Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3074 del 01/02/2022
Cassazione civile sez. III, 01/02/2022, (ud. 11/11/2021, dep. 01/02/2022), n.3074
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 36663/2019 proposto da:
M.A.W., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Dei
Consoli, 62, presso lo studio dell’avvocato Inghilleri Enrica, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Paolinelli Lucia;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, (OMISSIS);
– resistente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 24/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
11/11/2021 dal Cons. Dott. Lina RUBINO.
Fatto
RILEVATO
che:
1. M.A.W., cittadino del Ghana, propone ricorso articolato in due motivi, notificato il 25 novembre 2019, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso il Decreto n. 12749/2019 del Tribunale di Ancona, notificato in data 24 ottobre 2019.
2. Il Ministero ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si dichiara disponibile alla partecipazione alla discussione orale.
3. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.
4. Il ricorrente riferisce della sua vicenda personale: appartenente alla fede musulmana, dichiara di essersi convertito al cristianesimo a causa di una relazione con una ragazza cattolica, e che a seguito di una discussione con il padre, imam, decideva di allontanarsi dal paese; fuggiva in Burkina Faso poi in Niger, in Libia e quindi in Italia avendo appreso che il padre lo aveva denunciato alla polizia.
5. La sua domanda, volta al riconoscimento, in via gradata, di tutte le forme di protezione internazionale, veniva rigettata in sede amministrativa e poi giurisdizionale.
6. Con il primo motivo di ricorso, articolato sub a), denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; sostiene che il tribunale, dichiarando la sua storia non attendibile e non plausibile, l’ha svuotata di rilevanza e l’ha relegata nell’ambito di vicenda privata, violando il dovere di cooperazione, senza tener conto del fatto che il ricorrente ha fornito gli elementi rilevanti previsti dalle norme e ha spiegato le ragioni dell’indisponibilità di altra documentazione. Sostiene per contro che la sua vicenda è originata in effetti da un fatto privato, ovvero il contrasto con il padre per motivi religiosi, ma assume il carattere della vera e propria persecuzione o quantomeno del timore della stessa per ragioni religiose.
Sostiene poi che il tribunale abbia omesso di effettuare una ricerca completa in merito alla situazione interna del Ghana non prendendo in considerazione gli aspetti socio-politici di maggior rilevanza nella vicenda. Afferma quindi che sussistevano sia il presupposto soggettivo che il presupposto oggettivo per il riconoscimento dello stato di rifugiato.
7. Con il motivo sub b) denuncia inoltre la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, nonché dell’art. 3 Cedu e art. 10 Cost., in riferimento alla protezione umanitaria.
Sostiene che la sua condizione di vulnerabilità sarebbe rappresentata dallo sradicamento dal paese di origine, abbandonato da ormai tre anni, in cui non può rientrare perché ripudiato dal padre e dal corrispondente radicamento in Italia, testimoniato dall’inserimento in un progetto di accoglienza.
Diritto
RITENUTO
che:
8. Il primo motivo è inammissibile perché volto non tanto a denunciare una violazione di legge quanto ad ottenere dalla Corte, inammissibilmente, una rilettura delle risultanze del giudizio.
Il tribunale ha escluso il diritto al rifugio ritenendo da un lato poco credibile e poco rilevante, in sé, la vicenda raccontata dal ricorrente, che nessun atto di concreta persecuzione avrebbe subito, all’interno di un paese, la cui situazione storico sociale ricostruisce nei suoi tratti essenziali, nella cui Costituzione è tutelata la diversità di culture religiose, fatta rispettare dal governo, e a prevalenza cattolica.
9. Il secondo motivo è parimenti inammissibile. Il decreto dà atto, né il ricorrente contesta questa specifica affermazione, che nulla è stato allegato in punto di integrazione, e su questa base costruisce il giudizio di comparazione tra la condizione del ricorrente nel paese di origine e la sua situazione attuale in Italia, in ordine alla quale non trova, nelle allegazioni del ricorrente, alcun elemento atti a testimoniare l’intrapresa di un effettivo percorso di integrazione. Ne’ il ricorrente contesta efficacemente sul punto il provvedimento impugnato, deducendo di aver allegato circostanze specifiche e concludenti e che le stesse non siano state considerate, alterando l’esito presumibile di una completa valutazione.
Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 11 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2022