Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30769 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 28/11/2018, (ud. 30/10/2018, dep. 28/11/2018), n.30769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. SCALISI Antonio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5072-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

N.M.;

– intimato –

avverso la decisione n. 17/2010 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

ROMA, depositata il 05/01/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/10/2018 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO che ha chiesto

l’accoglimento e deposita in udienza 2 avvisi di ricevimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 17/04/10, depositata il 5.01.2010 dalla Commissione Tributaria Centrale, Sez. di Roma. Ha rappresentato che il contenzioso traeva origine dall’avviso di accertamento, notificato a N.M. e relativo all’anno d’imposta 1982, con il quale erano recuperate maggiori imposte, pari a vecchie Lire 106.137.000 a titolo di Irpef e Lire 30.707.000 a titolo di Ilor, oltre sanzioni, conseguenti alla indebita deduzione di costi e alla omessa contabilizzazione di ricavi.

Alla contestazione dell’atto impositivo da parte del contribuente, esercente il commercio di auto nuove e usate, seguiva il contenzioso. La Commissione di primo grado accoglieva in parte le ragioni del N., riducendo l’imponibile. La sentenza, censurata dalla Agenzia, era confermata in sede di appello. L’Ufficio impugnava la pronuncia dinanzi alla Commissione Tributaria Centrale limitatamente alla dichiarata illegittimità del recupero a tassazione di Lire 126.053.896 per omessa imputazione al conto economico di attività di commercializzazione di auto usate.

La CTC con la sentenza ora impugnata rigettava il gravame.

L’Agenzia si duole della pronuncia con tre motivi.

con il primo per violazione e falsa applicazione del D.L. n. 429 del 1982, art. 15, commi 9 e 10, conv. in L. n. 516 del 1982, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente risolto una controversia, riconducibile a questione di mero diritto, sul diverso e non pertinente profilo della mancanza di prova delle violazioni commesse dal contribuente;

con il secondo per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727,2728 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente gravato l’Amministrazione dell’onere della prova, peraltro senza altra specificazione, a fronte dell’incontestato presupposto del mancato riporto nel conto economico dell’importo corrispondente ad un aumento netto di capitale dell’impresa del contribuente;

con il terzo per insufficiente motivazione in ordine ad un fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver deciso senza tenere in considerazione le circostanze evidenziate con l’atto impositivo, mai contestate in punto di fatto (l’aumento netto di capitale).

Ha chiesto in conclusione la cassazione della sentenza con ogni conseguente statuizione.

L’intimato non si è costituito nonostante regolare notifica del ricorso.

Alla pubblica udienza del 30 ottobre 2018, dopo la discussione, il P.G. e la parte hanno concluso e la causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Va premesso che la questione proposta riguarda il recupero a tassazione dell’importo di Lire 126.053.896, derivante dalla rettifica della posta di bilancio “clienti c/ procura”, riportante il valore delle autovetture usate che il N., esercente commercio di auto, prendeva in consegna dai propri acquirenti di auto nuove per poi rivenderle (a scomputo di una parte del prezzo).

L’Agenzia sostiene che lo stesso N., con il proprio atto introduttivo, aveva dichiarato che nello svolgimento dell’attività di vendita di auto nuove acquisiva l’affidamento in vendita di quelle usate, costituenti per l’impresa una “garanzia del credito sul prezzo dell’auto nuova, prezzo nel quale era ricompreso il valore dell’usato affidato, con procura, per la rivendita. Per la rilevazione dei crediti garantiti erano utilizzate schede intestate “auto usate in conto deposito”…..i cui saldi positivi rappresentavano i crediti garantiti, riportati poi nello stato patrimoniale del bilancio alla voce “clienti c/ procura”. Il medesimo contribuente affermava poi che alla chiusura del bilancio 31.12.1982, rilevando che il cd. credito garantito era inferiore a quello contabile, procedeva alla rettifica della posta di bilancio, eliminando i cd. crediti garantiti riportanti valori superiori ai reali e con lo stesso sistema aumentando “il capitale netto di pari importo”.

Questa operazione, secondo l’Ufficio, rappresentava un aumento del capitale netto, mai prima riportato nel conto economico, che nascondeva utili mai dichiarati, mentre secondo il contribuente costituiva una mera regolarizzazione contabile di attività e passività fittizie, per la quale aveva fatto ricorso alla sanatoria prevista dal D.L. n. 429 del 1982, art. 15, comma 9, convertito in L. n. 516 del 1982.

l’Ufficio sostiene che tutta la controversia fosse dunque imperniata sulla mera interpretazione giuridica della operazione, se cioè riconducibile ad un aumento di capitale, come preteso dalla Agenzia, cui al più applicare la L. n. 516 del 1982, art. 15, comma 10, ai fini della sanatoria – e in caso contrario riprendere a tassazione come avvenuto -, oppure ad una mera regolarizzazione contabile mediante il ricorso al cit. art. 15, comma 9, come ritenuto dal contribuente. Lamenta che invece la Commissione Tributaria Centrale ha rigettato l’impugnazione assumendo che la prospettazione dell’Ufficio sarebbe stata carente sul piano probatorio, senza avvedersi che i fatti erano incontroversi.

