Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30758 del 28/11/2018

Cassazione civile sez. un., 28/11/2018, (ud. 06/11/2018, dep. 28/11/2018), n.30758

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6829/2018 proposto da:

N.M., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato VINCENZO CITO; AMMISSIONE al G.P. in data 10/1/18;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – QUESTORE DI LECCE, in persona del Ministro

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1043/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata l’11/10/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/11/2018 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e la

giurisdizione del giudice ordinario;

uditi gli avvocati Vincenzo Cito ed Ilia Massarelli per l’Avvocatura

Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il cittadino senegalese N.M. ha chiesto l’accertamento del proprio diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari a norma dell’art. 5 e art. 22, comma 12-quater del T.U. sull’immigrazione. A sostegno della richiesta ha esposto di essere stato oggetto di grave sfruttamento lavorativo, di aver presentato denuncia e di aver manifestato la volontà di cooperare nel processo penale a carico del proprio datore di lavoro, col quale aveva interrotto ogni rapporto.

L’adito Tribunale di Lecce, pur rigettando l’eccezione del Ministero dell’interno, il quale aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sostenendo che la controversia dovesse essere devoluta alla cognizione di quello amministrativo, ha rigettato la domanda dell’attore negando che in favore dello stesso potesse essere riconosciuto il diritto al permesso di soggiorno per particolari motivi umanitari consistenti nell’essere stato oggetto di grave sfruttamento lavorativo, a causa della mancanza del parere favorevole del P.M..

La Corte d’appello ha rigettato il successivo appello e ha ritenuto che la situazione soggettiva azionata in giudizio abbia consistenza d’interesse legittimo, al cospetto della discrezionalità del pubblico ministero nel rendere il parere favorevole richiesto per il rilascio del permesso in questione; parere, che nel caso in esame mancava. Ha affermato che, ai fini del rilascio del permesso in questione, la valutazione dell’Amministrazione è discrezionale, dovendo riguardare caso per caso la contestualità delle condizioni della denuncia e della cooperazione dello straniero nel procedimento penale.

Contro la sentenza n.1043/2017 della Corte d’Appello di Lecce propone ricorso N.M. per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi e illustra con memoria.

Il Ministero non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Coi due motivi di ricorso, che vanno esaminati insieme, perchè concernenti la medesima censura, il ricorrente lamenta per distinti profili, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 2008, art. 22, comma 12-quater; e, nel farlo, implicitamente, ma inequivocabilmente evoca la questione di giurisdizione sulla quale si sono pronunciati i giudici di merito.

Sostiene, per un verso, che l’attività del pubblico ministero sia meramente ricognitiva dei presupposti già stabiliti dalla legge, i quali sostanziano la situazione di diritto soggettivo dello straniero a ottenere il rilascio del permesso di soggiorno e, per altro verso, che debba essere esclusa, in virtù del rapporto tra l’art. 5, comma 6 e l’art. 22, comma 12-quater, del Testo Unico sull’immigrazione, non dissimile da quello tra la prima norma e l’art. 19 del medesimo Decreto, qualsivoglia discrezionalità della pubblica amministrazione, la quale deve soltanto accertare l’esistenza delle circostanze di fatto indicate dal legislatore.

2.- La censura complessivamente proposta è fondata.

Queste Sezioni unite hanno da tempo stabilito (a partire da Cass. 19 maggio 2009, n. 11535, fino, da ultimo, a ord. 28 febbraio 2017, n. 5059) che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sull’impugnazione del provvedimento del questore di diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari, richiesto del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5,comma 6, in quanto al questore non è più attribuita alcuna discrezionalità valutativa in ordine all’adozione dei provvedimenti riguardanti i permessi umanitari.

E ciò in base alla considerazione che la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo, da annoverarsi tra i diritti umani fondamentali garantiti dall’art. 2 Cost. e art. 3, della convenzione Europea dei diritti dell’uomo, e, pertanto, non degradabile ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo: all’autorità amministrativa è richiesto soltanto l’accertamento dei presupposti di fatto legittimanti la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, poichè il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate è riservato al legislatore.

3.- Alle medesime conclusioni si deve pervenire anche con riguardo alla speciale forma di permesso di soggiorno introdotta nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 16 luglio 2012, n. 109, che ha attuato la direttiva n. 2009/52/CE sulle norme minime relative a sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (in termini, Cass., ord. 27 aprile 2018, n. 10291).

