Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30764 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. II, 28/11/2018, (ud. 11/07/2018, dep. 28/11/2018), n.30764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27799-2014 proposto da:

V.F., rappresentato e difeso dall’avvocato DARIO

VISCONTI;

– ricorrente –

contro

L.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MAGNA GRECIA

84, presso lo studio dell’avvocato DANILO D’ANGELO, rappresentato e

difeso dagli avvocati MICHELE FARAGLIA e MARGHERITA FARAGLIA;

– controricorrente –

e contro

B.L., L.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 709/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 26/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/07/2018 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

RITENUTO

che la Corte d’appello de l’Aquila, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettato l’appello avanzato da V.F. nei confronti di B.L., L.G. e L.R., confermò la sentenza di primo grado, la quale aveva dichiarata usucapita dagli appellati un’area recintata, costituente parte integrante della particella n. (OMISSIS);

ritenuto che il V., propone ricorso per cassazione avverso la statuizione di cui sopra, prospettando tre motivi di censura e che degli intimati solo L.R. resiste con controricorso;

ritenuto che con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 102 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sulla base di quanto segue:

– il Comune di Introdacqua aveva acquistata nell’anno 1981 uno stacco di terreno da L. e B.C., per la edificazione di una piazza, nel 2003 si era avuto un frazionamento, operato illegittimamente, da cui era derivata la particella (OMISSIS), accorpata alla corte esclusiva (particella n. (OMISSIS)) e circa 13 mq dell’area oggetto della declaratoria d’usucapione erano di proprietà comunale;

– il Comune predetto non era stato in causa, come, peraltro T.D., coniuge del V. in regime di comunione dei beni e, pertanto, il contraddittorio non era integro.

Diritto

CONSIDERATO

che la censura deve essere disattesa per quanto appresso:

– la sentenza d’appello ha così spiegato le vicende traslative: in origine i terreni ortivi (in catasto al f. (OMISSIS) di are 5,20 e (OMISSIS) di are 2,30) si appartenevano a B.S., dante causa a titolo ereditario dei primigenei attori; nel 1978 gli eredi di B.S. vendettero ai coniugi V.- S., frazionata la part. (OMISSIS), “la porzione di fabbricato in (OMISSIS) (identificata in Catasto a part. (OMISSIS) con annessa corte comune) (…), mentre ai coniugi L.- B. vendettero l’altra porzione a parto (?) (OMISSIS) con annesse sia la stessa corte comune che l’area giardino per cui oggi è causa”; il terreno di cui alla part. 369 venne acquistato dal Comune d’Introdacqua (Delib. n. 16 del 1981) e, a seguito di ciò, si fece luogo a nuovo frazionamento, dal quale derivò la particella (OMISSIS), accorpata alla corte esclusiva part. (OMISSIS);

– alla superiore descrizione delle vicende traslative il ricorrente contrappone una ricostruzione, secondo la quale l’accorpamento catastale della particella (OMISSIS) alla corte esclusiva non corrisponderebbe al titolo, con la conseguenza che residuerebbe un’area di 13 mq di proprietà comunale;

– un tale asserto è aspecifico, in quanto privo di esaustiva e precipua indicazione documentale, che corrobori l’assunto, basandosi, invece, su una interpretazione delle pretese risultanze della CTU; in altri termini, al Giudice di legittimità, pur in presenza di denuncia di un error in procedendo, non può essere assegnato il compito della ricerca esplorativa all’interno dell’intiero incarto processuale di quelle emergenze, che secondo la prospettazione sorreggerebbero l’assunto;

– occorrerebbe, per contro, la analitica indicazione e allegazione dei documenti precipuamente diretti al fine, che qui vengono solo sommariamente e, per lacerti, evocati;

– si è, infatti, condivisamente chiarito che la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale(Sez. 1, n. 2771, 2/2/2017, Rv. 643715);

– peraltro, sulla scorta delle stesse affermazioni impugnatorie deve escludersi che la sentenza sarebbe inutiliter data, stante che ove fosse fondato l’assunto dei ricorrenti, quel lembo di 13 mq, ove effettivamente di proprietà comunale, non sarebbe in alcun modo inciso dalla pronuncia, la quale esplicherebbe i suoi effetti per intero sul resto dell’area;

– quanto alla esclusione dal giudizio di T.D., moglie del V., occorre osservare quest’ultimo si era proclamato (comparsa di risposta puntualmente richiamata dal controricorrente) proprietario esclusivo della part. (OMISSIS)/3 per successione paterna e, di conseguenza, il bene, dovendosi considerare personale, resta estraneo alla comunione legale (art. 179 c.p.c., lett. b);

considerato che il secondo motivo, con il quale il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.artt. 1140,1141 e 1158 c.c., nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, contestandosi l’intiero vaglio probatorio della sentenza gravata (prova per testi, valutazione di lettera proveniente dalla parte ricorrente) è inammissibile, essendo diretto, all’evidenza, ad ottenere un riesame di merito da parte del Giudice di legittimità;

– una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299); di conseguenza il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione (Sez. 3, 23940, 12/10/2017, Rv. 645828), oramai all’interno dell’angusto perimetro delineato dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5;

– l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. In definitiva la norma in parola consente il ricorso solo in presenza di omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo (dovendosi assimilare alla vera e propria omissione le ipotesi di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione) – S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 62, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914), omissione che qui non si rileva affatto, essendosi il ricorrente limitato a contrapporre la propria ricostruzione alla, peraltro completa ed articolata, motivazione della sentenza impugnata, che, a sua volta, richiamando gli esiti istruttori, conclude per la positiva maturazione del ventennio possessorio, escludendo eventi interruttivi di esso; in altri termini, come si è anticipato, il ricorso invoca un inammissibile globale riesame di merito, peraltro, sulla base di mere congetture;

considerato che anche il terzo motivo, con il quale si allega violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, e dell’art. 1165 c.c., contestandosi l’omessa lettura della missiva dell’1/12/2011, è del pari inammissibile, stante che anche in tal caso vengono mosse, e platealmente, critiche di merito al percorso motivazionale, giudicato espressamente inadeguato;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

che ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte dei ricorrenti, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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