Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30753 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 30/12/2011), n.30753

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

P.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5/2006 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 16/03/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il dr. P.L. – avvocato – propose ricorso alla commissione tributaria provinciale di Torino contro il silenzio- rifiuto serbato dall’amministrazione finanziaria su un’istanza di rimborso dell’Irap versata nel triennio 2001, 2002 e 2003. Notificò il ricorso all’agenzia delle entrate ufficio di Torino (OMISSIS). Il ricorso fu accolto.

Su gravame del suddetto ufficio dell’agenzia delle entrate -che aveva censurato la sentenza per non avere rilevato il difetto di legittimazione di esso ufficio quanto all’Irap attinente all’annualità 2001, essendo per detta annualità territorialmente competente al rimborso l’ufficio di Torino (OMISSIS), ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 2, destinatario della relativa domanda, e per aver ritenuto insussistente il presupposto d’imposta quanto alle restanti annualità – la commissione tributaria regionale del Piemonte ha confermato la statuizione di primo grado.

L’agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. L’intimato non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo, che denunzia “difetto di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”, è inammissibile per due ragioni. Da un lato perchè non risulta concluso da idoneo momento di sintesi rappresentativo del c.d. quesito di fatto (vale a dire della specifica individuazione del fatto controverso con riguardo al quale andrebbe affermato il vizio motivazionale). Dall’altro perchè non coerente con la critica ivi esposta. E’ infatti criticata la decisione di merito perchè parametrata a un profilo giuridico (la legittimità o meno della domanda di rimborso presentata a un ufficio incompetente) diverso da quello consegnato al corrispondente motivo di appello (tale essendo quello della eccepita mancanza di legittimazione passiva dell’ufficio di Torino (OMISSIS) dell’agenzia delle entrate). Cosicchè può osservarsi che la critica nulla ha da spartire col vizio della motivazione rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio necessariamente limitato all’argomentazione in fatto, risolvendosi nell’affermazione di esistenza di un’omissione di pronuncia sul motivo di gravame. La quale però andava denunziata secondo il paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

2. – Il secondo motivo, limitatamente all’annualità Irap 2001, deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10, 18 e 19. Si ripropone, in forma di error in iudicando in iure, la questione della eccepita carenza di legittimazione passiva dell’ufficio locale convenuto in giudizio, sul rilievo che la commissione regionale avrebbe errato nel disattendere l’eccezione detta statuendo il rigetto del corrispondente profilo di inammissibilità del ricorso introduttivo.

Giacchè – si sostiene – il ricorso avverso il silenzio-rifiuto sulla domanda di rimborso dell’Irap relativa alla detta annualità, avrebbe dovuto essere proposto – in parte qua – nei confronti dell’ufficio di Torino (OMISSIS) a cui il contribuente aveva correttamente presentato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 2, l’istanza di rimborso.

(Notasi sul punto una distonia dei riferimenti conclusivi di pag. 7 del ricorso per cassazione, quanto agli uffici interessati – Torino (OMISSIS) e Torino (OMISSIS) – chiaramente ascrivibile, peraltro, a mero errore materiale.) 3. – Il secondo motivo – concluso da idoneo quesito di diritto – è infondato, ancorchè debba essere corretta, al riguardo, la motivazione della sentenza impugnata. La quale, onde disattendere il gravame nel profilo appena esposto, ha osservato che l’ufficio locale di Torino (OMISSIS) (già destinatario, a sua volta, dell’istanza di rimborso) “poteva, secondo prassi, trasmettere l’istanza ricevuta all’ufficio territorialmente competente”; con ciò avallando l’affermazione che tale era da ritenere l’ufficio di Torino (OMISSIS). Ma ha pure accertato, la sentenza de qua, essere stata l’istanza di rimborso autonomamente presentate anche al citato secondo ufficio, così contraddicendo l’utilità dell’argomento adoperato per respingere la censura. Il punto, portato all’attenzione della commissione regionale, invece, investiva la questione se, formatosi il silenzio-rifiuto sulla detta istanza di rimborso, stante l’inerzia dell’ufficio periferico adito (Torino (OMISSIS)), la vocatio dell’ufficio di Torino (OMISSIS), nel susseguente giudizio di impugnazione del silenzio- rifiuto, investisse o meno la legittimazione processuale passiva dell’agenzia fiscale (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10). Ed è evidente che la risposta al riguardo fornita dal giudice d’appello, facente leva sull’onere di trasmissione dell’istanza all’ufficio competente, non coglie il profilo che rileva.

