Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30751 del 21/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 30751 Anno 2017
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: SCARPA ANTONIO

Data pubblicazione: 21/12/2017

sul ricorso 5559-2016 proposto da:

BOTTA ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
PUBLIO VALERIO 9, presso lo studio dell’avvocato MARIO
ROMANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ROBERTO DOTTI;
– ricorrente contro
ASANO CHITOSE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
FEDERICO CONFALONIERI 1, presso lo studio dell’avvocato
ANTONIO TROIANI, rappresentata e difesa dagli avvocati
ANNELISE GHELFI, PIETRO MERLINI;
AMMANNATI

ANTONIETTA,

VITELLI

GIAMPIETRO,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112,
presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PAVAROTTI, che li
rappresenta e difende;
– controricorrenti –

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nonchè contro
CONDOMINIO TROUBESKOJ , ZANFRINI MAURIZIO;

intimati

avverso la sentenza n. 4534/2015 della CORTE D’APPELLO di
MILANO, depositata il 26/11/2015;

del 12/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Antonio Botta ha proposto ricorso per cassazione articolato in
due motivi, congiuntamente enunciati ed esposti, avverso la
sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 4534/2015 del 26
novembre 2015. La sentenza impugnata ha respinto l’appello
avverso la sentenza del Tribunale di Como n. 1345/2012, resa
in data 29 ottobre 2012, che aveva rigettato le domande
proposte da Antonio Botta nei confronti del Condominio
Troubeskoj di via Caronti n. 5, Blevio, di Antonietta
Ammannati, di Gianpietro Vitelli, di Asano Chitose e di Maurizio
Zanfrini, domande volte ad ottenere il risarcimento dei danni
per il mancato adempimento di deliberazioni dell’assemblea
condominiale, le violazioni del regolamento di condominio e le
violazioni degli obblighi di manutenzione e di custodia.
Resistono con un controricorso Antonietta Ammannati e
Gianpietro Vitelli e con altro controriricorso Chitose Asano,
mentre rimangono intimati senza svolgere attività difensive il
Condominio Troubeskoj e Maurizio Zanfrini.
La Corte d’Appello di Milano, preso atto della situazione di forte
conflitto fra il Botta e i restanti condomini in relazione
all’assunzione delle deliberazioni necessarie all’esecuzione dei
lavori di manutenzione del fatiscente edificio condominiale,
evidenziava come lo stesso appellante non avesse mai

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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

impugnato le deliberazioni a norma dell’art. 1137 c.c. e non
poteva poi agire in via risarcitoria contro i restanti condomini
né contro l’amministratore.
Il ricorso denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di
diritto – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”.

visione dell’oggetto di causa superficiale e approssimativa…al
di fuori di ciò che i documenti provano”, non considera che
“non è stato Antonio Botta a rendere oggettivamente difficile
l’assunzione delle deliberazioni”, né che “la domanda del signor
Botta … non è fondata sulle delibere assembleari”. Peraltro,
continua il ricorso, il Botta ha sempre impugnato le delibere
illegittime e non impugnato le delibere regolari, mentre sono
stati Ammannati e Vitelli ad opporsi ad ogni ipotesi di
esecuzione dei lavori sulle parti condominiali. Quel che la Corte
di Milano non avrebbe considerato è che quanto deliberato
dall’assemblea non veniva poi correttamente eseguito. Nelle
pagine da 11 a 17 di ricorso si fa inoltre una cronistoria delle
vicende che hanno riguardato la Villa Troubeskoj e si illustrano
le condotte di Botta, Ammannati e Vitelli, i rapporti con
l’amministrazione comunale, l’excursus del contenzioso tra le
parti, iniziato nel 1985, il succedersi dei vari amministratori del
condominio. Si menziona l’accordo del 12 febbraio 1996, ma
non se ne indica specificamente il contenuto, come prescritto
dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta
infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui
all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5),
c.p.c., su proposta del relatore, il presidente ha fissato
l’adunanza della camera di consiglio.

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La censura afferma che la sentenza impugnata rivela “una

I due motivi di ricorso possono essere esaminati
congiuntamente per la loro connessione.
Le censure difettano dei necessari caratteri di tassatività e
specificità, ed infatti i vizi che denunciano neppure rientrano
nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., risolvendosi

sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e
inestricabilmente combinati.
E’ comunque inammissibile, innanzitutto, la censura che
andrebbe riferita al parametro dell’art. 360, comma 1, n. 5,
c.p.c., in quanto questo, come riformulato dall’art. 54 del d.l.
n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, contempla
soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale
o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o
dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue
che tale vizio va denunciato nel rispetto delle previsioni degli
artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c.,
dovendo il ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia
stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso
risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato
oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Non integrano, pertanto, il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, le
considerazioni svolte nel ricorso, che si limitano a contrapporre
una diversa ricostruzione dei fatti, ovvero una diversa valenza
delle risultanze documentali, invitando la Corte di legittimità a
svolgere un nuovo giudizio sul merito della causa.
Quanto all’ipotizzata violazione e falsa applicazione di norme di
diritto, il ricorso non contiene né l’indicazione delle norme che
si assumono violate, né specifiche argomentazioni intellegibili
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in una critica generica della sentenza impugnata, formulata

ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo
determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza
impugnata dovessero ritenersi in contrasto con le indicate
norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle
stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità.

possibilità di provocare il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle
delibere delle assemblee condominiali, seppur di sola
legittimità e non di merito, attraverso l’impugnativa di cui
all’art. 1137 c.c. Al singolo partecipante è inoltre data dall’art.
1133 c.c. la facoltà del ricorso all’assemblea avverso i
provvedimenti dell’amministratore, ma “senza pregiudizio” del
ricorso all’autorità giudiziaria. L’art. 1129 c.c. ammette ancora
ciascun condomino a richiedere la revoca giudiziaria
dell’amministratore di condominio in caso di gravi irregolarità.
Mentre l’art. 1105 c.c. consente, in materia di gestione
condominiale, il ricorso all’autorità giudiziaria nelle ipotesi
riconducibili ad una situazione di assoluta inerzia in ordine alla
concreta amministrazione della cosa comune per mancata
assunzione dei provvedimenti necessari o per assenza di una
maggioranza o per difetto di esecuzione della deliberazione
adottata.
Al di fuori dell’esperibilità di tali forme di reazione, la
deliberazione adottata dall’assemblea dei condomini o i
provvedimenti presi dell’amministratore hanno efficacia
vincolante anche nei confronti dei dissenzienti e non possono
essere fonte di danno nei confronti di questi ultimi.
Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a
rimborsare ai controricorrenti Antonietta Ammannati e
Gianpietro Vitelli, nonché alla contoricorrente Chitose Asano le
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E’ poi da considerare, in ogni caso, come il condomino abbia la

spese del giudizio di cassazione, mentre non occorre
provvedere al riguardo quanto agli altri intimati che non hanno
svolto attività difensive.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha

d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione
integralmente rigettata.
P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare
ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione,
che liquida in favore di Antonietta Ammannati e Gianpietro
Vitelli in complessivi C 3.200,00, di cui C 200,00 per esborsi,
ed in favore di Chitose Asano in complessivi C 3.200,00, di cui
C 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di
legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del
2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2
Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 12 maggio
2017.
Il Presi

aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al

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