Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30761 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 26/11/2019, (ud. 26/11/2018, dep. 26/11/2019), n.30761

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13386 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

Globe s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Livio Persico per

procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in

Roma, via della Mercede, n. 33, presso lo studio dell’Avv. Simone

Veneziano;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente e

ricorrente incidentale per la cassazione della sentenza della

Commissione Tributaria Regionale della Campania, n. 288/29/2011,

depositata in data 23 novembre 2011;

nonchè sul ricorso iscritto al n. 26461 del ruolo generale dell’anno

2013 proposto da:

Globe s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Livio Persico per

procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in

Roma, Viadotto Gronchi, n. 13, presso la Dott.ssa Maria Persico;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, n. 82/23/2013, depositata in data 3 aprile

2013;

nonchè sul ricorso iscritto al n. 26466 del ruolo generale dell’anno

2013 proposto da:

Globe s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Livio Persico per

procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in

Roma, Viadotto Gronchi, n. 13, presso la Dott.ssa Maria Persico;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, n. 81/23/2013, depositata in data 3 aprile

2013;

nonchè sul ricorso iscritto al n. 26468 del ruolo generale dell’anno

2013 proposto da:

Globe s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Livio Persico per

procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in

Roma, Viadotto Gronchi, n. 13, presso la Dott.ssa Maria Persico;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, n. 86/23/2013, depositata in data 3 aprile

2013;

nonchè sul ricorso iscritto al n. 13417 del ruolo generale dell’anno

2014 proposto da:

Globe s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Livio Persico per

procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in

Roma, via Viadotto Gronchi, n. 13, presso la Dott.ssa Maria Persico;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, n. 359/15/2013, depositata in data 8

ottobre 2013;

nonchè sul ricorso iscritto al n. 13923 del ruolo generale dell’anno

2014 proposto da:

Globe s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Livio Persico per

procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in

Roma, via Viadotto Gronchi, n. 13, presso la Dott.ssa Maria Persico;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– resistente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, n. 376/33/2013, depositata in data 22

ottobre 2013;

nonchè sul ricorso iscritto al n. 20416 del ruolo generale dell’anno

2015 proposto da:

Globe s.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Livio Persico per

procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in

Roma, Viadotto Gronchi, n. 13, presso la Dott.ssa Maria Persico;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, n. 784/29/2015, depositata in data 27

gennaio 2015;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 novembre 2018

dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo:

relativamente al ricorso n. 13386/2012, il rigetto del ricorso

principale e di quello incidentale;

relativamente al ricorso n. 26461/2013, l’inammissibilità e, in

subordine, il rigetto del ricorso;

relativamente al ricorso n. 26466/2013, il rigetto del ricorso;

relativamente al ricorso n. 26468/2013, il rigetto del ricorso;

relativamente al ricorso n. 13417/2014, il rigetto del ricorso;

relativamente al ricorso n. 13923/2014, il rigetto del ricorso;

relativamente al ricorso n. 20416/2015, l’accoglimento del ricorso

p.q.e..

udito per l’Agenzia delle dogane e, relativamente al ricorso n.

20416/2015, per l’Agenzia delle entrate, l’Avvocato dello Stato

Salvatore Faraci.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Relativamente al ricorso n. 13386/2012.

La Globe s.r.l., in liquidazione, ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania con la quale sono stati rigettati l’appello principale proposto dall’Agenzia delle dogane e quello incidentale proposto dalla società avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli.

Dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della società contribuente quindici avvisi di rettifica del valore dichiarato nella bolletta doganale della merce oggetto di importazione nonchè otto avvisi di rettifica per recupero delle agevolazioni daziarie per illegittima applicazione del regime preferenziale sulle importazioni; avverso i suddetti atti la contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli limitatamente alla pretesa per illegittima applicazione del regime preferenziale sulle importazioni, mentre era stato rigettato relativamente agli avvisi di rettifica con i quali era stato rideterminato il valore della merce dichiarato al momento dell’importazione; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello principale l’Agenzia delle dogane e appello incidentale la contribuente.

La Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato entrambi gli appelli.

In particolare, ha ritenuto che: relativamente alla questione della illegittima applicazione del regime preferenziale sulle importazioni, non poteva darsi rilievo alla circostanza che il certificato di origine della merce era stato rilasciato dopo l’esportazione, essendo tale possibilità riconosciuta dal Reg. Cee 2 luglio 1993, n. 2454, e trattandosi, inoltre, di una mera irregolarità formale; relativamente alla questione della rideterminazione del valore della merce importata, non sussisteva alcuna violazione del Reg. Cee n. 2913/1992, avendo l’Agenzia delle dogane considerato, sulla base del sistema nazionale di rilevazione M.E.R.C.E., che il prezzo di qualsiasi manufatto deve essere superiore, anche se di poco, a quello della materia prima impiegata.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la contribuente affidato a due motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle dogane con controricorso e ricorso incidentale, affidato a un unico motivo.

Relativamente al ricorso n. 26461/2013.

La Globe s.r.l., in liquidazione, ricorre con un unico motivo per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania con la quale è stato rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli.

Dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della società contribuente quattro avvisi di rettifica del valore dichiarato nella bolletta doganale della merce oggetto di importazione; avverso i suddetti atti la contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la contribuente.

La Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello.

In particolare, ha ritenuto che, nella fattispecie, l’Agenzia delle dogane aveva fatto corretta applicazione dell’art. 181-bis del Reg. Cee n. 2454/1993, sussistendo il “fondato dubbio” della veridicità del prezzo di transazione, ed a tal propositivo ha fatto richiamo a quanto già valutato dal giudice di prime cure, in particolare alla circostanza che lo stesso derivava dalla comparazione fra il costo del prodotto finito e quello della uguale quantità di materia prima rilevata nello stesso periodo, sicchè correttamente l’ufficio doganale aveva provveduto alla rideterminazione del valore della merce sulla base del sistema nazionale di rilevazione M.E.R.C.E.; inoltre, ha ritenuto che la contribuente non aveva censurato espressamente la decisione di primo grado sugli altri punti sui quali la stessa si era pronunciata.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la contribuente affidato a un unico motivo di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle dogane con controricorso.

Relativamente al ricorso n. 26466/2013.

La Globe s.r.l., in liquidazione, ricorre con un unico motivo per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania con la quale è stato rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli.

Dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della società contribuente 22 avvisi di rettifica del valore dichiarato nella bolletta doganale della merce oggetto di importazione; avverso i suddetti atti la contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli;

avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la contribuente.

La Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello.

In particolare, ha ritenuto che, nella fattispecie, l’Agenzia delle dogane aveva fatto corretta applicazione dell’art. 181-bis del Reg. Cee n. 2454/1993, sussistendo il “fondato dubbio” della veridicità del prezzo di transazione, ed a tal proposito ha richiamato quanto già valutato dal giudice di prime cure, in particolare la circostanza che lo stesso derivava dalla comparazione fra il costo del prodotto finito e quello della uguale quantità di materia prima rilevata nello stesso periodo, sicchè aveva provveduto alla rideterminazione del valore della merce sulla base del sistema nazionale di rilevazione M.E.R.C.E.; inoltre, ha ritenuto che la contribuente non aveva censurato espressamente la decisione di primo grado sugli altri punti sui quali la stessa si era pronunciata.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la contribuente affidato a un unico motivo di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle dogane con controricorso.

Relativamente al ricorso n. 26468/2013.

La Globe s.r.l., in liquidazione, ricorre con un unico motivo per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania con la quale è stato rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli.

Dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della società contribuente cinque avvisi di rettifica del valore dichiarato nella bolletta doganale della merce oggetto di importazione, non ritenendolo attendibile avendo, tra l’altro, verificato che una fattura emessa dalla società cinese per la vendita alla contribuente era risultata falsa in quanto l’originale trasmesso dalla autorità estere aveva evidenziato un valore reale unitario della merce superiore a quello indicato nella fattura presentata all’atto dell’importazione; avverso i suddetti atti la contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la contribuente.

La Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello.

In particolare, ha ritenuto che, nella fattispecie, l’Agenzia delle dogane aveva fatto corretta applicazione dell’art. 181-bis del Reg. Cee n. 2454/1993, sussistendo il “fondato dubbio” della veridicità del prezzo di transazione, tenuto conto della circostanza che l’ufficio doganale aveva comparato il prezzo indicato nelle bollette con una fattura emessa dalla società esportatrice in favore della contribuente e avente ad oggetto identica merce, sicchè correttamente aveva ritenuto di provvedere alla rideterminazione del valore della merce sulla base del sistema nazionale di rilevazione M.E.R.C.E.; inoltre, ha ritenuto che la contribuente non aveva censurato espressamente la decisione di primo grado sugli altri punti sui quali la stessa si era pronunciata;

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la contribuente affidato a un unico motivo di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle dogane con controricorso.

Relativamente al ricorso n. 13417/2014.

La Globe s.r.l., in liquidazione, ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania con la quale è stato rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli.

Dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della società contribuente un atto di contestazione e di irrogazione delle sanzioni conseguenti alla precedente notifica di avvisi di rettifica del valore dichiarato nella bolletta doganale della merce importata, oggetto di due ricorsi proposti dalla contribuente in separati giudizi; avverso il suddetto atto la contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la contribuente.

La Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello.

In particolare, ha osservato che: non poteva trovare accoglimento la richiesta di sospensione del giudizio in attesa della definizione della controversia relativa agli avvisi di accertamento e rettifica del valore di importazione della merce, essendo intervenuta la decisione del giudice di appello sulla questione, sicchè, non avendo parte appellante proposto motivi di impugnazione autonomi relativi all’atto impugnato,, poteva procedersi alla decisione della controversia; l’appello era da considerarsi inammissibile, in quanto: a) erano da considerarsi nuovi i motivi di impugnazione relativi alla ritenuta violazione degli artt. 29 e 30 del Regolamento Cee n. 2913/1992 e degli artt. 143 e 181-bis del Regolamento Cee n. 2454/1993 nonchè alla carenza di prova della pretesa di cui agli avvisi di rettifica; b) non sussistevano specifici motivi di contestazione autonomi relativi all’atto di contestazione e di irrogazione delle sanzioni, oggetto del giudizio, essendosi parte appellante limitata a riprodurre gli stessi motivi di ricorso già proposti, senza specifica censura della sentenza impugnata.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la contribuente affidato a due motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle dogane con controricorso.

Relativamente al ricorso n. 13923/2014.

La Globe s.r.l., in liquidazione, ricorre con un unico motivo per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania con la quale è stato rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli.

Dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della società contribuente un avviso di rettifica del valore dichiarato nella bolletta doganale di merce oggetto di importazione; avverso il suddetto atto la contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la contribuente.

La Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello.

In particolare, ha osservato che: l’avviso di rettifica era stato emesso a seguito della verifica della non validità del certificato di origine, rilasciato dalle autorità doganali del Myanmar, in quanto non conforme alle norme vigenti dello Stato dell’esportatore; non rilevava la sentenza di assoluzione nei confronti del rappresentante legale della contribuente, sia in quanto era stato comunque accertato il fatto (avendo la sentenza pronunciato l’assoluzione perchè il fatto non costituisce reato), sia in quanto, essendo la pretesa tributaria fondata sulla contestazione di maggiori diritti doganali rispetto a quelli corrisposti, assumeva rilievo la mancanza di un valido titolo che certificava la provenienza e la destinazione della merce, essendo, d’altro lato, irrilevante il profilo soggettivo della consapevolezza e del coinvolgimento dell’importatore nelle condotte illecite dell’esportatore; l’esistenza di un certificato di origine falso, utilizzato ai fini dell’importazione, implicava necessariamente che la fattura, poi presentata con la dichiarazione in dogana, non era stata prodotta alla stessa autorità estera, e, da tale circostanza, poteva ricavarsi che l’importo del valore della merce dichiarato non era attendibile, soprattutto nel caso di specie, in cui era stato accertato che i valori espressi al momento dell’importazione erano risultati largamente inferiori ai prezzi di mercato; era da considerarsi corretta la rideterminazione del valore della merce, mediante l’utilizzo del sistema M.E.R.C.E..

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la contribuente affidato a un unico motivo di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle dogane depositando atto denominato “di costituzione” dichiarando di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Relativamente al ricorso n. 20416/2015.

La Globe s.r.l., in liquidazione, ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania con la quale è stato parzialmente accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli.

Dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti della società contribuente tre avvisi di accertamento con i quali aveva recuperato a tassazione, ai fini Ires, Irap e Iva, per gli anni di imposta 2006, 2007 e 2008, ricavi non dichiarati e costi non deducibili; i suddetti avvisi di accertamento erano conseguenza della verifica in precedenza effettuata dall’Agenzia delle dogane sul valore dichiarato nella bolletta doganale di merce oggetto di importazione, avendo constatato che il suddetto valore era inferiore a quello di mercato; avverso i suddetti atti la contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate.

La Commissione tributaria regionale della Campania ha parzialmente accolto l’appello.

In particolare, ha ritenuto che: l’oggetto della controversia riguardava unicamente l’atto di accertamento dell’Agenzia delle entrate dei maggiori ricavi non dichiarati dalla contribuente ai fini delle imposte dirette e Iva e non la rideterminazione dei maggiori valori della merce importata, oggetto della diversa verifica dell’Agenzia delle dogane, sulla quale vi era stata pronuncia passata in giudicato; pertanto, nessuna contestazione sulla suddetta verifica poteva essere proposta dalla contribuente; nel merito, poichè non era in discussione la misura della percentuale del ricarico del quindici per cento applicata, sia in quanto la stessa era stata determinata in contraddittorio con la contribuente sia in quanto non era stata contestata, i maggiori ricavi potevano essere determinati applicando i valori definitivamente accertati; doveva, infine, essere accolta l’eccezione della contribuente in ordine alla deducibilità dei maggiori costi sostenuti a fronte di maggiori ricavi accertati, stante la previsione di cui al D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la contribuente affidato a quattro motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, ai sensi dell’art. 274, c.p.c., va disposta la riunione al ricorso n. 13386/2012 dei ricorsi nn. 26461/2013, 26466/2013, 26468/2013, 13417/2014, 13923/2014 e 20416/2015, attesa la identità delle questioni ed il rapporto di pregiudizialità con i procedimenti n. 13417/2014 e n. 20416/2015.

1. Sul ricorso n. 13386/2012.

Sui motivi di ricorso principale.

1.1. Con il primo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 30 del Regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913 (di seguito, Codice doganale comunitario), nonchè degli artt. 143 e 181 bis del Regolamento (CEE) della Commissione 2 luglio 1993, n. 2454.

In particolare, parte ricorrente censura la sentenza per non avere correttamente applicato l’art. 29 del Codice doganale comunitario, che prevede che il valore di transazione della merce deve essere determinato in relazione al prezzo effettivamente pagato o da pagare, sicchè l’ufficio doganale avrebbe potuto prescindere da tali indicazioni solo ove si fosse verificata una delle fattispecie previste nei capi a), b), c) e d), del primo paragrafo del suddetto articolo.

Sostiene, a tal proposito, la ricorrente che l’ufficio doganale aveva proceduto alla rettifica del valore dichiarato senza avere fatto riferimento, per fondare i “fondati dubbi”, a una riscontrata divergenza tra il valore dichiarato e quello effettivamente pagato (secondo quanto previsto dall’art. 29, cit.), bensì ad una ritenuta difformità tra il prezzo pattuito ed il valore obiettivo, cioè venale, della merce, mentre il sistema delineato dal Codice doganale comunitario non consentirebbe una rettifica fondata sul “dubbio” che il valore dichiarato quale prezzo delle merci non sia rappresentativo del valore venale della merce.

