Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30768 del 22/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 30768 Anno 2017
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: PELLECCHIA ANTONELLA

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29012-2016 R.G. proposto da:
CACCIAPUOTI CINZIA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA
VALMARANA n.40, presso lo studio dell’avvocato NICOLA
CAROPPO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente nonchè contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimati per regolamento di competenza avverso l’ordinanza del TRIBUNALE
di BARI del 25/11/2016 emessa sul procedimento iscritto al
n° 13643/2014 R.G.;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 19/09/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PELLECCHIA;

Data pubblicazione: 22/12/2017

lette le conclusioni scritte dal Pubblico Ministero, in persona del
Sostituto Procuratore Generale Renato Finocchi GHERSI che ha
chiesto che la Corte di Cassazione, in camera di consiglio, accolga il
ricorso e dichiari la competenza del Tribunale di Bari, con i

conseguenti provvedimenti di legge

Ric. 2016 n. 29012 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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Rilevato che:

1. Nel settembre 2014, la dr.ssa Cinzia Cacciapuoti conveniva in giudizio la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, innanzi al Tribunale di Bari al fine di
ottenere la condanna al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento del
danno per intempestiva e/o parziale recepimento delle direttive comunitarie
avendo frequentato il corso universitario di specializzazione presso l’università

In particolare, l’odierna ricorrente deduceva quanto segue:
laureatasi in medicina e chirurgia presso l’Università degli studi di Bari Aldo
Moro, nell’anno 2000/2001 si iscriveva presso la scuola di specializzazione in
Ostetricia e Ginecologia: indirizzo Fisiopatologia della Riproduzione Umana
dell’Università degli Studi di Bari Aldo moro e conseguiva il relativo titolo
nell’anno 2004/2005.
I titoli conseguiti dalla predetta specialista rientrano tra quelli indicati e
riconosciuti dalle vigenti Direttive Comunitarie, nonché dalla normativa
nazionale ai sensi del D.P.R. 10.3.1982 n.162, D.P.R. 15.1.1987 n. 14, D.P.R.
5.7.1989 n. 280, D.P.R. 11.7.1980 n.382 e dei conseguenti Decreti attuativi di
istituzione.
Per tutta la durata legale del suddetto corso di specializzazione, la ricorrente
non ha percepito una vera e propria retribuzione per l’attività prestata, ma
unicamente la borsa di studio annuale dell’importo di 11.603,40 €,, istituita per
mezzo del D. Lgs n° 257/1991; ciò in manifesto contrasto con quanto sancito
dalle Direttive CEE nn. 75/362, 75/363 e 82/76, prescriventi l’obbligo di
retribuire i medici specializzandi, riconosciuto nel nostro ordinamento soltanto
dopo il recepimento, largamente tardivo, delle predette direttive da parte dello
Stato Italiano, avvenuto, in maniera compiuta, per mezzo del DPCM 7 marzo
2007.
In particolare, sulla questione è intervenuta a livello comunitario la direttiva
93/16/CEE del 5 aprile 1993, attuata dallo stato Italiano con il Decreto
legislativo 17 agosto 1999, n.368, emanato in forza della legge delega 24 aprile
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di Bari.

1998, n. 128; tale decreto legislativo, all’art. 46 comma 3, ha disposto
l’abrogazione del d.lgs. 8 agosto 1991 n. 257 e, in particolare agli art. 34 – 41,
regolando in maniera indubbiamente innovativa rispetto al passato la posizione
dei medici specializzandi con la previsione di un contratto di formazione
specialistica e di un programma di formazione, nonché del diritto alla
remunerazione attraverso un “trattamento economico annuo onnicomprensivo

