Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30742 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. III, 26/11/2019, (ud. 23/10/2019, dep. 26/11/2019), n.30742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12943-2018 proposto da:

C.V., domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONIO ERRICO;

– ricorrente –

contro

D.M.G., UNIPOL SAI ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3124/2017 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA

VETERE, depositata il 23/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/10/2019 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione 28-5-2006 C.V. convenne in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Trento D.M.G. e Aurora Assicurazioni SpA (già U.G.F. Assicurazioni SpA, ora UnipolSai Assicurazioni SpA) per sentir dichiarare il primo esclusivo responsabile dell’incidente stradale avvenuto in (OMISSIS), e, per l’effetto, condannare entrambi in solido al risarcimento del danno subito.

A sostegno della domanda espose che procedeva, a bordo della sua autovettura Peugeout 206 GT tg (OMISSIS), regolarmente sulla propria corsia di marcia su (OMISSIS) in direzione (OMISSIS), allorquando il D.M., conducente dell’autovettura Punto di sua proprietà, uscì in retromarcia da area privata senza concedere la dovuta precedenza, rendendo inevitabile l’impatto, con conseguenti danni all’auto dell’attore.

Si costituirono entrambi i convenuti, contestando, tra l’altro, la dinamica del sinistro per come descritta dall’attore; in particolare sostennero l’esclusiva responsabilità dell’attore, in quanto l’impatto era avvenuto quando il D.M. aveva già completato la manovra di retromarcia, mentre l’attore si era messo improvvisamente in movimento dalla fila di auto che erano in attesa del completamento della detta manovra.

Con sentenza 13-11-2008 l’adito Giudice di Pace dichiarò improponibile la domanda per difetto di legittimazione attiva, non ritenendo provata, in capo all’attore, la titolarità della proprietà del veicolo.

Con sentenza 3124/2017 il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, in parziale accoglimento del gravame proposto da C.V., ritenuto il paritario concorso di colpa, ha condannato D.M.G. ed UnipolSai a corrispondere all’appellante la somma di Euro 758,71 (già ridotta al 50%), oltre interessi; in particolare, per quanto ancora rileva, il Tribunale, dopo avere ritenuto accertata (in quanto non contestata) la titolarità dell’autovettura Peugeout 206 in capo all’attore, ha ritenuto impossibile l’esatta ricostruzione della dinamica dell’incidente, ed ha quindi applicato la presunzione di pari responsabilità di cui all’art. 2054 c.c., evidenziando che i testi addotti dall’attore e quelli del responsabile civile avevano riferito diverse e contrastanti dinamiche del sinistro.

Avverso detta sentenza C.V. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi.

D.M.G. e UnipolSai non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 2, e dell’art. 112 c.p.c., si duole che il Tribunale abbia applicato d’ufficio, in assenza di richiesta delle parti, la presunzione di pari responsabilità.

Il motivo è infondato.

Il giudice di appello, che, ove (come nel caso di specie) ritenga non sia possibile accertare le modalità dell’incidente stradale causato dalla circolazione di veicoli ed applichi il principio sussidiario di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, benchè non espressamente dedotto tra i motivi di gravame, non supera i precisi limiti del “petitum” e delle eccezioni dedotte, ma pronunzia nell’ambito della “res in iudicium deducta”, sia sotto il profilo della fattispecie prospettata dalle parti sia della applicazione della previsione legislativa, che contempla espressamente il ricorso alla presunzione dell’uguale concorso alla produzione del danno allorchè le parti, che pure abbiano richiesto l’imputazione della colpa alla parte avversaria, non abbiano tuttavia dato la prova contraria alla presunzione stessa.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 2 e art. 115 c.p.c. nonchè art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, si duole che il Tribunale abbia fondato il suo giudizio unicamente sulla contrastante prospettazione della dinamica del sinistro, rivendicata dalle parti e confermata dall’escussione dei rispettivi testi, senza sottoporre le dichiarazioni degli stessi ad alcun vaglio critico.

Il motivo è inammissibile in quanto si risolve in una critica alla valutazione delle prove operata dal giudice di merito, che ha solo attribuito agli elementi valutati, ed in particolare alle dichiarazione dei testi escussi, un valore ed un significato difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.

Come già precisato da questa S.C., invero, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione; siffatta censura, in particolare, non è inquadrabile nè nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (fatto storico da intendere quale preciso accadimento o precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, attenendo all’esistenza della motivazione in sè, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; c.d. riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; anomalia motivazionale non sussistente nel caso di specie, ove il Tribunale ha spiegato le ragioni del suo convincimento, ed in particolare l’applicazione della pari responsabilità, correttamente fondando la stessa sull’impossibilità di accertare in concreto la reale dinamica del sinistro per le contrastanti dichiarazioni testimoniali sul punto.

In ogni modo non sussiste la violazione dell’art. 115 c.p.c., che, come precisato dalla cit. Cass. 11892/2016, può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche quando (come nella specie) il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha apprezzato le stesse in modo non conforme con quello auspicato dalla parte.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 – violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1 e art. 92 c.p.c., comma 6, Cost. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, si duole che il Tribunale abbia disposto la compensazione delle spese di lite, non tenendo conto che l’appello era stato invece accolto nella sua interezza.

Il motivo è infondato.

Come ripetutamente affermato da questa S.C., il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (conferme, tra le altre, Cass. 6369/2013).

Va poi ribadito che, come già precisato da questa S.C., la soccombenza reciproca, che si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi, va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorchè quest’ultima sia stata articolati in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso, quale quello di specie, in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (Cass. 3438/2016; Cass. 22381/2009).

Nel caso di specie, pertanto, la Corte ha correttamente valutato l’esito finale della lite, conclusasi con l’accoglimento solo parziale della domanda proposta dall’attore (in ragione sia dell’affermazione della responsabilità della parte convenuta solo al 50% sia della conseguente riduzione del “quantum” dovuto) e, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ha ritenuto il detto accoglimento solo parziale della domanda giusto motivo di compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi.

Siffatta valutazione discrezionale non è sindacabile in sede di legittimità.

Come già affermato, invero, “in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi” (Cass. 24502/2017; Cass. 8421/2017).

Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità, non avendo D.M.G. e UnipolSai svolto attività difensiva in questa sede.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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