4. – Ciò stante, è considerazione preliminare che l’accertamento di fatto – vale a dire la circostanza di essere stata comunque l’istanza di rimborso presentata a entrambi gli organi dell’ufficio periferico della competente agenzia delle entrate (Torino (OMISSIS) e Torino (OMISSIS)) – sterilizza la questione, sulla quale pur si registra un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, se la presentazione dell’istanza a un organo incompetente impedisca, o meno, la formazione del provvedimento negativo, anche nella forma del silenzio- rifiuto (al punto da determinare, secondo un indirizzo recentemente ribadito, l’improponibilità del ricorso al giudice tributario per difetto di un provvedimento impugnabile: v. sez. un. n. 11217/1997, cui adde, Cass. n. 14212/2004; Cass. n. 9407/2005, nonchè, di recente, Cass. n. 4037/2010 e Cass. n. 10537/2011; mentre, in senso contrario, Cass. n. 4773/2009; Cass. n. 15180/2009; Cass. n. 2810/2010). Nel senso che, per quanto evidenziato, una simile questione nel presente giudizio non incide, così dispensando il collegio dall’assumere una specifica posizione riguardo al contrasto detto.

5. – Di contro, al quesito di diritto, che compendia il sopra riportato secondo motivo dell’odierno ricorso, devesi fornire risposta negativa, seppure con più precisa spiegazione del passaggio logico essenziale rispetto a quanto trovasi fin qui argomentato dalla giurisprudenza della Corte.

La ragione essenziale si sostanzia nel fatto che l’evocazione in giudizio dell’agenzia delle entrate, per il tramite di ricorso notificato all’una o all’altra delle sue specifiche articolazioni interne (tali essendo i singoli uffici nei quali essa è organizzata a livello periferico, provinciale e non), non incide sulla legittimazione a contraddire dell’agenzia locale. La quale si atteggia, in base al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 come riflesso della qualità di parte del rapporto tributario che viene in considerazione in base all’atto impugnato (ove anche questo risulti assunto in forma di tacito diniego), essendo la legittimazione passiva (id est, la titolarità passiva dell’azione) attribuita all’ufficio che, secondo i casi, ha emanato o (come qui interessa) non ha emanato uno degli atti avverso i quali può essere proposto il ricorso, e che quindi riveste la posizione di controparte del rapporto giuridico azionato. A seguito, infatti, dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 300 del 1999, istitutivo delle agenzie fiscali (la cui operatività discende dal D.M. 28 dicembre 2000, con decorrenza 1.1.2001), e in esito alla soppressione dei centri di servizio (di cui al provv. Ag. Entrate 7.12.2001), le attività già ascritte a codesti organismi (istituiti dalla L. n. 146 del 1980, art. 10 nell’ambito del Ministero delle finanze con specifica competenza, tra l’altro, in ordine alla esecuzione dei rimborsi) sono state attribuite, secondo il criterio della competenza territoriale (vale a dire, in relazione al domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata: del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 2), agli uffici locali dell’agenzia delle entrate, per tali dovendosi intendere gli uffici periferici nei quali l’agenzia si manifesta come ente. Non anche, quindi, le singole articolazioni che riflettono la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna.

In tal senso, e con la precisazione appena svolta, può conseguentemente affermarsi il principio di diritto per cui la notifica dell’impugnazione avverso il silenzio-rifiuto, da parte del contribuente, presso un ufficio della locale agenzia delle entrate diverso da quello avrebbe dovuto eseguire il rimborso in base all’istanza all’uopo presentata, non incide sulla validità dell’impugnazione del silenzio-rifiuto medesimo, stante il carattere unitario dell’agenzia delle entrate competente per territorio (l’agenzia locale), e considerata la natura impugnatoria del processo tributario che attribuisce la qualità di parte all’ente-organo (e non alle singole sue articolazioni) che ha emesso, o, in caso di diniego, non ha emesso, l’atto di cui si controverte. E v. infatti, in senso analogo, ancorchè nel non dirimente richiamo al principio di effettività della tutela giurisdizionale rispetto all’impugnazione di un atto impositivo, Cass. n. 29465/2008; Cass. n. 15718/2009; Cass. n. 3727/2010.

