Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3074 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/02/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 10/02/2020), n.3074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12104/2014 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.P. da

PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO TOMASSETTI,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

REGIONE LAZIO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARCANTONIO COLONNA 27,

presso la sede dell’Avvocatura Regionale, rappresentata e difesa

dall’Avvocato ANNA MARIA COLLACCIANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10897/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/03/2014 R.G.N. 3948/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di Roma, accogliendo il gravame proposto avverso la sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato, in riforma della pronuncia di primo grado, la domanda con la quale M.A., dirigente presso la Regione Lazio, aveva chiesto il risarcimento del danno sofferto per non essere mai stato scrutinato e prescelto nell’ambito di quattro procedure di nomina di dirigenti apicali svoltesi a partire dal febbraio 2009 e ciò nonostante le competenze e attitudini derivanti dal suo curriculum;

la Corte territoriale, ricostruendo la dinamica delle procedure, precisava che esse si erano articolate nella previa trasmissione dal Presidente della Giunta Regionale alla Direzione del personale di schede contenenti le caratteristiche dei posti da ricoprire, cui aveva fatto seguito l’invio dal Responsabile del Ruolo al predetto Presidente dei curricula dei dirigenti interni in possesso di almeno alcuni dei requisiti richiesti, sulla cui base poi, in un caso, era stato effettivamente prescelto un dirigente interno ed in tre casi, per l’assenza di dirigenti muniti integralmente dei requisiti richiesti, si era proceduto a selezione pubblica con successivo incarico a soggetti esterni all’amministrazione regionale;

esaminando le procedure interessate, la Corte riteneva poi che il M. non risultasse in possesso di tutti i requisiti richiesti per le rispettive posizioni e quindi non avrebbe potuto aspirare a ricoprire le stesse;

in particolare, la Corte territoriale argomentava:

– rispetto alla Direzione delle Politiche della prevenzione e sicurezza sul lavoro, sulla non rispondenza della figura del M. ai requisiti di “elevata e specifica conoscenza dei sistemi di pianificazione e controllo delle attività di prevenzione e sicurezza sul lavoro, sicurezza alimentare, sanità pubblica, desumibile dalla comprovata esperienza professionale e da titoli di specializzazione e/o perfezionamento e/o master; conoscenza delle politiche e delle normative per la tutela della salute e per l’integrazione socio-sanitaria, maturate a livello regionale o a livello nazionale, comprovata esperienza professionale, acquisita in pubbliche amministrazioni, in enti di diritto pubblico o in aziende pubbliche o private, maturati nella qualifica di dirigente per almeno un quinquennio; formazione manageriale”;

– rispetto alla Direzione Regionale Programmazione Sanitaria del Dipartimento Sociale, sulla mancanza della richiesta “elevata e specifica conoscenza dei sistemi di pianificazione, programmazione, organizzazione e controllo dei sistemi sanitari regionali, desumibile dalla comprovata esperienza professionale e dai titoli di specializzazione, perfezionamento o master; elevata conoscenza delle politiche per la tutela della salute e per l’integrazione socio-sanitaria, maturate a livello regionale o a livello nazionale; elevata conoscenza dei meccanismi di formazione e controllo della spessa farmaceutica, conoscenze in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie e dei sistemi di remunerazione dei soggetti accreditati”;

– rispetto alla Direzione della Agenzia Regionale Lazio Lavoro sul difetto in capo al M. della “titolarità di Direzione Regionale o struttura equiparata per almeno tre anni”;

– rispetto alla Direzione Regionale Affari Giuridici e Legislativi, sul mancato possesso del requisito inerente il “corso di specializzazione o perfezionamento post lauream di durata almeno annuale in materia giuridico-legislativa”;

secondo la Corte di merito tali carenze dei requisiti richiesti escludevano in radice qualsiasi lesione e qualsiasi danno, anche da perdita di chance, non assumendo neppure rilievo il fatto che altri colleghi fossero stati segnalati al Presidente, atteso che nessuno di essi era stato poi prescelto, mentre nell’unico procedimento in cui ciò era avvenuto, lo si doveva al possesso da parte della dirigente interna di tutti i requisiti prescritti;

il M. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, poi illustrati da memoria, cui resisteva con controricorso la Regione Lazio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il ricorrente, richiamando l’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, afferma la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte omesso di statuire sulla censura principale da lui proposta e consistente nella violazione delle norme dettate in materia di conferimento di incarichi dirigenziali, con particolare riferimento al fatto che la segnalazione del suo nominativo fosse stata omessa ed al fatto che la Corte non aveva svolto la necessaria valutazione sui “curricula e le esperienze professionali dei soggetti i cui nominativi sono stati inoltrati al Presidente della Giunta da parte del Responsabile del Ruolo”, il che impediva di sostenere che fosse stata svolta “una valutazione comparativa idonea a far ritenere coloro che sono stati scelti i migliori tra gli scrutinabili”, con palese carenza nella ricerca dei dirigenti interni cui eventualmente conferire gli incarichi e con indebita pretermissione di una valutazione attitudinale nei riguardi del M.;

