Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30738 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. III, 26/11/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 26/11/2019), n.30738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14e74-2019 proposto da;

M.P.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA

11, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PICCAROZZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLA EMILIA MORA;

– ricorrente –

contro

MILANO PARCO EST V SRL;

– intimata –

Nonchè da:

MILANO PARCO EST V SRL in persona del Presidente e Legale

Rappresentante Dott. T.R., elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA ADRIANA, 11, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

PICCAROZZI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA MERLO;

– ricorrente incidentale –

contro

M.P.E., CFT SRL, SOFIGECO SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4753/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/10/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.P.E. ricorre, avvalendosi di otto motivi, per la cassazione della sentenza n. 4735/2017 emessa dalla Corte d’Appello di Milano, depositata il 15 novembre 2017.

Resistono con autonomi controricorsi Prelios Credit Servicing S.p.a., mandataria della Astore SPV S.r.l., cessionaria pro soluto del credito vantato dalla Sofigeco Sri, già Sofigeco Sp.a. e Sofigeco Crediti S.p.A., nei confronti di M.P.E. (la controricorrente ha depositato memoria) e Milano Parco Est V S.r.l. che propone altresì ricorso incidentale adesivo, cui replica con controricorso Prelios Credit Servicing S.p.a..

La ricorrente espone in fatto di avere venduto alla società Milano Parco Est V S.r.L. quattro azioni, del valore nominale di Lire 100.000 ciascuna, per complessivi quattro milioni di Euro, rappresentanti il 40% del capitale sociale della Milan MALL n. 1 S.p.A., sottoposta a procedura fallimentare, di aver ricevuto un milione e duecentomila Euro all’atto della vendita, avvenuta con rogito notarile del 28 ottobre 2009, previa autorizzazione dei soci della società acquirente, e di aver convenuto il pagamento del saldo entro il termine del 31 marzo 2010.

CTF Finanziaria S.p.A., asserendosi creditrice dell’odierna ricorrente, il 20 giugno 2011, agiva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano, avverso l’odierna ricorrente, alienante, e la Milano Parco Est V S.r.l., acquirente, chiedendo la revocazione dell’atto di vendita delle azioni, perchè il prezzo convenuto e poi effettivamente corrisposto sarebbe stato di gran lunga inferiore al valore reale delle azioni al momento in cui era sorto il suo diritto di credito, perchè la sostituzione della partecipazione azionaria con denaro avrebbe pregiudicato le ragioni creditorie, perchè il trasferimento delle azioni era stato dolosamente preordinato ad arrecare pregiudizio alla possibilità di soddisfare il suo diritto di credito.

Con ricorso depositato il 7 ottobre 2011 CTF Finanziaria chiedeva ed otteneva il sequestro delle azioni.

Entrambi i convenuti agivano in riconvenzionale, chiedendo la condanna dell’attrice ex art. 96 c.p.c. per i danni risentiti direttamente ed indirettamente in conseguenza dell’azione promossa, pari ad Euro 21.120.000 per la Milano Parco Est V S.r.l. e ad Euro 500.000,00 per M.P.E., e istando per il rigetto della domanda attorea per difetto di legittimazione attiva.

In data 24 luglio 2002 CTF Finanziaria depositava memoria ex art. 183 c.p.c., n. 2, con cui allegava di avere ceduto il credito azionato alla Sofigeco Crediti S.p.a., la quale si costituiva in giudizio in sostituzione della cedente.

Nel giudizio interveniva La Fiar costruzioni III S.r.l, titolare del 40% delle azioni della società Milan Mall n. 1 S.p.a., per sostenere le domande dei convenuti dirette ad ottenere la revoca del custode giudiziario per suoi asseriti errori relativi all’aver permesso la partecipazione al voto in assemblea ad un soggetto, C.R., che era risultato non titolare di azioni.

Il Tribunale, con sentenza n. 1598/2013, revocava e dichiarava l’inefficacia nei confronti della Sofigeco Crediti S.p.a., in qualità di successore a titolo particolare della CFT Finanziaria, del contratto di cessione di partecipazione al capitale sociale intercorso tra l’odierna ricorrente e la Milano Parco EST V S.r.L., pari al 40% delle quote sociali della Milan Mall S.r.L. in cui era stata trasformata nelle more del giudizio la Milan Mall n. 1 S.p.a..

Regolava le spese di lite tra le parti sulla scorta del principio della soccombenza e poneva a loro carico anche le spettanze del custode giudiziario.

La sentenza veniva impugnata da M.P.E. e dalla società Milano Parco Est V S.r.L. chiedendo che fosse accertata l’inesigibilità del credito vantato da CTF Finanziaria S.p.a., per omessa pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei dati necessari ad individuare il credito ceduto, e l’inefficacia del successivo atto di cessione alla Sofigeco Crediti; in subordine, chiedevano: a) la rimessione al giudice delle leggi della questione di legittimità costituzionale del combinato esposto della L. n. 130 del 1999, art. 4 e dell’art. 58, comma 2, TUB, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., per non avere imposto che la pubblicazione della cessione dei crediti in blocco sulla Gazzetta ufficiale contenesse, ai fini della opponibilità della cessione al debitore ceduto, il contenuto dell’atto di cessione, indicazioni sul credito e informazioni univoche ad identificare con certezza l’atto di cessione, i crediti ceduti, il loro ammontare, il nome del notaio rogante l’atto cessorio, il repertorio, la data e il luogo di sottoscrizione dell’atto e il prezzo pagato; b) che fosse disposta la revoca del sequestro delle azioni richiesto da CFT Finanziaria; c) che CFT e Sofigeco fossero condannate al pagamento delle spese di lite per entrambi i gradi di giudizio e delle competenze del custode giudiziario.

