Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30739 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. III, 26/11/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 26/11/2019), n.30739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18407-2018 proposto da:

F. SRL IN LIQUIDAZIONE IN CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del

liquidatore F.C., elettivamente domiciliata in ROMA,

P.ZZA GENTILE DA FABRIANO, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

CAVALIERE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA COSTANZA;

– ricorrente –

contro

BANCA DEL MEZZOGGIORNO, – MEDIOCREDITO CENTRALE SPA n. q. di

mandataria e gestore del Fondo pubblico di garanzia, in persona

dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante Dott.

M.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GRAMSCI 22, presso

lo studio dell’avvocato GIANLUIGI IANNETTI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA, (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 5468/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/10/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

F. s.r.l. in liquidazione in concordato preventivo ricorre, affidandosi a due motivi che illustra con memoria, per la cassazione della sentenza n. 5468/2017 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 28 dicembre 2017.

Resistono con autonomi controricorsi ADER – Agenzia delle entrate Riscossione e la Banca del Mezzogiorno – Medio Credito centrale S.p.A., corredati di memoria.

F. Auto S.p.A. stipulava con BNL un contratto di finanziamento per l’importo di Euro 2.500.000,00, garantito nella misura del 60% da Mediocredito centrale, ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 207, comma 2.

BNL, con comunicazione del 29 marzo 2013 agli organi della procedura di concordato preventivo F. Auto S.p.A., effettuava la propria dichiarazione di credito e chiedeva l’immissione al passivo per l’importo di Euro 1.730.144,10 quale capitale, interessi ed accessori, relativi alla parte di finanziamento non rimborsato. In data 11 aprile 2013 integrava la precedente dichiarazione, precisando che il credito era assistito dal fondo di garanzia per le PMI fino alla concorrenza del 60%.

Il Tribunale di Como, in data 22 gennaio 2014, omologava il concordato preventivo di F. Auto s.p.a. che si fondeva per incorporazione con altre società nella società Freccia S.r.L. in liquidazione e in concordato preventivo, poi denominata F. S.r.L.; in data 27 agosto 2014 Mediocredito inoltrava alla procedura di concordato F. s.r.l. in liquidazione comunicazione di surroga ai sensi dell’art. 1203 c.c. e del D.M. 20 giugno 2005, art. 3, comma 4, e contestuale invito di pagamento, contemporaneamente dava atto di essere creditore del concordato preventivo F. per Euro 741.884,61, da considerarsi quale credito di natura pubblicistica assistito da privilegio generale.

Ne nasceva una controversia con la Procedura del concordato F. S.r.L. sulla natura del credito che induceva quest’ultima ad agire ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. perchè venisse accertata la natura chirografaria del credito vantato in surroga da Mediocredito, oggetto della cartella di pagamento n. (OMISSIS) emessa da Ader.

Il Tribunale adito, quello di Como, con ordinanza del 28 settembre 2016, accertava che il credito vantato da Mediocredito era assistito da privilegio generale, in virtù del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 12 del 1998, artt. 1 e 9 e del D.L. n. 3 del 2015, art. 8 bis e compensava tra le parti le spese di lite.

L’ordinanza veniva impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Milano dalla Procedura del Concordato F. S.r.L.

La Corte d’Appello, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, respingeva l’impugnazione e confermava l’ordinanza del Tribunale di Como, assumendo come il giudice di prime cure, che il DL. 24 gennaio 2015, n. 3, art. 8 bis convertito in L. 24 marzo 2015, n. 33 – il cui comma 3 prescrive che il diritto alla restituzione delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo di garanzia, di cui alla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 100, lett. a) costituisce credito privilegiato prevalente su ogni diritto di prelazione ad eccezione del privilegio per le spese di giustizia e di quelli di cui all’art. 2571 bis – avesse i caratteri dell’interpretazione autentica, avendo l’obiettivo, tra gli altri, di chiarire il senso del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 3, art. 9.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo parte ricorrente assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 10-12 preleggi, L. n. 33 del 2015, art. 8 bis nonchè del D.Lgs. n. 123 del 1998, artt. 7 e 9, artt. 1203 e 2745 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La tesi sostenuta è che la prestazione di garanzia, implicando l’assunzione di un impegno e non la immediata dazione di denaro, sia garantita attraverso l’azione di surroga ed il regresso, non attraverso il privilegio, in assenza di una espressa previsione di legge.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 12 preleggi, della L. n. 33 del 2015, art. 8 bis e del D.L. n. 123 del 1998, art. 9 dell’art. 2745 c.c.