con il secondo motivo il M. adduce la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) degli artt. 115 e 416 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., assumendo che la Regione Lazio non avesse contestato, se non genericamente, le censure mosse dal ricorrente al suo operato in merito all’omessa comparazione tra le professionalità interne ed al difetto di motivazione, sicchè era impedito alla Corte d’Appello di tornare nuovamente sulle circostanze date per provate dal giudice di primo grado;

il terzo motivo contiene analoga censura, sviluppata con riferimento al fatto che non fossero stati contestati i titoli in possesso del ricorrente, circostanza che impediva di controvertere sul punto in grado di appello;

il ricorrente ha riproposto quindi un’ampia ricostruzione dei propri tratti curriculari osservando poi in particolare, rispetto all’incarico di Direttore dell’Agenzia Regionale Lazio Lavoro come la richiesta, quale requisito, della titolarità di Direzione regionale o struttura equiparata per almeno tre anni fosse “scontra legem”;

egli ha sottolineato ancora che anche altri dirigenti non erano in possesso di tutti i requisiti e ciononostante erano stati inseriti tra gli scrutinabili, rimarcando infine che nella difesa della Regione Lazio non era dato rinvenire dove la stessa avesse evidenziato il mancato possesso dei requisiti sulla base del suo curriculum vitae, che in realtà non era stato neppure menzionato;

con un quarto motivo di ricorso il M. sostiene che non sarebbe stato corretto liquidare a suo carico le spese per entrambi i gradi di giudizio, trascurandosi la “determinante circostanza” che egli era risultato vincitore dinanzi al Tribunale del Lavoro e soccombente solo in grado di appello;

i primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè interconnessi e vanno disattesi;

la Corte d’Appello ha incentrato la propria decisione sul rilievo per cui non può esservi alcun danno da mancata valutazione nella fase di selezione o da mancata attribuzione dell’incarico, a fronte del fatto che il ricorrente era privo dei requisiti curriculari richiesti per la tipologia di incarichi interessati, facendo precedere ciò dalla ricostruzione, in sè incontestata ed anzi confermata dal richiamo nel corpo del primo motivo dell’art. 162 del pertinente Regolamento regionale, della procedura nel senso che il Responsabile del Ruolo avrebbe dovuto segnalare al Presidente i dirigenti interni muniti delle “professionalità richieste”;

il ragionamento è di logica giuridica stringente e resta privo di censure specifiche nell’ambito del ricorso per cassazione;

non ha infatti alcun rilievo ipotizzare (primo motivo) un difetto di pronuncia sui curricula delle altre persone i cui nominativi sono stati trasmessi dal Responsabile del Ruolo al Presidente della Giunta per la cernita, se comunque il ricorrente era privo dei requisiti richiesti per quegli incarichi;

neppure ha alcun rilievo insistere sulla mancata contestazione dei titoli posseduti dal M. o sulla mancata contestazione di asseriti difetti di motivazione nell’ambito delle procedure, senza prospettare nel ricorso per cassazione una chiara, precisa e completa critica agli argomenti dettagliatamente spesi dalla Corte territoriale per far constare la carenza di requisiti curriculari in capo al ricorrente e sopra riepilogati;

anche il richiamo, unico potenzialmente rilevante, al fatto che non dovesse richiedersi, per l’incarico da Direttore dell’Agenzia Regionale Lazio Lavoro, la pregressa titolarità triennale di Direzione regionale o struttura equiparata, in quanto “contra legem”, è assolutamente generico, non affermandosi non solo con quale norma ciò contrastasse, ma soprattutto perchè quel requisito non potesse essere richiesto;

nè ha pregio l’assunto secondo cui la Corte territoriale non avrebbe dovuto valorizzare quella carenza di requisiti, per il fatto che la Regione mai li aveva contestati;

infatti, secondo l’impostazione procedimentale di cui si è detto, quei profili individuano fatti costitutivi della pretesa esercitata, sicchè essi possono essere valutati officiosamente dal giudice, mentre semmai era onere del ricorrente addurre di averli specificamente dedotti come sussistenti, in punto di fatto, riproducendo i corrispondenti passaggi ove ciò era avvenuto e l’eventuale mancanza di contestazione della Regione su di essi come tali, il che non è però avvenuto;

in definitiva il ricorso è carente di una idonea presa di posizione, in senso puntualmente impugnatorio, della ratio decidendi posta a fondamento della sentenza di appello, il che lo rende complessivamente inammissibile;

inammissibile è anche il motivo attinente alle spese sia perchè palesemente non è fondata la pretesa di valutare la soccombenza distintamente per ciascun grado, riguardando essa l’esito processuale complessivo della controversia (v., tra le molte, Cass. 18 marzo 2014, n. 6259), sia perchè, a fronte di una chiara soccombenza del ricorrente, la decisione di non disporre la compensazione è insindacabile in sede di legittimità (Cass. 21 marzo 2018, n. 16893; Cass. 9 giugno 2014, n. 12958; Cass. 10.6.1997, n. 5174);

le spese del grado vanno parimenti regolate secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2020

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