Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30743 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. III, 26/11/2019, (ud. 23/10/2019, dep. 26/11/2019), n.30743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19520/2018 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, C.SO

RINASCIMENTO, 11, presso lo studio dell’avvocato CARMELO MOLFETTA,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.A.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI 36, presso lo studio dell’avvocato

CARLUCCIO-PARDINI STUDIO LEG. ASS., rappresentato e difeso

dall’avvocato IVO VALENTINO CALCAGNI;

– controricorrente –

e contro

D.A.L., D.A., D.R.,

DI.RO., D.G., DI.AN., d.a.,

D.L., DI.LU., M.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 545/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 17/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/10/2019 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.F. agì per far dichiarare che il contratto agrario stipulato nell’anno 1985 con il concedente D.A.L., avente ad oggetto l’intera azienda agricola di quest’ultimo e con previsione di ripartizione delle spese e degli utili, integrava – fin dall’inizio – un rapporto di affitto agrario, con conseguente diritto del concedente a percepire soltanto il canone di affitto ed obbligo dello stesso di rimborsare quanto ricevuto in eccedenza.

Costituitisi in giudizio d.a. e, con separato atto, D.E.A., Ro. e V., tutti quali eredi dell’originario concedente, il Tribunale di Brindisi, Sezione Specializzata Agraria, rigettò sia la domanda principale che quella riconvenzionale proposta da d.a.; in particolare il Tribunale ritenne provato il rapporto di mezzadria tra il S. e D.L.A. per gli anni 1985/1995 e, fino all’anno 1989, il previsto riparto di spese (al 50%) e di utili (60% in favore del coltivatore diretto S. e 40% in favore del concedente); ritenne, tuttavia, non operante la riconversione ope legis (L. n. 203 del 1982, art. 27) del detto rapporto di mezzadria in contratto di affitto, stante l’inesistenza di validi criteri legali per la determinazione del canone a seguito della declaratoria di incostituzionalità della L. n. 203 del 1982, artt. 9 e 62 (sentenza Corte Costituzionale 318/2001) e dell’impossibilità per l’interprete di avvalersi di un diverso meccanismo di determinazione dell’equo canone”.

Nel giudizio di appello promosso dal S. si costituirono d.a. e separatamente – D.A.E., Ro. e R., nonchè R.G., D.A. e A.L., gli ultimi tre quali eredi di D.V..

La Sezione Specializzata Agraria della Corte di Appello di Lecce dichiarò l’improcedibilità dell’impugnazione “sulla base della mancata notifica del ricorso in appello”.

Con sentenza 25752/2015 questa S.C. cassò detta sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione.

Con sentenza 545/17, depositata il 17-4-2018, detta Corte d’Appello, quale giudice di rinvio, ha rigettato il gravame proposto dal S.; in particolare la Corte territoriale ha, in primo luogo, evidenziato che, per effetto della su menzionata sentenza della Corte Costituzionale, erano divenute prive di effetto le tabelle per i canoni di equo affitto disciplinate dalla L. n. 203 del 1982, art. 9, ed i redditi dominicali stabiliti, in forza della L. n. 203 del 1982, art. 62, dal R.D. n. 548 del 1939, per la quantificazione di detto canone, con conseguente inesistenza dei livelli massimi di equità stabiliti da dette tabelle; nè era possibile individuare un nuovo meccanismo di determinazione dell’equo canone, non previsto da nessuna norma, in base a non meglio precisati “strumenti apprestati dal sistema” o in base all’applicazione analogica di norme dettate per materie diverse, non potendosi modificare, sulla base di norme non volte a disciplinare la materia in esame, quanto dalle parti liberamente pattuito; senza determinazione della prestazione economica da porre a carico del S. non era possibile convertire il contratto associativo in corso tra le parti in contratto di affitto; detto contratto associativo, nel quale erano presenti elementi tipici di una compartecipazione agraria (ripartizione di spese ed utili in misura diversa), non poteva, peraltro, ritenersi “omogeneo” all’affitto, e non potevano quindi allo stesso applicarsi, come invece previsto dalla L. n. 203 del 1982, art. 27, per i contratti atipici omogenei sotto il profilo causale all’affitto (cioè per i contratti caratterizzati dallo scambio tra concessione in godimento di un fondo rustico ed altre utilità), le norme regolatrici dell’affitto di fondi rustici; il contratto associativo in questione, stipulato nella vigenza della L. n. 203 del 1982, esulava quindi dall’area dei contratti convertibili.

Avverso detta sentenza S.F. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Resistono con controricorso D.A.E., Di.Ro. e D.R., nonchè R.G., D.A. e A.L., gli ultimi tre quali eredi di D.V..

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione sostiene che, una volta accertata la sussistenza tra le parti di un contratto di mezzadria successivo all’entrata in vigore della L. n. 203 del 1982 e ritenuto nullo detto contratto, quest’ultimo doveva essere convertito in affitto in applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 45, secondo cui ai contratti di compartecipazione, ove stipulati dopo l’entrata in vigore della L. n. 203 del 1982 (come nella specie), dovevano applicarsi le norme regolatrici dell’affitto di fondi rustici, a nulla rilevando l’assenza dei criteri di calcolo dell’equo canone; al riguardo evidenzia che la Corte Costituzionale aveva abrogato la L. n. 203 del 1982, art. 9, ma aveva lasciato in vita il successivo art. 10 sulle “procedure per la determinazione dell’equo canone”.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si duole che la Corte territoriale si sia fermata alla lettura apparente della sentenza della Corte Costituzionale 318/02; nella specie erano noti tutti i possibili parametri utili per potere individuare una ipotesi di canone riconosciuto ed accettato tra le parti (v. lunga acquiescenza sulla ripartizione; v. posizione del terreno, produttività dello stesso, quantità del prodotto ottenuto per ettaro) e per potere individuare una volontà concludente delle parti di accettare la richiesta sostituzione di clausole.

Il ricorso, notificato il 22-6-2018, è improcedibile, non essendo stata rinvenuta in atti la relata di notifica della sentenza impugnata, depositata il 17-4-2018 ed asseritamente avvenuta via pec in data 20-4-2018.

Il mancato rituale deposito della relata di notifica comporta, invero, l’improcedibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio dal Giudice; al riguardo, invero, è costante il principio secondo cui “la previsione – di cui dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al comma 1 della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente…”.

Nè al caso di specie può applicarsi il principio secondo cui “pur in difetto di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima (adempimento prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poichè il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2” (Cass. 17066/2013; conf. 30765/2017); ed invero, nel caso in esame, il ricorso per cassazione è stato notificato in data 22-6-2018, e quindi oltre il termine di 60 gg dalla data di pubblicazione della sentenza (174-2018), sicchè era necessario dimostrare che la notifica del ricorso fosse avvenuta entro i 60 gg dalla notifica del provvedimento impugnato.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato improcedibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato improcedibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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