durata del corso, e da una parte variabile”.
L’entrata in vigore di questa normativa è stata tuttavia posticipata secondo
quanto previsto dall’art. 8 comma 3 D. Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, che ha
sostituito l’art. 46 comma 2 D. Lgs. 368/99 disponendo che la nuova normativa
entrasse in vigore a partire dall’anno accademico 2006/2007.
Più precisamente, solo con l’art. 1 comma 300 legge 23 dicembre 2005 n. 266 c.d. finanziaria 2006 – è stata data definitiva sistemazione al trattamento
economico degli specializzandi, stabilendosi comunque che fino all’anno
accademico 2005/2006 si continuassero ad applicare le disposizioni di cui al
decreto legislativo n. 257/91.
Infine, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 marzo 2007 si
è stabilito che, a decorrere dall’anno accademico 2006-2007, il trattamento
economico relativo al contratto di formazione specialistica dei medici è
costituito da una parte fissa lorda eguale per tutte le specializzazioni e per tutta
la durata del corso e da una parte variabile lorda: la parte fissa annua lorda è
stata determinata in curo 22.700,00 per ciascun anno di formazione specialistica
e la parte variabile annua lorda, calcolata in modo che non eccedesse il 15% di
quella fissa, è stata determinata in 2.300,00 euro per ciascuno dei primi due anni
di formazione specialistica, mentre per ciascuno dei successivi anni di
formazione specialistica la stessa è determinata in curo 3.300,00 annui lordi.
Pertanto a causa della tardiva attuazione da parte dello Stato Italiano della
direttiva 82/76/CEE e della successiva direttiva 93/16/CEE, avutasi
compiutamente soltanto con il DPCM del 6 luglio 2007 e solo a partire dal
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[•••] costituito da una parte fissa, uguale per tutte le specializzazioni per tutta la

2006, i medici che hanno frequentato un corso di specializzazione prima del
2006 hanno ingiustamente percepito solamente una borsa di studio di circa f,
11.000,00 annui lordi, senza alcun diritto a maternità e malattie e con il divieto
di svolgere ogni altro lavoro.
Di talchè, ai medici specializzandi che si sono specializzati nel periodo tra il
1993 e il 2007, tra cui figura la ricorrente, non è stata garantita “l’adeguata

né, tantomeno, la copertura previdenziale e assistenziale ad essi spettante in
forza di quanto previsto dalle direttive medesime.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri costituitasi in giudizio ha eccepito, in
via pregiudiziale, l’incompetenza per territorio del Tribunale di Bari, per essere,
invece, competente il Tribunale di Roma, ed in via preliminare l’intervenuta
prescrizione del diritto azionato dagli attori; nel merito, ha contestato la
fondatezza della pretesa attorea della quale ha chiesto il rigetto.

2. Alla prima udienza di trattazione il giudice concedeva alle parti i termini di
cui all’art. 183, c. 6, c.p.c. e le parti provvedevano al deposito delle rispettive
memorie. Alla successiva udienza il giudice valutando le richieste formulate e
ritenendo l’eccezione sulla competenza idonea a definire il giudizio rinviava la
causa all’udienza del 12 novembre 2015 per la precisazione delle conclusioni
sull’eccezione preliminare di incompetenza. A scioglimento della riserva, con
ordinanza del 30 novembre 2016, il Tribunale ha invece disposto la ammissione
delle prove orali richieste nella memoria ex art. 183, comma 6. da parte attrice,
limitandola a tre testi, rinviando all’udienza del 19.05.2016 per l’espletamento, e
riservando all’esito ogni decisione su eventuale CTU: in quest’ultima udienza si
procedeva all’escussione dei testi ammessi, e si disponeva l’ulteriore rinvio
all’udienza del 24.11.2016, nel corso della quale, come richiesto dal giudice, le
parti precisavano le loro conclusioni;
Infine, sciogliendo la riserva assunta all’esito di tali conclusioni, il Tribunale di
Bari ha adottato l’ordinanza del 25.11.2016, impugnata nel presente giudizio per
regolamento di competenza;
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remunerazione” sancita dalle Direttive Comunitarie 82/76/CEE e 93/16/CEE

3. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta rilevando che la
giurisprudenza della Corte di Cassazione, in fattispecie pressoché identica a
quella in oggetto, ha recentemente affermato che “il provvedimento del giudice
che, dopo aver rinviato la causa per la discussione sull’eccezione
d’incompetenza, ritualmente proposta, disponga per l’istruzione della
controversia nel merito, comporta dichiarazione implicita sulla competenza

in tempi solleciti quale sia l’autorità giudiziaria alla quale sia demandata la
decisione della controversia e rispondente al principio costituzionale di
ragionevole durata del processo, con il quale, per contro, contrasta lo
svolgimento di un’istruttoria destinata a rimanere inutile” (Cass. n. 24182/2014
ed anche Cass. 2014/5225 e Cass. n. 16593/2014).

Considerato che:
4. con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 111 Cost, artt. 38, 183 e 175 c.p.c. e coni! secondo motivo violazione e
falsa applicazione degli artt. 24 e 25 cost., art. 20 e 25 cpc..
Tali motivi sono fondati.
Nel regime della decisione sulla questione di competenza introdotto dalla 1. n.
69 del 2009, l’ordinanza con la quale il giudice, dopo aver invitato le parti a
precisare le conclusioni ex art. 187, commi 1, 2 o 3 c.p.c., ed aver trattenuto la
causa in decisione, la rimetta sul ruolo per la prosecuzione del giudizio,
ammettendo le prove richieste dalle parti sul merito, rimanendo silente sulle
eccezioni di incompetenza ritualmente proposte, integra una decisione implicita
affermativa della competenza, immediatamente impugnabile con il regolamento
necessario ex art. 42 c.p.c., sicché la mancata proposizione di quest’ultimo nei
termini di legge determina il passaggio in giudicato di tale statuizione, con la
conseguenza che, qualora il giudice ritorni successivamente ad esaminare la
questione e declini la competenza, la relativa ordinanza è, per ciò solo,
illegittima (Cass. 18535/2016).

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territoriale, dovendosi ritenere tale soluzione coerente con l’esigenza di definire

Come da questa Corte più volte affermato, ai sensi dell’art. 38 c.p.c., sost.
dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 4,
l’incompetenza per materia, al pari di quella per valore e per territorio nei casi
previsti dall’art. 28 c.p.c., è rilevata, anche d’ufficio, ma non oltre la prima
udienza di trattazione, la quale, nel rito ordinario, si identifica con l’udienza di
cui all’art. 183 c.p.c.. La ratio è chiaramente da individuarsi nell’esigenza, tenuta

nel modo più sollecito possibile, prima dell’emanazione di qualsiasi altro
provvedimento, anche di carattere istruttorio, attinente al merito della
causa. (cfr in tal senso Cass. Sez. un. 19 ottobre 2007, n. 21858; Cass. Sez. un.
29 ottobre 2007, n. 22639; Cass. 16 ottobre 2008, n. 25248; Cass. 9 novembre
2011, n. 23298; 4 dicembre 2012, n. 21677; Cass. 11 dicembre 2012 n. 22731).
Tanto precisato, basta per accogliere l’istanza di regolamento di competenza ed
affermare la competenza del Tribunale di Bari.

5. Dev’essere, dunque, dichiarata la competenza del Tribunale di Bari, davanti al
quale le parti riassumeranno la controversia nel termine di legge. Le spese
seguono la soccombenza

P. Q. M.
La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Bari. Fissa per la riassunzione
il termine di cui all’art. 50 c.p.c. con decorso dalla comunicazione del deposito
della presente. Condanna le resistenti alla rifusione alla ricorrente delle spese del
giudizio di regolamento di competenza, liquidate in curo 2.800,00, per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi
liquidati in euro 200, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art.
1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti
per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a
norma del comma 1-bis del citato art. 13.
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presente dal legislatore, che la questione relativa alla competenza sia definita,

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della
Corte suprema di Cassazione in data 19 settembre 2017.

residente

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