Pertanto, secondo parte ricorrente, non essendo stata fatta contestazione in merito alla eventuale diversità tra l’importo indicato in fattura ed il prezzo pagato o, comunque, alla necessità di computare ulteriori oneri quali quelli inerenti al trasporto della merce, l’ufficio doganale non avrebbe potuto prescindere da tale valore della transazione, corrispondente a quello indicato dal fornitore estero nella propria fattura ed al prezzo effettivamente pagato, sicchè non sarebbe stato violato solo l’art. 29, cit. ma anche l’art. 30 del medesimo Codice doganale comunitario, che prevede che solo quando il valore della merce non può essere determinato secondo l’art. 29, è possibile procedere ai criteri previsti dal medesimo articolo.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha ritenuto che era legittima la pretesa dell’ufficio doganale fondata sulla verifica che, nella fattispecie, il prezzo della merce era risultato inferiore al costo della materia prima utilizzata.

Dall’esame del contenuto del p.v.c., riprodotto dalla ricorrente, si evince che la pretesa era fondata sul “fondato dubbio” della veridicità del prezzo di transazione dichiarato, in quanto ritenuto non attendibile, posto che lo stesso era risultato inferiore al costo della sola materia prima utilizzata desunto dalla scheda-prodotto trasmessa dalla Direzione generale delle Dogane ed elaborata dalla Confartigianato di Prato per prezzi rilevati sul mercato internazionale.

Il riferimento, quindi, compiuto dal giudice del gravame, alla circostanza che il prezzo della merce dichiarato era risultato inferiore al costo della materia prima attiene alle ragioni per le quali l’ufficio doganale aveva ritenuto sussistenti i “fondati dubbi” sulla veridicità del valore del prezzo dichiarato.

Va osservato, a tal proposito, che, secondo l’art. 181-bis del Regolamento Cee n. 2454/1993, “Le autorità doganali non sono tenute a determinare il valore in dogana delle merci importate in base al metodo del valore di transazione se, in esito alla procedura di cui al paragrafo 2, hanno fondati dubbi che il valore dichiarato rappresenti l’importo totale pagato o da pagare ai sensi dell’art. 29 del codice doganale”.

La Corte di giustizia, 16 giugno 2016, causa C-291/15, ha precisato che l’art. 181-bis del regolamento di applicazione, prevede che, qualora abbiano fondati dubbi che il valore dichiarato delle merci importate rappresenti l’importo totale pagato o da pagare, le autorità doganali non sono tenute a determinare il valore doganale in base al metodo del valore di transazione. Esse possono, di conseguenza, respingere il prezzo dichiarato qualora tali dubbi persistano anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi (v., in tal senso, sentenza del 28 febbraio 2008, Carboni e derivati, C-263/06, EU:C:2008:128, punto 52).

La medesima pronuncia della Corte di giustizia ha, altresì, affermato, con riferimento ai presupposti per la sussistenza dei “fondati dubbi”, che spetta al giudice del rinvio, l’unico ad avere una conoscenza diretta della controversia ad esso sottoposta, di determinare se i dubbi dell’autorità doganale di cui al procedimento principale siano fondati al fine di ricorrere ai metodi secondari e se tale autorità abbia fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi.

Con riferimento al primo profilo, la pronuncia censurata, come detto, ha sostanzialmente ritenuto legittima la pretesa dell’ufficio doganale di rideterminazione del valore della merce in quanto basata sul ” fondato dubbio” della veridicità del prezzo di transazione atteso che, dalle indagini compiute, il costo della materia prima era risultato superiore a quello di acquisto della merce.

La suddetta valutazione, comunque non contestata dalla parte ricorrente in ordine alla riconducibilità della circostanza di fatto rilevata alla sussistenza di fondati dubbi, attiene al merito della controversia, e non può essere censurata in questa sede.

Con riferimento al secondo profilo, parte ricorrente non ha prospettato alcuna ragione di doglianza in ordine alla eventuale inosservanza della procedura, prevista nell’art. 181 bis. cit., preordinata al fine di tutelare il diritto di difesa del contribuente, sicchè lo stesso non può, comunque, essere preso in considerazione ai fini della definizione della controversia.

Ciò precisato, va quindi ritenuto che non correttamente parte ricorrente sostiene che il giudice del gravame abbia fatto una errata applicazione della previsione di cui all’art. 29 del Codice doganale comunitario, in quanto, se è vero che, in generale, secondo la suddetta previsione, il valore della merce deve essere determinato tenendo in considerazione il valore di transazione, tuttavia, non può escludersi, proprio sulla base della previsione di cui all’art. 181-bis, del Reg. Cee n. 2454/1993, che quel valore sia oggetto di contestazione in quanto ritenuto non corrispondente a quello reale.

Ciò è in linea con l’orientamento della Corte di giustizia, secondo cui, se il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci costituisce, in linea generale, la base di calcolo del valore in dogana, tale prezzo è un dato che deve eventualmente essere oggetto di rettifiche qualora tale operazione sia necessaria per evitare di determinare un valore in dogana arbitrario o fittizio (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2013, Christodoulou, C-116/12, EU/C/2013/825, punto 39).

Inoltre, la Corte di giustizia ha reiteratamente stabilito che il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci “deve eventualmente formare oggetto di rettifiche qualora tale operazione sia necessaria per evitare di determinare un valore in dogana arbitrario o fittizio” (da ultimo, Corte giust., 20 dicembre 2017, causa C-596/16, Hamamatsu Photonics Deutschland Gmbh). Ed è proprio l’esclusione dell’arbitrarietà o della fittizietà che comporta, giustappunto, la determinazione di un valore in dogana che rispecchi quello della merce.

Pertanto, non può assumere rilevanza, come invece sostenuto dalla ricorrente, che la circostanza che la stessa aveva effettivamente corrisposto il prezzo pagato di cui alle fatture avrebbe dovuto escludere la possibilità di una successiva rettifica del valore dichiarato.

Sotto questo profilo, anche il richiamo alla previsione di cui all’art. 30, Reg. Cee n. 2454/1993, non può trovare accoglimento, in quanto parte ricorrente sostiene, erroneamente, che la successiva applicazione dei criteri di determinazione del valore della merce non può essere compiuta quando non si può, come sarebbe nel caso di specie, prescindere dalla determinazione del prezzo dichiarato in dogana.

In realtà, come detto, proprio la previsione di cui all’art. 181-bis del suddetto Regolamento consente all’ufficio doganale, in presenza di fondati dubbi sul valore della merce in dogana, di procedere ad una diversa determinazione del valore medesimo.

1.2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

In particolare, parte ricorrente lamenta che la sussistenza dei fondati dubbi è stata basata sulla circostanza della minore entità del prezzo corrisposto rispetto al costo della sola materia prima utilizzata, ma ha evidenziato che: a) i contenuti della scheda-prodotto trasmessa dalla Direzione generale delle Dogane ed elaborata dalla Confartigianato di Prato per prezzi rilevati sul mercato internazionale non erano stati riportati nel p.v.c., nè allegati allo stesso nè prodotti in giudizio, sicchè la decisione del giudice di appello, in quanto fondata su risultanze non evincibili dagli atti di causa, contiene una motivazione meramente apparente; b) la sentenza individua la sussistenza del minore valore del prezzo di acquisto rispetto a quello del costo della materia prima facendo riferimento al sistema M.E.R.C.E., non già alla scheda-prodotto sopra indicata, sicchè ha fatto riferimento ad una banca dati, quella relativa al suddetto sistema, che rileva solo i prezzi di vendita della merce, non anche i costi, sicchè la pronuncia è da considerarsi illogica; c) non si è tenuto conto delle ragioni fatte valere nei precedenti gradi di giudizio in ordine alla circostanza relativa alla determinazione dei costi e prezzi di vendita, non potendosi prescindere dalla esatta conoscenza della natura e qualità dei prodotti e da tutti gli ulteriori elementi che presuppongono una concreta conoscenza della merce.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, è priva di pregio la censura relativa alla mancata allegazione o produzione in giudizio della scheda-prodotto sulla cui base l’ufficio doganale ha ritenuto sussistenti i “fondati dubbi” che hanno legittimato la rideterminazione del valore della merce: si tratta di un motivo di doglianza del vizio di motivazione dell’atto impugnato che parte ricorrente avrebbe dovuto coltivare nei precedenti gradi di giudizio di merito.