La misura colma una lacuna normativa in materia di lavoro irregolare dello straniero in Italia e si connota per la sua vocazione premiale, giacchè si applica in favore del cittadino straniero che, trovandosi in una situazione di particolare sfruttamento lavorativo, abbia presentato denuncia contro il proprio datore di lavoro e cooperi nel procedimento penale instaurato a suo carico.

3.1.- L’art. 2, lett. i) della direttiva n. 2009/52/CE ravvisa lo sfruttamento nelle “condizioni lavorative, incluse quelle risultanti da discriminazione di genere e di altro tipo, in cui vi è una palese sproporzione rispetto alle condizioni di impiego dei lavoratori assunti legalmente, che incide, ad esempio, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori ed è contraria alla dignità umana”.

Dal canto suo, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12-quater, stabilisce che il titolo di soggiorno in questione è rilasciato, “ai sensi dell’art. 5, comma 6”, dal questore “su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica”.

3.2.- Il legislatore ha dunque istituito tra il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 22, comma 12-quater, una relazione, che va qualificata come rapporto di genere a specie: da un canto, la condizione di sfruttamento identifica uno dei possibili “seri motivi…di carattere umanitario” contemplati dell’art. 5, comma 6 e, dall’altro, la fattispecie più recente si arricchisce degli elementi ulteriori e specializzanti, a vocazione premiale, della denuncia e della cooperazione nel procedimento penale.

3.2.- Anche il procedimento volto al rilascio di questo titolo di soggiorno configura allora, al pari di quello delineato in via generale dall’art. 5, comma 6 e contrariamente a quanto sostenuto dal giudice d’appello, attività vincolata e non già esercizio di potere discrezionale.

In generale, il questore non ha il potere di verificare l’esistenza dei presupposti sostanziali, ossia dei seri motivi di carattere umanitario richiesti dalla legge, la valutazione dei quali è affidata in via esclusiva, in quella fase, alle Commissioni territoriali; egli ha soltanto il compito di accertare l’eventuale esistenza di altre condizioni ostative, se normativamente imposte.

3.2.1.- In particolare, nel caso in questione, nell’ambito del procedimento amministrativo che conduce al riconoscimento (o al diniego) del permesso del quale si discute da parte del questore, al pubblico ministero è affidata la valutazione della sussistenza dei requisiti previsti dal legislatore.

3.3.- Questa valutazione, che si traduce nella ricognizione della sussistenza dei presupposti previsti dal legislatore tuttavia, è destinata a esaurire la propria efficacia all’interno del procedimento amministrativo, perchè è atto necessario sì, ma di un procedimento amministrativo che pur sempre esprime, in base al modello generale, esercizio di attività vincolata; sicchè essa si risolve nell’esercizio di discrezionalità tecnica, ricognitiva della sussistenza dei presupposti determinati dalla legge.

3.4.- Ciò spoglia di rilievo la mancanza del parere, perchè non ne resta inciso l’ambito della cognizione del giudice ordinario, il quale è pur sempre tenuto alla verifica, integrale e senza subordinazione alcuna alla valutazione svolta in sede amministrativa, dell’esistenza dei requisiti per il riconoscimento del titolo di soggiorno.

Si è d’altronde anche avuta occasione di puntualizzare che sinanche la nullità del provvedimento amministrativo di diniego reso dalla commissione territoriale sarebbe del tutto irrilevante, poichè la natura di diritto soggettivo al riconoscimento della protezione umanitaria impone che il procedimento giurisdizionale giunga alla decisione sulla spettanza, o non, del diritto stesso, senza potersi limitare al mero annullamento del diniego amministrativo (Cass. 22 marzo 2017, n. 7385; 3 settembre 2014, n. 18632).

4.- Significativa conferma della devoluzione al giudice ordinario delle controversie in questione emerge poi dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 1, comma 3, lett. a), che le attribuisce alla cognizione delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, istituite presso i tribunali ordinari del luogo dove hanno sede le Corti d’appello dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 220, convertito dalla L. 13 aprile 2017, n. 46.

5.- In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio anche per le spese alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto:

“In tema d’immigrazione, l’opposizione avverso il diniego del questore al rilascio del permesso di soggiorno previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12-quater, in favore del cittadino straniero vittima di sfruttamento lavorativo appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, che procederà con cognizione piena a verificare la sussistenza dei relativi presupposti, atteso che il parere dal procuratore della Repubblica, cui è condizionato il rilascio del permesso da parte del questore, costituisce esercizio di discrezionalità tecnica ed esaurisce la propria rilevanza all’interno del procedimento amministrativo, non vincolando l’autorità giurisdizionale”.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2018

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