Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3077 del 06/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/02/2017, (ud. 24/11/2016, dep.06/02/2017),  n. 3077

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29632-2015 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MEDAGLIE D’ORO 399, presso lo studio dell’avvocato CARLO CECCHI, che

la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, A.T.E.R. AZIENDA TERRITORIALE PER L’EDILIZIA

RESIDENZIALE PUBBLICA DEL COMUNE DI ROMA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2677/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2016 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Ai sensi dell’art. 38o-bis c.p.c. è stata depositata la seguente relazione:

“1. La Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da P.F. nei confronti dell’Ater del Comune di Roma nonchè di Roma Capitale, in ragione della nullità della procura ad litem apposta dalla P. mediante crocesegno in calce al ricorso d’appello, autenticato da uno dei due difensori della stessa, anzichè tramite atto pubblico notarile, secondo quanto previsto dalla L. n. 89 del 1913, art. 47.

2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione Felicita P. sulla base di due motivi d’impugnazione.

3. Resiste con controricorso l’Ater del Comune di Roma, che ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità, ovvero per il rigetto dell’impugnazione.

4. Roma Capitale non ha svolto difese in questa sede.

5. Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto appare destinato ad essere dichiarato inammissibile.

6. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza d’appello per violazione dell’art. 182 c.p.c., per avere la corte territoriale trascurato di valorizzare, anche ai fini dell’appello, l’efficacia della procura alle liti rilasciata dalla P. in primo grado ai propri difensori, la cui validità non era stata investita da alcuna eccezione di controparte, non potendo intendersi, il rilascio di una nuova procura per il giudizio d’appello, quale volontà implicita di non volersi più avvalere, in tutte le successive fasi del giudizio, della procura rilasciata in primo grado, per il caso di invalidità della seconda procura.

6.1. Il motivo è inammissibile.

Dev’essere preliminarmente osservato come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la questione relativa alla nullità assoluta e insanabile dell’atto di appello per mancanza di una valida procura ad litem, vertendo in tema di inammissibilità del gravame, attiene al controllo circa la sussistenza di un presupposto processuale dell’azione, che rientra tra i poteri officiosi del giudice esercitabili in ogni stato e grado del processo (Sez. L, Sentenza n. 16264 del 19/08/2004, Rv. 575980).

Ciò posto, ferma la corretta rilevazione, da parte del giudice d’appello, della nullità della procura ad litem rilasciata in grado d’appello, il motivo di ricorso in esame – concernente la questione relativa all’idoneità, anche ai fini dei successivi gradi del giudizio, della procura ad litem rilasciata in primo grado dalla P. (tanto in sè, quanto perchè non investita da alcuna eccezione o rilievo ufficioso nel corso del giudizio di primo grado) – deve ritenersi inammissibile per difetto di autosufficienza.

Secondo l’art. 366 c.p.c., n. 6, infatti, il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.

Tale prescrizione postula – secondo il costante e consolidato insegnamento di questa Corte (cfr., ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 26174 del 12/12/2014, Rv. 633667) – che, dovendo provvedersi all’individuazione di tali atti con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione (Sez. 3, Sentenza n. 8569 del 09/04/2013, Rv. 625839), il ricorrente, anche in unione a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (che sanziona in termini di improcedibilità il ricorso, il cui deposito non sia accompagnato pure dal deposito degli atti processuali, dei documenti e degli accordi collettivi su cui si fonda) sia chiamato ad assolvere un duplice onere processuale. Ove, invero, egli intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, il requisito in parola s’intende soddisfatto, allorchè il ricorrente produca il documento agli atti e ne riproduca il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il suo esatto contenuto (v. Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011, Rv. 616097). In altri termini, occorre non solo che la parte precisi dove e quando il documento asseritamente ignorato dai primi giudici o da essi erroneamente interpretato sia stato prodotto nella sequenza procedimentale che porta la vicenda al vaglio di legittimità; ma al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte, occorre altresì che detto documento ovvero quella parte di esso su cui si fonda il gravame sia puntualmente riportata nel ricorso nei suoi esatti termini.

L’inosservanza anche di uno soltanto di questi oneri viola il precetto di specificità di cui al citato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e rende il ricorso conseguentemente inammissibile (Sez. 5, Sentenza n. 26174 del 12/12/2014, cit.).

E’ appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto delle citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317).

6.2. Nella violazione dei principi sin qui rassegnati deve ritenersi incorsa l’odierna ricorrente, atteso che la stessa, nel dolersi che la corte d’appello non abbia riscontrato l’idoneità, anche ai fini dei successivi gradi del giudizio, della procura ad litem rilasciata in primo grado, ha tuttavia omesso di riprodurre e allegare al ricorso il documento contenente la procura ad litem rilasciata in primo grado, nonchè i documenti processuali (oltre al luogo per il relativo reperimento) necessari al fine di verificare l’effettiva mancata sollevazione di alcuna eccezione o rilievo ufficioso nel corso del “giudizio di primo grado circa la validità di detta procura, con ciò precludendo a questa Corte ogni possibilità di apprezzarne il contenuto al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione.

7. Si ritiene, pertanto, che il ricorso vada trattato in camera di consiglio per essere dichiarato inammissibile”;

2. La ricorrente ha presentato memoria ex art. 380-bis c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione trascritta e di doverne fare proprie le conclusioni, tenuto altresì conto della totale inidoneità delle considerazioni critiche illustrate nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. a incidere sulla relativa correttezza nonchè sull’integrale condivisibilità degli apprezzamenti in essa contenuti.

Varrà unicamente aggiungere come, con un secondo motivo d’impugnazione, la ricorrente abbia altresì denunciato – con ulteriori censure anch’esse inammissibili – la nullità della sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con particolare riguardo alla mancata valorizzazione, ad opera del giudice a quo, della procura ad litem rilasciata dalla P. in primo grado.

Sul punto, osserva il collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, la doglianza della ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità delle ragioni indicate dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta, là dove le stesse appaiono solidamente radicate nel quadro di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, scevro da alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede.

4. Il ricorso dev’essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al rimborso delle spese di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso favore della controricorrente Ater del Comune di Roma, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.900,00, di cui Euro 200,00, per spese, oltre agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 24 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2017

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