Non sussiste, comunque, una motivazione apparente, avendo il giudice del gravame chiaramente precisato le ragioni per le quali ha ritenuto che l’esercizio del potere di revisione era stato legittimamente esercitato.

In secondo luogo, con riferimento alla ragione di censura di cui al punto b), è vero che il giudice del gravame ha ritenuto che la sussistenza dei “fondati dubbi”, basata sulla compiuta verifica della minore entità del prezzo corrisposto rispetto al costo della sola materia prima, trovava supporto nel sistema M.E.R.C.E., piuttosto che nei contenuti nella scheda-prodotto, ma quel che rileva è che, proprio al fine di verificare la sussistenza dei “fondati dubbi”, il giudice del gravame ha, comunque, affermato che era stato accertato che, nella fattispecie, il prezzo dei manufatti era inferiore a quello del costo e tale profilo ha costituito il momento centrale della statuizione del giudice del gravame che, sul punto, si è richiamato a quanto sostenuto dall’ufficio doganale con la pretesa impositiva in esame, nella quale era chiaramente precisato, secondo quanto riprodotto da parte ricorrente, che il valore dichiarato non era attendibile alla luce della considerazione del costo della materia prima desunto dalla scheda-prodotto.

Infine, con riferimento al terzo profilo, lo stesso è da considerarsi inammissibile, in quanto parte ricorrente si limita a formulare generiche contestazioni in ordine alle modalità di accertamento del costo della merce, riportando considerazioni difensive svolte in sede di atto di appello ma senza indicare, in violazione del principio di autosufficienza, elementi di fatto controversi e decisivi per il giudizio che avrebbero potuto condurre a ritenere sussistente il vizio di motivazione della sentenza, come invece postulato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Sul motivo di ricorso incidentale

1.3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 85 del Reg. Cee n. 2454/1993, per avere ritenuto che la contribuente si era legittimamente avvalsa del regime del sistema daziario preferenziale, nonostante che il certificato di origine era stato rilasciato solo a posteriori e senza la dicitura emesso a posteriori, come invece espressamente richiesto dall’art. 85 del Reg. Cee n. 2454/1993.

In particolare, parte ricorrente evidenzia che, differentemente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, la mancata annotazione sul certificato di origine rilasciato a posteriori non costituisce una mera irregolarità formale, in quanto risponde ad una esigenza sostanziale, poichè consente all’autorità del Paese di importazione di avere contezza del fatto che l’autorità del Paese di esportazione aveva proceduto al controllo della sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 85, comma 1, del Reg. Cee n. 2454/1993, evitando che gli importatori si avvantaggino, senza averne diritto, di un trattamento daziario preferenziale.

Il motivo è fondato.

Va precisato che nella fattispecie si controverte in ordine alla sussistenza del diritto della contribuente di avvalersi del regime doganale preferenziale sulla base di un certificato di origine non rilasciato al momento dell’importazione, ma a posteriori e senza alcuna espressa indicazione della dicitura emesso a posteriori, come invece espressamente richiesto dall’art. 85 del Reg. Cee n. 2454/1993.

Va quindi precisato il quadro normativo di riferimento applicabile alla fattispecie, tenuto conto che dagli atti difensivi delle parti si evince che le importazioni in esame riguardano i periodi 20062008.

Secondo l’art. 80 del Reg. Cee n. 2454/1993, applicabile ratione temporis, “I prodotti originari dei paesi beneficiari beneficiano delle preferenze tariffarie di cui all’art. 67 su presentazione: a) di un certificato di origine, modulo A, il cui modello figura nell’allegato 17…”.

L’art. 81 del Reg. Cee, cit., prevede che “I prodotti originari ai sensi della presente sezione possono, all’atto dell’importazione nella Comunita, beneficiare delle preferenze tariffarie di cui all’art. 67 a condizione che siano stati trasportati direttamente nella Comunita, ai sensi dell’art. 78, su presentazione di un certificato di origine, modulo A, rilasciato dalle autorità doganali o da altre autorità pubbliche competenti del paese beneficiario d’esportazione.”.,

L’art. 83 del Reg. Cee, cit., prevede che “Il certificato d’origine, Modulo A, costituisce il documento giustificativo dell’applicazione delle disposizioni relative alle preferenze tariffarie di cui all’art. 67, e spetta quindi alle autorità pubbliche competenti del paese d’esportazione prendere le disposizioni necessarie per verificare l’origine dei prodotti e controllare le altre dichiarazioni contenute nel certificato”.

Infine, l’art. 85 del Reg. Cee, cit., prevede che “In deroga all’art. 81, paragrafo 5, il certificato di origine, modulo A, può essere rilasciato, in via eccezionale, dopo l’esportazione dei prodotti cui si riferisce se: a) non è stato rilasciato al momento dell’esportazione a causa di errori, omissioni involontarie o circostanze particolari; oppure se b) viene fornita alle autorità doganali la prova soddisfacente che un certificato di origine, modulo A, è stato rilasciato ma non è stato accettato all’importazione per motivi tecnici. 2. Le autorità pubbliche competenti possono rilasciare a posteriori un certificato solo dopo aver verificato che le indicazioni contenute nella domanda dell’esportatore sono conformi a quelle della pratica corrispondente e che non sia stato rilasciato, al momento dell’esportazione dei prodotti in questione, alcun certificato di origine, modulo A conforme alle disposizioni della presente sezione. 3. I certificati di origine, modulo A, rilasciati a posteriori devono recare nella casella n. 4 la dicitura “Delivre a posteriori” o “Issued retrospectively””.

Dalla ricostruzione del suddetto quadro normativo di evincono due profili rilevanti ai fini della presente controversia.

Da un lato, sussiste un principio generale di presentazione della merce, al momento dell’importazione, unitamente al certificato di origine, essendo questa una condizione necessaria per potere validamente esercitare il diritto all’agevolazione daziaria del sistema preferenziale.

Ciò presuppone che, prima dell’importazione, sia stato richiesto all’autorità estera il rilascio del certificato di origine e che la merce sia importata con il corredo del suddetto certificato.

D’altro lato, come visto, l’art. 85, sopra citato, contiene una previsione che deroga, a determinate condizioni, al principio generale sopra indicato.

La possibilità, cioè, che l’autorità estera rilasci un certificato di origine successivamente all’importazione è ammessa solo per particolari ipotesi, il che comporta che, al di fuori delle stesse, trova applicazione la regola generale, sicchè l’importatore non può, al fine di potere far valere il suo diritto, utilizzare certificati di origine rilasciati dopo l’ingresso della merce nel Paese di importazione.

Va precisato che le ipotesi derogatorie, di cui all’art. 85 del Reg. Cee, cit., a ben vedere, riguardano circostanze del tutto particolari, in cui, in particolare, o era stato comunque richiesto il rilascio del certificato di origine, ma lo stesso, per errori, omissioni involontarie o circostanze particolari, non era stato rilasciato, ovvero in cui lo stesso era stato rilasciato, ma, al momento dell’importazione, non era stato ritenuto valido dall’autorità del Paese di importazione.

In entrambi i casi, quindi, vi era stata l’attivazione del soggetto esportatore per ottenere il rilascio del certificato di origine, sicchè la previsione normativa tiene in considerazione ipotesi peculiari di recupero, a determinate condizioni, della utilizzabilità del suddetto certificato.

