Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30766 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. II, 28/11/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 28/11/2018), n.30766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

COMUNE PADOVA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 257, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA CIANNAVEI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati VINCENZO MIZZONI, MARINA LOTTO, PAOLO

BERNARDI;

– ricorrente –

contro

P.C., D.C.A., DE.CA.AL.

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55, presso lo

studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LAURA BERGAMO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2766/2015 del TRIBUNALE di PADOVA, depositata

il 13/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/09/2018 dal Consigliere LORENZO ORILIA;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. TRONCONE Fulvio, conclude per

l’accoglimento del ricorso, con cassazione della sentenza impugnata

e rinvio al Tribunale di Padova in diversa composizione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 – Il Comune di Padova ricorre per cassazione contro la sentenza 13.10.2015, con cui il Tribunale di Padova ha rigettato gravame proposto dall’ente contro la decisione del locale Giudice di Pace che aveva a sua volta accolto le opposizioni dei tre soci della Jean Pierre di D.C.A.G. & C snc (esercente attività di parrucchiere) avverso le ordinanze ingiunzione emesse nei confronti di ciascuno di essi dall’ente territoriale in relazione alla installazione di materiale pubblicitario visibile dalla pubblica via in assenza della prescritta autorizzazione comunale.

Per giungere a tale conclusione il giudice di appello ha rilevato, per quanto ancora interessa:

– che la responsabilità dei soci era di tipo omissivo colposo per avere omesso di vigilare sulla legittima installazione dei mezzi pubblicitari, non potendosi invece ipotizzare un concorso di persone nell’illecito amministrativo;

– che pertanto vi era un’unica violazione della quale erano responsabili in via solidale tutti e tre i soci per non avere presentato la richiesta di autorizzazione e per non avere vigilato sulla regolarità dell’installazione dei mezzi pubblicitari;

– che comunque il pagamento eseguito da C.A.G. aveva estinto l’unica sanzione che il Comune poteva richiedere, con effetto liberatorio per la società e gli altri soci obbligati solidali.

I tre soci resistono con controricorso.

Il Procuratore Generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Con un primo motivo il Comune di Padova denunzia la violazione e/o errata applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 3,5 e 6 in relazione all’art. 26 del regolamento comunale ed al D.Lgs n. 507 del 1993, art. 6 rilevando che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, la sanzione era stata correttamente irrogata a ciascun socio in quanto concorrente nell’illecito amministrativo.

1.2 Con un secondo motivo si lamenta la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 5 per avere il Tribunale errato nell’escludere il concorso di colpa dei soci nell’illecito amministrativo. Ad avviso del ricorrente, i soci che svolgevano attività di amministratore erano più di uno e quindi ognuno doveva rispondere della condotta per omessa vigilanza, con la conseguenza che il pagamento di uno solo di essi non fa venir meno l’obbligo per gli altri. Richiama la giurisprudenza in tema di concorso di persone nell’illecito amministrativo e il principio della presunzione di colpa a carico dell’autore dell’illecito, nonchè la regola dell’onere della prova.

2 I due motivi, che ben si prestano ad esame unitario (per il comune riferimento alla individuazione del soggetto passivo della violazione amministrativa), sono infondati, anche se si rende necessario correggere la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., essendo il dispositivo conforme al diritto.

Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 6 si riferisce all’imposta sulla pubblicità e non alla sanzione qui irrogata, attinente una violazione del Regolamento comunale in ordine all’affissione senza preventiva autorizzazione. A rilevare invece è la L. n. 689 del 1981, art. 6 (così, in motivazione, Sez. 2, Sentenza n. 13770 del 2009, riguardante proprio un caso di violazione di norme comunali sulle affissioni senza la preventiva autorizzazione).

Ebbene, la L. n. 689 del 1981, art., 6, comma 3 disciplina la solidarietà nelle violazioni amministrative e stabilisce che “Se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, la persona giuridica o l’ente o l’imprenditore è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta”.

E’ stato precisato che in caso di violazione amministrativa riconducibile ad una società, dotata o meno di personalità giuridica, la relativa sanzione va irrogata alla persona fisica autrice del fatto (rappresentante o dipendente dell’ente, nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze), salva l’eventuale responsabilità solidale della società medesima (Sez. 1, Sentenza n. 177 del 11/01/1999 Rv. 522143).

E ancora, nella disciplina delle infrazioni amministrative di cui alla legge 24 novembre 1981 n. 689, i soci di una società di persone non possono essere assoggettati a sanzione solo in base a tale qualità, perchè la pena pecuniaria deve essere irrogata a carico della persona fisica autrice del fatto, con l’eventuale responsabilità solidale della società, a norma della citata L., art. 6 (Sez. 1, Sentenza n. 5212 del 29/11/1989 Rv. 464394).

Sempre con riferimento alla applicabilità della sanzione ai soci di società di persone, più recenti pronunzie di questa Corte – richiamate anche nelle conclusioni del Procuratore Generale – hanno affermato il principio secondo cui in tema di sanzioni amministrative, a norma della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3 è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione; ne consegue che, qualora un illecito sia ascrivibile in astratto ad una società di persone (nella specie una s.n.c.), non possono essere automaticamente chiamati a risponderne i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all’infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale (v. Sez. 2, Sentenza n. 26238 del 06/12/2011 Rv. 619805; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21041 del 2013; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 6068 del 2018 queste ultime non massimate).

Nel caso in esame, il giudice di appello, con apprezzamento qui non sindacabile, ha escluso il concorso nell’illecito amministrativo (v. pag. 3 sentenza impugnata).

Di conseguenza, sempre nel caso in esame (in cui l’autore materiale della affissione abusiva era addirittura ignoto, come accertato dal giudice di merito) i singoli soci, seppur amministratori, non potevano essere chiamati a rispondere, ma al più poteva esserlo in via solidale la società e, comunque, solo a determinate condizioni (v. al riguardo Sez. 2, Sentenza n. 13770 /2009 cit.).

Essendo comunque stato eseguito il pagamento della sanzione da parte di C.A.G., uno degli amministratori (fatto assolutamente pacifico risultante dalla sentenza impugnata), la pretesa del Comune si è estinta e quindi la conclusione a cui è pervenuto il Tribunale è giuridicamente corretta.

Non resta quindi che respingere il ricorso con addebito di ulteriori spese al ricorrente.

Trattandosi di ricorso successivo al 30 gennaio 2013 e deciso sfavorevolmente, ricorrono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 1.950,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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