Il credito insinuato, non essendo un credito restitutorio, non avrebbe potuto essere oggetto di titolo di privilegio, perchè, pur essendo stata ammessa dal questa Corte, con la pronuncia a Sezioni Unite n. 11930/2010, un’interpretazione estensiva dei titoli di privilegio, essa è subordinata ad una operazione logica diretta ad individuare il reale significato e la portata effettiva della norma.

Le fattispecie assistite da titolo di privilegio sono quelle che attengono a vicende di invalidità dell’operazione, mentre nel caso di prestazioni di garanzia viene in considerazione un’ipotesi di inadempimento, il che, implica, secondo la prospettiva del ricorrente, che ad esse, difettando l’eadem ratio, non avrebbe dovuto estendersi il titolo di privilegio; di conseguenza, la L. n. 33 del 2015, art. 8 bis anzichè norma interpretativa avrebbe dovuto essere intesa come disposizione innovativa, insuscettibile di applicazione retroattiva.

Del resto, non vi erano i presupposti per ritenerla di interpretazione autentica, non solo perchè la norma non recava tale qualificazione, ma anche perchè non erano insorti contrasti sull’interpretazione del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9.

3. I motivi possono essere esaminati congiuntamente, data la loro evidente connessione.

Ai sensi dell’art. 2745 c.c., essendo il privilegio una forma di prelazione accordata esclusivamente in funzione della causa del credito, atteso che l’ordinamento assume – in conformità ai valori espressi dalla Costituzione – una data ragione di credito come portatrice di interessi particolarmente meritevoli di tutela e protezione, è alla data in cui quest’ultimo è sorto che deve verificarsi la sussistenza o meno delle ragioni della prelazione.

Il problema, nel caso di specie, deriva dal fatto che al momento della stipula del contratto di finanziamento, il credito da concessione di garanzia esercitato in giudizio si dubitava fosse assistito da privilegio generale in difetto di una espressa previsione normativa.

Di qui il problema del se esso dovesse considerarsi attratto dal raggio di applicazione del D.Lgs. n. 123 del 1998, contenente disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese, a norma della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 4, comma 4, lett. c) ed in particolare dell’art. 9, comma 5, il quale stabilisce quanto segue: “per le restituzioni di cui al comma 4 i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall’art. 2751 -bis c.c. e fatti salvi i diritti preesistenti di terzi (…)”.

Sulla questione aveva disposto l’art. 8 bis, volto al potenziamento del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese, del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, relativo a misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti, convertito in L. 24 marzo 2015, n. 33, il cui comma 3, in maniera esplicita, prevedeva che il diritto alla restituzione, nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo di garanzia di cui alla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 100, lett. a) costituisce credito privilegiato (…).

Di tale previsione normativa è qui discussa la portata: innovativa e, quindi, valevole solo per il futuro ovvero interpretativa, e pertanto, di applicazione retroattiva.

A favore della ricorrenza del credito privilegiato, prima ed indipendentemente dal D.L. n. 3 del 2015, aqrt. 8 bis si adducevano il D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 7, comma 1, nella parte in cui prevede che “i benefici determinati dagli interventi sono attribuiti” anche in caso di “concessione di garanzia”, nonchè il D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 12, comma 2, il quale stabilisce che “i principi desumibili dal presente decreto costituiscono principi generale dell’ordinamento giuridico”.