Nei suddetti casi, come evidenziato, l’autorità del Paese di esportazione, ai fini del rilascio a posteriori del certificato, procede ad un accertamento in ordine alla sussistenza delle suddette condizioni, enunciando espressamente il suddetto avvenuto controllo apponendo al suddetto certificato la dicitura: “controllo a posteriori”, proprio al fine di segnalare all’autorità del Paese di importazione la sussistenza dei presupposti per il rilascio della suddetta certificazione postuma, consentendo, in ragione degli accertamenti compiuti, di riconoscere legittimità all’applicazione del regime daziario preferenziale sulla già avvenuta operazione di importazione della merce.

Proprio l’eccezionalità del rilascio della certificazione a posteriori, evidenziata dall’utilizzo, nella previsione in esame, dei termini “in deroga” e “in via eccezionale”, conferma la non derogabilità, per altre ragioni, al principio generale, sopra precisato, della necessità della sussistenza del certificato di origine della merce al momento dell’importazione al fine di potere far valere la particolare disciplina di trattamento daziario privilegiato in esame.

La fattispecie in esame si differenzia dall’applicabilità delle disciplina derogatoria sopra evidenziata, risultando che il contribuente ha utilizzato tardivamente il certificato di origine in esame, il che implica che, al momento dell’importazione, lo stesso aveva introdotto la merce senza essersi munito, come invece richiesto dalla disciplina normativa comunitaria sopra illustrata, del certificato di origine.

Ne consegue che la sentenza censurata non è conforme a diritto laddove ha ritenuto che la tardiva presentazione del certificato di origine non può escludere il diritto alla riduzione daziaria, essendo una mera irregolarità formale.

1.4. In conclusione, va rigettato il ricorso principale e accolto il ricorso incidentale, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatti, la pronuncia va cassata e, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente, con compensazione delle spese di lite relative ai giudizi di merito e condanna al pagamento delle spese di lite relative a questo grado di giudizio.

2. Sul ricorso n. 26461/2013.

2.1. Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 30 del Regolamento doganale Cee 12 ottobre 1992, n. 2913, nonchè degli artt. 143 e 181 bis del Regolamento Cee 2 luglio 1993, n. 2454, nonchè degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c..

Si tratta di un motivo di censura già illustrato in sede di esame del primo motivo di ricorso, sopra riportato al n. 1.1., di cui al ricorso n. 13386/2012.

Inoltre, rispetto al motivo di ricorso già illustrato, si evidenzia che parte ricorrente aggiunge, con il presente ricorso, anche una ragione di censura che attiene alla violazione degli artt. 2697,2727 e 2729, c.c., in quanto la sentenza ha erroneamente applicato una prova presuntiva, individuando il fatto ignoto – cioè l’entità maggiore del prezzo pagato o da pagare rispetto a quello dichiarato – desumendolo dal fatto noto, costituito dalla incongruità del valore dichiarato, mentre doveva fornire adeguata prova in ordine al fatto della non veridicità del prezzo riportato nelle fatture, non potendosi dire che la stessa sia stata fornita se non sulla base di una molteplicità di elementi presuntivi, mentre, nella fattispecie, la pretesa dell’ufficio doganale si era fondata sull’unico elemento indiziario costituito dal riferimento alla “scheda-prodotto” elaborata dalla Confartigianato di Prato.

Il motivo è infondato, per le stesse ragioni illustrate in sede di esame del sopra citato motivo di ricorso riportato al n. 1.1., cui si rinvia, attesa l’identità delle ragioni di doglianza.

La sentenza impugnata, infatti, ha ritenuto che era legittima la pretesa dell’ufficio doganale fondata sulla verifica che, nella fattispecie, il prezzo della merce era risultato inferiore al costo della materia prima.

Dall’esame del contenuto dell’avviso di rettifica, riprodotto dalla ricorrente, si evince che la pretesa era fondata sul “fondato dubbio” della veridicità del prezzo di transazione dichiarato, in quanto ritenuto non attendibile, posto che lo stesso era risultato inferiore al costo della sola materia prima costitutiva desunto dalla scheda-prodotto trasmessa dalla Direzione generale delle Dogane ed elaborata dalla Confartigianato di Prato per prezzi rilevati sul mercato internazionale.

Il riferimento, quindi, compiuto dal giudice del gravame, alla circostanza che il prezzo della merce dichiarato era risultato inferiore al costo della materia prima attiene alle ragioni per le quali l’ufficio doganale aveva ritenuto sussistenti i “fondati dubbi” sulla veridicità del valore del prezzo dichiarato.

Si ribadisce che non correttamente parte ricorrente sostiene che il giudice del gravame abbia fatto una errata applicazione della previsione di cui all’art. 29 Reg. Cee, cit., in quanto, se è vero che, in generale, secondo la suddetta previsione, il valore della merce deve essere compiuto tenendo in considerazione il valore di transazione, tuttavia, non può escludersi, proprio sulla base della previsione di cui all’art. 181-bis, del Reg. Cee, cit., che quel valore sia oggetto di contestazione in quanto ritenuto non corrispondente a quello reale.

Non può quindi assumere rilevanza, come invece sostenuto dalla ricorrente, la circostanza che la stessa aveva effettivamente corrisposto il prezzo pagato di cui alle fatture avrebbe dovuto escludere la possibilità di una successiva rettifica del valore dichiarato.

Sotto questo profilo, anche il richiamo alla previsione di cui all’art. 30, Reg. Cee, non può trovare accoglimento, in quanto parte ricorrente sostiene, erroneamente, che la successiva applicazione dei criteri di determinazione del valore della merce non può essere compiuta quando non si può, come sarebbe nel caso di specie, prescindere dalla determinazione del prezzo dichiarato in dogana. In realtà, come detto, proprio la previsione di cui all’art. 181-bis del Reg. Cee, consente all’ufficio doganale, in presenza di fondati dubbi sul valore della merce in dogana, di procedere ad una diversa determinazione del valore medesimo.

Sul punto, si osserva, anche in questo caso, che parte ricorrente non ha dedotto alcunchè in ordine alla eventuale lesione del proprio diritto di difesa, sicchè tale profilo non può, comunque, essere preso in considerazione ai fini della definizione della controversia. La considerazione sopra espressa in ordine alla corretta applicazione della previsione di cui all’art. 181-bis del Reg. Cee, peraltro, ha valenza anche al fine di rendere priva di rilievo l’ulteriore censura, proposta con il medesimo motivo, di violazione degli artt. 2697,2727 e 2729, c.c..

Invero, la scheda-prodotto da cui evincere che il costo della materia prima era risultato superiore a quello di acquisto della merce è stato valorizzato dal giudice del gravame ai fini della verifica della sussistenza dei “fondati dubbi” sulla cui base l’ufficio può attivare il potere di revisione di cui all’art. 181-bis del Reg. Cee n. 2454/1993, ed in tale ambito è stata espressa la propria valutazione sulla non attendibilità del prezzo indicato nelle fatture. Si tratta di una valutazione di merito non sindacabile in questa sede.

2.2. In conclusione, il motivo è infondato, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio.

3. Sul ricorso n. 26466/2013.

3.1. Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 30 del Regolamento doganale Cee 12 ottobre 1992, n. 2913, nonchè degli artt. 143 e 181 bis del Regolamento Cee 2 luglio 1993, n. 2454, nonchè degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c..

Si tratta di un motivo di censura già illustrato in sede di esame del primo motivo di ricorso sopra riportato al n. 1.1. con riferimento al ricorso n. 13386/2012, nonchè del motivo di ricorso sopra riportato al n. 2.1. con riferimento al ricorso n. 26461/2013.

Il motivo è infondato, per le stesse ragioni illustrate in sede di esame dei sopra citati motivi di ricorso riportati al n. 1.1. e 2.1., cui si rinvia.

Anche in questo caso, invero, la sentenza impugnata ha ritenuto che era legittima la pretesa dell’ufficio doganale fondata sulla verifica che, nella fattispecie, il prezzo della merce era risultato inferiore al costo della materia prima.

