottobre 2017, n. 23940).

La ricorrente, nell’articolare il motivo di impugnazione, non si è attenuta al paradigma di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente in base al principio di soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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