Ed a sostegno di tale conclusione si invocava la decisione a Sezioni Unite, 17/05/2010, n. 11930, con cui questa Corte ha aperto la strada ad una possibile interpretazione estensiva delle norme costitutive di privilegi diretta ad individuarne il reale significato e la portata effettiva in modo da delimitare il loro esatto ambito di operatività, anche oltre il limite apparentemente segnato dalla formulazione testuale, tenendo in considerazione l’intenzione del legislatore e la causa del credito.

Senonchè restava il problema originato dal fatto che la disciplina di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 100, non era espressamente richiamata dal D.Lgs. n. 123 del 1998, che disciplina “i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive, ivi compresi gli incentivi, i contributi, le agevolazioni, le sovvenzioni e i benefici di qualsiasi genere, di seguito denominati “interventi”, concessi da amministrazioni pubbliche, anche attraverso soggetti terzi”; di qui l’asserita difficoltà di invocare l’applicazione dell’art. 9, comma 5.

L’assenza di un esplicito richiamo alle prestazioni di garanzia di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 100 era parso, dunque, un ostacolo insormontabile per l’estensione del privilegio, il quale, come si è precisato, deve trovare fonte in una norma di legge, la quale può essere sì suscettibile di interpretazione estensiva, ma, data la natura speciale delle norme istitutive dei privilegi, capaci di alterare il principio generale della par condicio creditorum, non è applicabile analogicamente.

L’interpretazione estensiva della norma di cui al D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, si dubitava che fosse sufficiente a superare l’ostacolo, perchè, pur concedendosene l’impiego, dopo la richiamata pronuncia di questa Corte, essa non avrebbe portato a risultati utili, dovendosi esaminare la strutturazione della norma di cui al D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, e delle norme ad essa collegate, allo scopo di verificare se il credito, tenuto conto delle modalità con cui la garanzia era prestata ed escussa, nonchè delle modalità con cui il credito era successivamente stato fatto valere, fosse meritevole di godere di tale privilegio.

I dettami della pronuncia n. 11930/2010 sono infatti chiari e rigorosi: per adottare l’interpretazione estensiva occorre avere riguardo per la struttura della norma e per il presupposto impositivo.

L’applicazione di tali criteri si sarebbe scontrata con il fatto che il privilegio veniva riconosciuto a crediti nascenti da finanziamento – espressione quella di finanziamento volutamente diversa da quella di benefici, comprendenti le concessioni di garanzia, utilizzata al medesimo D.Lgs., art. 7 – generica ed atecnica sì, ma non tanto da ricomprendere il credito derivante dalla concessione di garanzia accessoria al finanziamento ad una PMI, sulla scorta della L. n. 662 del 1996.

Nè a risultati diversi avrebbe condotto l’applicazione di Cass. 02/03/2012, n. 3335, nella parte in cui ha chiarito che, per invocare la disciplina di cui al D.Lgs. n. 132 del 1998, art. 9, comma 5, sarebbe necessario che nell’erogazione del finanziamento, così come in sede di prestazione della garanzia, “sia stato fatto richiamo” al D.Lgs. n. 123 del 1998.

Sulla questione ha fatto chiarezza questa Corte, soprattutto con la pronuncia 30/01/2019, n. 2664, la quale ha indagato a fondo le ragioni favorevoli all’applicazione del D.Lgs. n. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, al credito derivante da concessione in garanzia collaterale al finanziamento erogato ad impresa ai sensi della L. n. 662 del 1996.

In particolare, quanto all’espressione “finanziamento”, è stato preso sì atto che essa “non assume un significato costante o in ogni caso pregnante”, ma allo scopo:

a) di escludere che l’operazione di finanziamento si riduca, identificandovisi, con il mutuo o comunque con l’erogazione diretta di somme di danaro (p. 10);

b) di rilevarne la maggiore ampiezza rispetto a quella di cui D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 7, comma 1 (p. 12);

c) di dedurre dall’impianto complessivo del D.Lgs. n. 123 del 1998 che le diverse forme di intervento pubblico di sostegno alle attività produttive sono inserite in un disegno di impianto unitario, inteso alla razionalizzazione e riorganizzazione dell’intero settore;