Dall’esame del contenuto dell’avviso di rettifica, riprodotto dalla ricorrente, si evince che la pretesa era fondata sul “fondato dubbio” della veridicità del prezzo di transazione dichiarato, in quanto ritenuto non attendibile, posto che lo stesso era risultato inferiore al costo della sola materia prima costitutiva desunto dalla scheda-prodotto trasmessa dalla Direzione generale delle Dogane ed elaborata dalla Confartigianato di Prato per prezzi rilevati sul mercato internazionale.

Il riferimento, quindi, compiuto dal giudice del gravame, alla circostanza che il prezzo della merce dichiarato era risultato inferiore al costo della materia prima attiene alle ragioni per le quali l’ufficio doganale aveva ritenuto sussistenti i “fondati dubbi” sulla veridicità del valore del prezzo dichiarato.

Si ribadisce che non correttamente parte ricorrente sostiene che il giudice del gravame abbia fatto una errata applicazione della previsione di cui all’art. 29 Reg. Cee, cit., non potendosi escludere, proprio sulla base della previsione di cui all’art. 181-bis, del Reg. Cee, cit., che quel valore sia oggetto di contestazione in quanto ritenuto non corrispondente a quello reale, non potendo assumere rilevanza, come invece sostenuto dalla ricorrente, la circostanza che la stessa aveva effettivamente corrisposto il prezzo pagato di cui alle fatture avrebbe dovuto escludere la possibilità di una successiva rettifica del valore dichiarato.

Sotto questo profilo, come già osservato, anche il richiamo alla previsione di cui all’art. 30, Reg. Cee, non può trovare accoglimento, in quanto proprio la previsione di cui all’art. 181-bis del Reg. Cee, consente all’ufficio doganale, in presenza di fondati dubbi sul valore della merce in dogana, di procedere ad una diversa determinazione del valore medesimo.

Anche in questo caso, parte ricorrente non ha dedotto alcunchè in ordine alla eventuale lesione del proprio diritto di difesa, sicchè tale profilo non può, comunque, essere preso in considerazione ai fini della definizione della controversia.

Le considerazioni già espresse in sede di esame dei motivi di ricorso sopra indicati hanno valenza anche al fine di rendere priva di rilievo la ulteriore censura, proposta con il medesimo motivo, di violazione degli artt. 2697,2727 e 2729, c.c..

3.2. In conclusione, il motivo è infondato, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio.

4. Sul ricorso n. 26468/2013.

4.1. Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 30 del Regolamento doganale Cee 12 ottobre 1992, n. 2913, nonchè degli artt. 143 e 181 bis del Regolamento Cee 2 luglio 1993, n. 2454, nonchè degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c..

In particolare, parte ricorrente censura la sentenza per non avere correttamente applicato l’art. 29 del Reg. cit., che prevede che il valore di transazione deve essere determinato in relazione al prezzo effettivamente pagato o da pagare, sicchè l’ufficio doganale avrebbe potuto prescindere da tali indicazioni solo ove si fosse verificata una delle fattispecie previste nei capi a), b), c) e d), del primo paragrafo del suddetto articolo.

Sostiene, a tal proposito, la ricorrente che l’ufficio doganale aveva proceduto alla rettifica del valore dichiarato senza avere fatto riferimento, per fondare i “fondati dubbi”, a una riscontrata divergenza tra il valore dichiarato e quello effettivamente pagato (secondo quanto previsto dall’art. 29, cit.), bensì alla circostanza che, a seguito di attività di polizia giudiziaria, era stato accertato che una fattura estera emessa dalla società esportatrice cinese era risultata falsa, mentre il sistema delineato dal Regolamento comunitario non consentirebbe una rettifica fondata sul “dubbio” che il valore dichiarato quale prezzo delle merci non sia rappresentativo del valore venale della merce.

Pertanto, secondo parte ricorrente, non essendo stata effettuata contestazione in merito alla eventuale diversità tra l’importo indicato in fattura ed il prezzo pagato, o comunque in ordine alla necessità di computare ulteriori oneri quali quelli inerenti al trasporto della merce, l’ufficio doganale non avrebbe potuto prescindere da tale valore della transazione, corrispondente a quello indicato dal fornitore estero nella propria fattura ed al prezzo effettivamente pagato, sicchè non sarebbe stato violato solo l’art. 29, cit. ma anche l’art. 30 del medesimo Regolamento, che prevede che solo quando il valore della merce non può essere determinato secondo l’art. 29, è possibile procedere ai criteri previsti dal medesimo articolo.

Inoltre, ha altresì contestato la violazione degli artt. 2697,2727 e 2729, c.c., in quanto ha erroneamente applicato una prova presuntiva, individuando il fatto ignoto – cioè l’entità maggiore del prezzo pagato o da pagare rispetto a quello dichiarato desumendolo dal fatto noto, costituito dalla incongruità del valore dichiarato, mentre doveva fornire adeguata prova in ordine al fatto della non veridicità del prezzo riportato nelle fatture, non potendosi dire che la stessa sia stata fornita se non sulla base di una molteplicità di elementi presuntivi, mentre, nella fattispecie, la pretesa dell’ufficio doganale si era fondata su un unico elemento indiziario.

Si tratta di un motivo di censura già illustrato in sede di esame del primo motivo di ricorso sopra riportato al n. 1.1. con riferimento al ricorso n. 13386/2012, nonchè del motivo di ricorso sopra riportato al n. 2.1. con riferimento al ricorso n. 26461/2013.

Il motivo è infondato, per le stesse ragioni illustrate in sede di esame dei sopra citati motivi di ricorso riportati al n. 1.1. e 2.1., cui si rinvia.

In questo caso, la sentenza impugnata ha ritenuto che era legittima la pretesa dell’ufficio doganale fondata sulla comparazione tra il prezzo indicato nelle bollette e una fattura emessa dalla società esportatrice cinese.

Dall’esame del contenuto dell’avviso di rettifica, riprodotto dalla ricorrente, si evince che la pretesa era fondata sul “fondato dubbio” della veridicità del prezzo di transazione dichiarato, in quanto ritenuto non attendibile, posto che, a seguito di attività di polizia giudiziaria, era stato accertato che una fattura estera emessa dalla società esportatrice cinese era risultata falsa.

Il riferimento, quindi, compiuto dal giudice del gravame, alla verifica compiuta sulla fattura della società esportatrice attiene alle ragioni per le quali l’ufficio doganale aveva ritenuto sussistenti i “fondati dubbi” sulla veridicità del valore del prezzo dichiarato.

Si ribadisce che non correttamente parte ricorrente sostiene che il giudice del gravame abbia fatto una errata applicazione della previsione di cui all’art. 29 Reg. Cee, cit., non potendosi escludere, proprio sulla base della previsione di cui all’art. 181-bis, del Reg. Cee, cit., che quel valore sia oggetto di contestazione in quanto ritenuto non corrispondente a quello reale, non potendo assumere rilevanza, come invece sostenuto dalla ricorrente, la circostanza che la stessa aveva effettivamente corrisposto il prezzo pagato di cui alle fatture avrebbe dovuto escludere la possibilità di una successiva rettifica del valore dichiarato.

Sotto questo profilo, come già osservato, anche il richiamo alla previsione di cui all’art. 30, Reg. Cee, non può trovare accoglimento, in quanto proprio la previsione di cui all’art. 181-bis del Reg. Cee, consente all’ufficio doganale, in presenza di fondati dubbi sul valore della merce in dogana, di procedere ad una diversa determinazione del valore medesimo.

Anche in questo caso, parte ricorrente non ha dedotto alcunchè in ordine alla eventuale lesione del proprio diritto di difesa, sicchè tale profilo non può, comunque, essere preso in considerazione ai fini della definizione della controversia

Le considerazioni già espresse in sede di esame dei motivi di ricorso sopra indicati hanno valenza anche al fine di rendere priva di rilievo la ulteriore censura, proposta con il medesimo motivo, di violazione degli artt. 2697,2727 e 2729, c.c..

4.2. In conclusione, il motivo è infondato, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio.

5. Sul ricorso n. 13923/2014.

5.1. Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 30 del Regolamento doganale Cee 12 ottobre 1992, n. 2913, nonchè degli artt. 143 e 181 bis del Regolamento Cee 2 luglio 1993, n. 2454.