6. – Il terzo motivo denunzia, con riguardo alle restanti annualità d’imposta, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3, 4, 8 e art. 2697 c.c.. Si censura la sentenza di merito perchè costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta pagata, fornire la prova della mancanza del relativo presupposto.

Il motivo è inammissibile in relazione al quesito di diritto, che si presenta redatto in termini di astratta interrogazione sulla ripartizione dell’onere della prova in tema di rimborsi dell’Irap;

ripartizione che, in linea di principio, la sentenza di merito non ha negato svolgersi nei termini riferiti dal quesito. Cosicchè la mancanza di ogni riferimento alle caratteristiche della fattispecie concreta impedisce alla Corte di enunciare un conforme principio di diritto idoneo a risolvere la controversia.

7. – Il quarto mezzo denunzia, ancora con riguardo alle suddette residue annualità 2002 e 2003, difetto di motivazione, stante che la commissione si sarebbe limitata a dire che i beni, che pur figuravano a disposizione del contribuente in base alla sua dichiarazione dei redditi, non erano individuati, così da considerare in ragione di ciò comprovata l’inesistenza assoluta di capitali investiti, di beni strumentali e di lavoro altrui. Il quarto mezzo è fondato.

8. – Con apposito motivo d’appello, l’amministrazione, a confutazione della decisione di primo grado circa la mancanza del presupposto dell’autonoma organizzazione dell’attività professionale del contribuente, aveva richiamato le risultanze del quadro RE della dichiarazione dei redditi, evidenziante spese variamente distribuite per quote di ammortamento, acquisti di beni, consumi e altro (in proporzione – 16,52% nel 2001 e 12,84% nel 2002 – assunta come non irrilevante rispetto al totale dei percepiti compensi).

Di contro la commissione regionale ha motivato la decisione di rigetto con l’affermazione che “non sono tuttavia individuati i beni in questione e pertanto si può ritenere, così come indicato dal contribuente, l’inesistenza assoluta di capitali investiti, beni strumentali e di lavoro altrui”. Può osservarsi che una simile motivazione non soddisfa l’onere che il profilo richiedeva, non essendo spiegato perchè la mancata individuazione oggettiva (fisica) dei beni oggetto della esposizione dei riferiti costi sia tale da imporre l’inferenza circa l’inesistenza di capitali investiti e di beni strumentali eccedenti l’ordinaria necessità.

Al riguardo va ribadito il principio che è soggetto passivo dell’Irap chi si avvalga, nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, di una struttura organizzata in un complesso di fattori che per numero, importanza e valore economico sono suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know- how. Sicchè si può escludere il presupposto di imposta quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nella autorganizzazione del professionista o, comunque, quando l’organizzazione da lui predisposta abbia incidenza marginale e non richieda necessità di coordinamento.

Nondimeno è pacifico che, nel giudizio instaurato per il rimborso dell’imposta che si assume indebitamente pagata, grava sul contribuente l’onere dimostrativo del fatto costitutivo della sua pretesa, e cioè dalla mancanza del presupposto alla base del prelievo fiscale. E, di contro, il giudice del merito può ricercare gli opposti dati di riscontro (del presupposto impositivo) attraverso l’esame della dichiarazione del contribuente, in particolare soffermandosi sul dettaglio riportato nelle pertinenti sezioni del quadro RE (riguardante la determinazione del reddito di lavoro autonomo ai fini Irpef) che specifica la composizione dei costi. Si tratta – come già da questa Corte affermato (v. Cass. n. 13810/2007) – di una regola empirica che facilita l’onere probatorio in un processo caratterizzato da limitazioni istruttorie, quale quello tributario, sostanzialmente incentrato su produzioni documentali.

9. – Conclusivamente, quindi, dichiarata l’inammissibilità del primo e del terzo motivo, e rigettato il secondo, il ricorso va accolto in relazione al solo quarto motivo. L’impugnata sentenza deve essere cassata e la causa rinviata ad altra sezione della medesima commissione regionale, la quale riesaminerà il profilo da ultimo indicato uniformandosi al suesposto principio di diritto.

Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il primo e il terzo motivo; rigetta il secondo; accoglie il quarto; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla commissione tributaria regionale del Piemonte, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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