Il motivo è fondato perchè dagli atti difensivi riprodotti nel ricorso, in particolare dal contenuto del ricorso introduttivo del N., risulta pacifico che il contribuente ebbe a ricostruire la vicenda in occasione della impugnazione dell’atto impositivo, dichiarando che, dopo aver dimezzato il valore dei crediti garantiti, provvide a riportare l’importo dimidiato ad “incremento del capitale netto”. A fronte di tale riconoscimento da parte del N. l’operazione contabile esigeva solo una interpretazione giuridica alla luce della disciplina sul condono del 1982.

In particolare il cit. art. 15 prevedeva che “I soggetti indicati nel sesto comma che hanno presentato dichiarazioni integrative, anche per definizione automatica, possono procedere alla regolarizzazione delle scritture contabili nel bilancio chiuso al 31 dicembre 1982 o in quello del periodo di imposta in corso a tale data eliminando le attività o le passività fittizie, inesistenti o indicate per valori superiori a quelli effettivi. L’iscrizione di dette variazioni non comporta emergenza di componenti attivi o passivi ai fini della determinazione del reddito d’impresa nè la deducibilità di quote di ammortamento o accantonamento corrispondenti alla riduzione dei relativi fondi (comma 9). Per i soggetti che si sono avvalsi delle disposizioni di cui agli artt. 16 e 19, le disposizioni del precedente comma si applicano altresì per l’iscrizione in bilancio di attività in precedenza omesse, ma in tal caso il valore iscritto concorre alla formazione del reddito d’impresa nella misura del venti per cento. Il residuo valore deve essere accantonato in apposito fondo e concorre alla formazione del reddito nel periodo d’imposta e nella misura in cui il fondo sia comunque utilizzato. (comma 10)”.

Ebbene, affermare, come ha fatto la Commissione Tributaria Centrale, che l’Ufficio non ha provato il proprio assunto, contraddice l’essenza della controversia. Essa era riconducibile alla sola qualificazione giuridica della operazione, e cioè se dovesse rientrare nella mera regolarizzazione formale di attività o passività fittizie (cit. art. 15, comma 9), oppure nella iscrizione in bilancio di attività in precedenza omesse (cit. art. 15, comma 10). Nè assumeva rilievo che l’Ufficio avesse anche richiesto una perizia contabile, perchè la consulenza tecnica d’ufficio non costituisce mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze (ex multis cfr. Cass., ord. n. 30218/2017) e che pertanto può essere solo sollecitata dalla parte. Con essa dunque l’Ufficio aveva invitato la Commissione, qualora ritenuto utile, ad avvalersi di una consulenza per interpretare la fattispecie, cioè a rilevare evidentemente aspetti tecnici che aiutassero a qualificare la condotta, riconducendola nel parametro della iscrizione in bilancio di attività in precedenza omesse, come ritenuto dalla Amministrazione, e non in quello della mera regolarizzazione contabile di attività o passività fittizie, come preteso dal contribuente. Invece la CTC si è limitata ad affermare che l’Agenzia non aveva provato il suo assunto, senza peraltro specificare in cosa dovesse consistere l’onere probatorio dell’Ufficio accertatore.

Il motivo va in conclusione accolto.

E’ fondato anche il secondo motivo, perchè a fronte dell’aumento del capitale netto, espressamente dichiarato dal contribuente, senza alcun riporto nel conto economico, doveva gravare su questi la dimostrazione che l’incremento del capitale trovasse ragione in ricavi già regolarmente dichiarati. Comunque doveva essere suo onere dimostrare anche la sola erroneità della dichiarazione di incremento del capitale netto.

L’accoglimento del primo e del secondo motivo assorbe il terzo.

Il ricorso va in conclusione accolto e la sentenza va cassata. Poichè peraltro la controversia, all’esito dei gradi di merito, era circoscritta alla ripresa a tassazione dell’importo di Lire 126.053.896, corrispondente al rilievo n. 7 dell’avviso di accertamento, e poichè sulla questione non è necessario alcun ulteriore accertamento in fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente anche in riferimento alla ripresa a tassazione del suddetto importo.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura specificata in dispositivo, mentre vanno interamente compensate per i gradi di merito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente per quanto specificato in parte motiva. Condanna il N. alla rifusione in favore della Agenzia delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito, compensando interamente quelle dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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