In particolare, parte ricorrente censura la sentenza per non avere correttamente applicato l’art. 29 del Reg. cit., che prevede che il valore di transazione deve essere determinato in relazione al prezzo effettivamente pagato o da pagare, sicchè l’ufficio doganale avrebbe potuto prescindere da tali indicazioni solo ove si fosse verificata una delle fattispecie previste nei capi a), b), c) e d), del primo paragrafo del suddetto articolo.

Sostiene, a tal proposito, la ricorrente che l’ufficio doganale aveva proceduto alla rettifica del valore dichiarato senza avere fatto riferimento a una riscontrata divergenza tra il valore dichiarato e quello effettivamente pagato (secondo quanto previsto dall’art. 29, cit.).

Pertanto, secondo parte ricorrente, non essendo stata effettuata contestazione in merito alla eventuale diversità tra l’importo indicato in fattura ed il prezzo pagato, o comunque in ordine alla necessità di computare ulteriori oneri quali quelli inerenti al trasporto della merce, l’ufficio doganale non avrebbe potuto prescindere da tale valore della transazione, corrispondente a quello indicato dal fornitore estero nella propria fattura ed al prezzo effettivamente pagato, sicchè non sarebbe stato violato solo l’art. 29, cit. ma anche l’art. 30 del medesimo Regolamento, che prevede che solo quando il valore della merce non può essere determinato secondo l’art. 29, è possibile procedere ai criteri previsti dal medesimo articolo.

Evidenzia, inoltre: la illogicità della motivazione, nella parte in cui ha ritenuto che dalla falsità del certificato di origine doveva farsi discendere, come conseguenza, anche la falsità della fattura, anche tenuto conto della condizione di buona fede della contribuente; nonchè, la non correttezza della motivazione nella parte in cui ha ritenuto che la contribuente, quale importatrice, avrebbe potuto produrre un certificato di origine vero.

Il motivo è infondato, per le stesse ragioni illustrate in sede di esame dei sopra citati motivi di ricorso riportati al n. 1.1. e 2.1., cui si rinvia.

La sentenza impugnata ha ritenuto che era legittima la pretesa dell’ufficio doganale fondata sulla falsità del certificato di origine e sulla circostanza che il valore dichiarato all’atto dell’importazione era risultato notevolmente più basso rispetto alla media nazionale dei valori medi minimi praticati per l’importazione di merci similari sul territorio nazionale; sotto tale profilo, ha evidenziato che il prezzo unitario della merce indicato in fattura per un importo di Euro 0,11 al pezzo era risultato di gran lunga inferiore a quello di Euro 1 al pezzo, come accertato dall’ufficio doganale.

La stessa pronuncia, quindi, sulla base delle suddette considerazioni, ha ritenuto legittima la pretesa impositiva in quanto era inattendibile l’importo indicato nella fattura.

Dall’esame del contenuto dell’avviso di rettifica, riprodotto dalla ricorrente, si evince che la inattendibilità dell’importo dichiarato nella fattura, quindi la sussistenza dei “fondati dubbi” della veridicità del prezzo di transazione dichiarato, derivava proprio dalla circostanza che l’autorità del Myanmar, cui si era rivolta l’autorità italiana in sede di cooperazione, aveva comunicato che il certificato di origine Form B, utilizzato ai fini dell’esportazione, non era valido, nonchè dal fatto che i valori indicati in sede di importazione erano notevolmente più bassi rispetto alla media nazionale dei valori medi relativi alle importazioni di prodotti di merce similare.

Il riferimento, quindi, compiuto dal giudice del gravame, alla inattendibilità del valore esposto in fattura, secondo la valutazione dallo stesso effettuata, attiene alle ragioni per le quali l’ufficio doganale aveva ritenuto sussistenti i “fondati dubbi” sulla veridicità del valore del prezzo dichiarato.

La pronuncia censurata ha sostanzialmente ritenuto legittima la pretesa dell’ufficio doganale di rideterminazione del valore della merce in quanto in quanto basata sulla inattendibilità dei valori dichiarati, quindi sul “fondato dubbio” della veridicità del prezzo di transazione.

La suddetta valutazione attiene al merito della controversia, non censurabile in questa sede.

Si ribadisce che non correttamente parte ricorrente sostiene che il giudice del gravame abbia fatto una errata applicazione della previsione di cui all’art. 29 Reg. Cee, cit., non potendosi escludere, proprio sulla base della previsione di cui all’art. 181-bis, del Reg. Cee, cit., che quel valore sia oggetto di contestazione in quanto ritenuto non corrispondente a quello reale, non potendo assumere rilevanza, come invece sostenuto dalla ricorrente, la circostanza che la stessa aveva effettivamente corrisposto il prezzo pagato di cui alle fatture avrebbe dovuto escludere la possibilità di una successiva rettifica del valore dichiarato.

Sotto questo profilo, come già osservato, anche il richiamo alla previsione di cui all’art. 30, Reg. Cee, non può trovare accoglimento, in quanto proprio la previsione di cui all’art. 181-bis del Reg. Cee, consente all’ufficio doganale, in presenza di fondati dubbi sul valore della merce in dogana, di procedere ad una diversa determinazione del valore medesimo.

Tale considerazione assume rilevanza anche in ordine agli ulteriori profili, evidenziati dalla ricorrente, di illogicità della sentenza per avere ritenuto che la falsità del certificato di origine comporterebbe, come conseguenza, anche la falsità della fattura, nonchè in ordine alla affermazione della necessità che l’importatore avrebbe potuto produrre un certificato di origine veritiero, essendo questi estraneo alla eventuale falsificazione.

La stessa parte ricorrente evidenzia che si tratta di profili non decisivi, dovendosi invece ribadire, diversamente, in questo, dalla linea difensiva seguita dalla ricorrente, che il giudice del gravame ha ritenuto che sussistevano fondati dubbi, in particolare l’inattendibilità della fattura, tenuto conto sia della presenza del certificato di origine falso nonchè della circostanza che i valori espressi nella fattura risultavano largamente al di sotto dei prezzi di mercato, circostanza che, quindi, ha comportato, il legittimo esercizio del potere di rettifica del valore dichiarato della merce importata.

Anche in questo caso, peraltro, parte ricorrente non ha dedotto alcunchè in ordine alla eventuale lesione del proprio diritto di difesa, sicchè tale profilo non può, comunque, essere preso in considerazione ai fini della definizione della controversia.

5.2. In conclusione, il motivo è infondato, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore della resistente, tenuto conto, ai fini della liquidazione, della solo attività di studio della controversia e di partecipazione all’udienza pubblica.

6. Sul ricorso n. 13417/2014.

6.1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e falsa applicazione dell’art. 295, c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39.

In particolare, parte ricorrente evidenzia che la controversia in esame aveva ad oggetto atti di contestazione delle sanzioni emessi a seguito della notifica, alla medesima contribuente, di avvisi di rettifica conseguenti all’attività di controllo dell’ufficio doganale sulle importazioni che erano stati oggetto di ricorso dinanzi alla competente commissione tributaria, non ancora definiti con sentenza passata in giudicato; segnala, in particolare, che avverso i suddetti avvisi di rettifica pendono dinanzi a questa Corte i ricorsi n. 26466/2013 e n. 26468/2013.

Ciò precisato, la ricorrente lamenta che il giudice del gravame, pur in presenza di un rapporto di conseguenzialità necessaria tra l’accertamento della violazione fiscale (di cui agli avvisi di rettifica del valore della merce importata) e la successiva irrogazione della sanzione, non ha disposto la sospensione del giudizio in attesa della definizione della controversia relativa agli atti presupposti, limitandosi a dare atto delle precedenti pronunce dei giudici di appello con cui erano state rigettate le impugnazioni della contribuente avverso le decisioni dei giudici di primo grado che avevano confermato la legittimità degli avvisi di rettifica del valore della merce. Lamenta, inoltre, la non corretta applicazione della previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, non potendo la stessa trovare applicazione al fine di escludere la necessità della sospensione del processo ove sussista un rapporto di pregiudizialità.

Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., per avere ritenuto che la domanda relativa alla mancanza di presupposti per l’adozione degli atti pregiudiziali era da considerarsi nuova.

I motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono inammissibili per carenza di interesse della ricorrente.

Ai fini della definizione del presente motivo di ricorso assume rilievo la decisione di rigetto dei ricorsi nn. 26466/2013 e 26468/2013, come più specificamente motivata ai punti 3 e 4 della presente pronuncia, cui si rinvia.

Va osservato, in particolare, che oggetto dei ricorsi sopra indicati sono state le pronunce della Commissione tributaria regionale della Campania che hanno rigetto l’appello avverso le decisioni di primo grado con le quali erano stati rigettati i ricorsi proposti dalla contribuente avverso gli avvisi di rettifica del valore della merce dichiarata al momento dell’importazione e sul cui presupposto sono stati, poi, emessi gli atti di contestazione delle sanzioni, oggetto della presente controversia.

E’ indubbio il carattere di sicura pregiudizialità esistente fra il procedimento relativo alla pretesa fiscale (pregiudicante) e quello, di cui in questa sede si discute, relativo alle sanzioni separatamente applicate dall’ufficio per i medesimi fatti oggetto dell’accertamento pregiudicato.

La verifica, compiuta in sede di esame dei ricorsi proposti dalla parte contribuente di cui ai procedimenti riuniti nn. 26466/2013 e 26468/2013, della definitiva legittimità della pretesa fiscale in conseguenza del rigetto, in questa sede, dei motivi di ricorso proposti, comporta il venire meno dell’interesse della parte ricorrente alla decisione sui motivi di censura proposti con il presente ricorso, posto che gli atti di irrogazione della sanzione non sono stati impugnati per vizi propri, ma solo in relazione alla ritenuta non fondatezza della pretesa fiscale, esclusa, come detto, dalla pronuncia di rigetto resa con la presente sentenza.

6.2. In conclusione, in considerazione della inammissibilità del ricorso per carenza di interesse della ricorrente, il ricorso va rigettato con compensazione delle spese di lite.

7. Sul ricorso n. 20416/2015.

7.1 Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

In particolare, parte ricorrente evidenzia che la pretesa oggetto del presente ricorso, consistente nel recupero a tassazione, da parte dell’Agenzia delle entrate, ai fini Ires, Irap e Iva, di ricavi non dichiarati e di costi non deducibili, era conseguenza della precedente contestazione, da parte dell’Agenzia delle dogane, del valore della merce dichiarato al momento dell’importazione.

Sotto tale profilo, lamenta che la pronuncia impugnata ha ritenuto che gli avvisi di rettifica del valore della merce importata erano divenuti definitivi a seguito del passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria regionale che, con sentenza n. 288/29/11, aveva confermato la legittimità delle rettifiche doganali, in quanto avverso la suddetta pronuncia, così come le altre pronunce di altre Commissioni tributarie regionali sulla medesima questione e ad essa sfavorevoli, era stato proposto ricorso in Cassazione, attualmente ancora pendenti e portanti i nn. 13386/2012, 26466/2013, 26468/2013 e 26461/2013, circostanze dedotte dinanzi al giudice del gravame.

Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c., per non avere esaminatole deduzioni e le eccezioni da essa proposte in ordine all’operato dell’Agenzia delle dogane sul presupposto, errato, che gli accertamenti compiuti erano stati confermati da sentenza passata in giudicato.

Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., e art. 2909 c.c., per avere ritenuto sussistente il giudicato esterno, nonostante che lo stesso non si era comunque formato e non essendo stata la pronuncia, ritenuta definitiva, resa tra le stesse parti.

I motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono inammissibili per carenza di interesse della ricorrente.

Ai fini della definizione del presente motivo di ricorso assume rilievo la decisione di rigetto dei ricorsi nn. 13386/2012, 26466/2013, 26468/2013 e 26461/2013, come più specificamente motivata ai punti 1, 2, 3 e 4 della presente pronuncia, cui si rinvia. Va osservato, in particolare, che oggetto dei ricorsi sopra indicati sono state le pronunce della Commissione tributaria regionale della Campania che hanno rigetto l’appello avverso le decisioni di primo grado con le quali erano stati rigettati i ricorsi proposti dalla contribuente avverso gli avvisi di rettifica del valore della merce dichiarata al momento dell’importazione, emessi dall’Agenzia delle dogane, e sul cui presupposto sono stati, poi, emessi, gli avvisi di accertamento oggetto della presente controversia.

E’ indubbio il carattere di sicura pregiudizialità esistente fra il procedimento relativo alla pretesa fiscale (pregiudicante) e quello, di cui in questa sede si discute, relativo agli avvisi di accertamento successivamente notificati.

Invero, dall’esame del p.v.c. emesso nei confronti della contribuente si evince che gli avvisi di accertamento trovavano fondamento nei precedenti atti di rideterminazione del valore della merce importata, in particolare si era proceduto a elaborare i valori constatati dall’Agenzia delle dogane ed a calcolare le relative differenze sottofatturate in acquisto.

La verifica, compiuta in sede di esame dei ricorsi proposti dalla parte contribuente di cui ai procedimenti riuniti nn. 13386/2012, 26466/2013, 26468/2013 e 26461/2013, della definitiva legittimità della pretesa fiscale relativa alla rideterminazione del valore della merce importata, in conseguenza del rigetto, in questa sede, dei motivi di ricorso proposti, comporta il venire meno dell’interesse della parte ricorrente alla decisione sui motivi di censura proposti con il presente ricorso.

7.2. Con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere pronunciato sulla eccezione di tardività della pretesa relativa all’anno 2006, questione non esaminata dal giudice di primo grado e riproposta dalla contribuente in via di eccezione a seguito della proposizione dell’appello da parte dell’Agenzia delle entrate.

Il motivo è fondato.

Dall’esame del ricorso di primo grado proposto dalla contribuente nonchè della memoria di costituzione in appello, come riprodotti dalla ricorrente alle pagg. 63, 64 e 65 del ricorso, si evince che la stessa aveva contestato, relativamente all’atto di accertamento per l’anno 2006, la decadenza dell’amministrazione finanziaria.

Il giudice del gravame non si pronunciato sulla questione, incorrendo, in tal modo, nella violazione dell’art. 112 c.p.c..

7.3. In conclusione, vanno dichiarati inammissibili il primo, secondo e terzo motivo di ricorso, va accolto il quarto motivo di ricorso, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.

Si dà atto, relativamente ai ricorsi nn. 26461/2013, 26466/2013, 26468/2013, 13417/2014, 13923/2014, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte:

riunisce al ricorso n. 13386/2012 i ricorsi nn. 26461/2013, 26466/2013, 26468/2013, 13417/2014, 13923/2014 e 20416/2015;

relativamente al ricorso n. 13386/2012: rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente, compensa le spese di lite relative ai giudizi di merito e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite relative a questo grado di giudizio che si liquidano in complessive Euro 7000,00, oltre spese prenotate a debito;

relativamente al ricorso n. 26461/2013: rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessive Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito;

relativamente al ricorso n. 26466/2013: rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessive Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito;

relativamente al ricorso n. 26468/2013: rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessive Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito;

relativamente al ricorso n. 13923/2014: rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese di lite del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessive Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito;

relativamente al ricorso n. 13417/2014: rigetta il ricorso e compensa le spese di lite;

relativamente al ricorso n. 20416/2015: dichiara inammissibili il primo, secondo e terzo motivo di ricorso, accoglie il quarto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata per il motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.

Dà atto, relativamente ai ricorsi nn. 26461/2013, 26466/2013, 26468/2013, 13417/2014, 13923/2014, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2018.

Depositato in cancelleria il 26 novembre 2019

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