d) di escludere che le varie misure di sostegno, pur nel rispetto delle differenze rilevanti che tra esse possano eventualmente manifestarsi, il profilarsi di ragioni giustificatrici di trattamenti normativi differenziati a seconda delle diverse forme di intervento previste, perchè “in tutti i casi in cui divenga operativo il sistema di “revoca” e “restituzione” previsto dalla norma dell’art. 9, infatti, si tratta comunque di assorbire, di “recuperare” il sacrifico patrimoniale che il sostegno pubblico ha in concreto sopportato in funzione dello “sviluppo delle attività produttive” (cfr. Cass. n. 21841/2017); in tutti i casi si tratta, in pari tempo, di procurare la provvista per lo svolgimento di ulteriori e futuri sostegni allo sviluppo delle attività produttive, secondo quanto significativamente dispone il medesimo art. 9, comma 6 (“le somme restituite ai sensi del comma 4 sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per incrementare la disponibilità di cui all’art. 10, comma 2″; l’importanza di questa disposizione si trova segnalata dalla giurisprudenza di questa Corte: cfr., oltre alla già citata Cass., n. 17111/2015, Cass., 20 aprile 2018, n. 9926)” (p. 13);

e) di negare che la differente conformazione genetica della concessioni di garanzia rispetto all’erogazione diretta di danaro giustifichi un differente trattamento normativo sul piano del privilegio di cui all’art. 9, comma 5 (p. 14), proponendo “per qualità, una tipologia di rischio imprenditoriale non diversa da quella propriamente portata dalla concessione dei mutui o comunque dalle erogazioni dirette di somme all’impresa beneficiaria della protezione accordata dalla legge in discorso, con obbligo di restituzione delle somme medesime;

f) di respingere la tesi che la prestazione di garanzia sia associata ad un rischio minore di quello rinveniente dall’intervento di erogazione diretta di danaro, stante che “nel caso di concessione di garanzia, l’intervento di sostegno pubblico comporta l’assunzione di un impegno negoziale diretto che confronti del soggetto mutuante (…). Che è impegno destinato a rimanere fermo pure in caso di “revoca” del beneficio al debitore principale, il relativo negozio risultando per intero soggetto alle comuni disposizioni di diritto privato (…)” e che “nel sistema vigente, l’impegno di garanzia personale prende natura di obbligazione solidale e che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il garante neppure gode del c.d. beneficium ordinis (…)” (p. 15).

La Corte ha chiarito, ai p.p. 11.6.-11.7, anche un altro punto controverso che è utile per confutare l’argomento opposto dai ricorrenti a p. 17, circa il differente trattamento che verrebbe riservato al creditore di una prestazione di garanzia rispetto a quello di cui gode il creditore garantito, ove si accedesse alla tesi che il credito del concedente garanzia nel caso di specie sia assistito da titolo di privilegio.

Il presupposto errato è costituito dal convincimento che la posizione del creditore in garanzia mutui, strutturalmente e logicamente, le proprie caratteristiche da quella del garantito, pretermettendo il fatto che il privilegio è concesso in ragione della meritevolezza della causa del credito. Nell’ipotesi oggetto di controversia, nell’ambito delle misure di sostegno pubblico alle attività produttive, il legislatore ha scelto di riconoscere tale privilegio al garante e non alla banca perchè mentre quest’ultima ha concesso il mutuo svolgendo la sua ordinaria attività di impresa, l’intervento del garante è quello che trova propriamente causa nell’intervento di sostegno pubblico.

4. Riconosciuto che il D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, è fonte normativa del titolo di privilegio del credito di garanzia a favore di chi ha finanziato la PMI, diventano prive di pregio le argomentazioni difensive con cui il ricorrente tenta di confutare la tesi della natura innovativa del D.L. n. 3 del 2015, art. 8 bis.

5. In definitiva, il ricorso va rigettato.

6. Data la controversa natura delle questioni trattate le spese vengono compensate.

7. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico della parte ricorrente l’obbligo del pagamento del doppio contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese tra le parti, tenuto conto della complessità delle questioni trattate.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società F. S.r.L. in liquidazione, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte di Cassazione, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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