La Corte d’Appello, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, confermava la decisione impugnata e condannava gli appellanti al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado a favore di Sofigeco S.r.L..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale di M.P.E..

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione all’art. 1264 c.c., la violazione e/o erronea applicazione e/o falsa applicazione della L. n. 130 del 1999 e del TUB, in subordine, eccepisce la illegittimità costituzionale del combinato disposto della L. n. 130 del 1999, art. 4 e dell’art. 58 TUB (p. 70).

La tesi della ricorrente è che l’avviso pubblicato sul foglio delle inserzioni n. 3 della GU del 24/03/2007, di cui riporta il testo, avendo l’effetto di rendere efficace ed opponibile la cessione del credito, in deroga solo rispetto a quanto previsto dall’art. 1264 c.c. relativamente alle modalità di comunicazione al debitore ceduto della modifica dal lato attivo del rapporto obbligatorio, non fosse idoneo a portare a conoscenza del ceduto l’avvenuta cessione, non contenendo tutti gli elementi necessari e sufficienti – non conteneva il nome del ceduto, non indicava il nome dei garanti, non precisava la presenza di eventuali garanzie, non forniva i dati necessari per risalire all’atto notarile di cessione – affinchè il debitore ceduto evincesse con chiarezza che tale comunicazione gli era rivolta, perchè riguardava proprio un suo debito.

La prova che l’odierna ricorrente aveva ignorato l’identità del proprio creditore si trarrebbe tanto dal fatto che il giudice aveva ritenuto che l’attrice avesse provato il proprio diritto di cessionaria solo all’udienza del 12 marzo 2013 quanto dall’ordinanza del 12 febbraio 2013, con cui si dava atto che nell’atto di cessione del 29 febbraio 2006 non era menzionato il suo debito per danni, tanto che si era reso necessario disporre una CTU contabile, che non era stata poi espletata perchè Sofigeco aveva prodotto in giudizio la dichiarazione liberatoria sottoscritta in data 21 febbraio 2013 dalla Banca Monte dei Paschi di Siena.

Per la ricorrente, la Corte d’Appello non solo avrebbe erroneamente ritenuto efficace la cessione del credito, malgrado l’incomprensibilità dell’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ma avrebbe erroneamente ritenuto sufficiente la notificazione della cessione mediante atto di citazione, omettendo di considerare che anche l’atto di citazione, per avere l’efficacia attribuitagli, avrebbe dovuto allegare la documentazione idonea a dimostrare l’avvenuta cessione del credito.

La questione di illegittimità costituzionale sollevata con l’atto di appello sarebbe stata, in aggiunta, risolta sbrigativamente dalla Corte territoriale, utilizzando in modo distorto l’ordinanza n. 96/2006 della Corte Costituzionale, avente ad oggetto una questione, la cedibilità dei crediti senza il consenso del debitore ceduto, non coincidente con quella specificamente sollevata.

Pertanto, la ricorrente ripropone la suddetta questione ed aggiunge alle argomentazioni già formulate, la modifica legislativa della L. n. 130 del 1999 relativa alle cessione di crediti non individuati in blocco, rappresentata dall’introduzione, per mezzo della L. n. 96 del 2017, dell’art. 7.1., a mente del quale è fatto obbligo di fornire una serie di informazioni al fine di rendere edotto il ceduto del fatto che la cessione lo riguardi, di cui, peraltro, la Corte d’Appello avrebbe dovuto tener conto al fine di pervenire ad una soluzione diversa da quella adottata.

2. Con il motivo numero due la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione degli artt. 111,112 e 345 c.p.c. (p. 103).

M.P.E. assume che, essendo stato il giudizio promosso da CTF finanziaria ed essendo la cessione del diritto controverso avvenuta in corso di causa a favore della Sofigeco, il rapporto processuale avrebbe dovuto proseguire tra le parti originarie, non potendo l’intervento in giudizio del successore a titolo particolare, in mancanza di esplicito concorde assenso di tutte le parti, determinare l’estromissione del dante causa ex art. 111 c.p.c..

Non essendovi stata richiesta di formale estromissione di CTF, non essendo essa stata accettata dalla ricorrente nè pronunciata dal giudice, il fatto che l’appello non fosse stato opposto dall’unica legittimata, ma dalla Sofigeco, avrebbe dovuto determinare l’accoglimento dell’appello per mancanza di opposizione, essendo la CTF rimasta contumace in secondo grado e avendo la Sofigeco una legittimazione processuale aggiuntiva, ma non sostitutiva.

3. Con il terzo motivo la ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, in relazione agli artt. 111 e 345 c.p.c., lamenta l’omessa decisione e omessa motivazione sulla ammissibilità dei documenti prodotti in appello da Sofigeco (p. 111).

La ricorrente denuncia di avere eccepito in appello che i documenti nn. 4, 5, 6, 8, 9, 10, 11 e 12, prodotti in giudizio da Sofigeco, non potevano essere utilizzati ai fini della decisione, perchè rinvenienti dal fascicolo della CTF rimasta contumace, perchè la Sofigeco era stata autorizzata solo a ricostruire il fascicolo di primo grado asseritamente smarrito, perchè avrebbe potuto produrre a sua volta i documenti prodotti da CTF quando era intervenuta in primo grado; aggiunge che la Corte d’Appello, pur non essendosi pronunciata circa l’ammissibilità di tale produzione documentale, nè sulla irritualità della stessa, tantomeno avendo dichiarato irricevibili i documenti indicati, avrebbe affermato in motivazione circostanze che sarebbero asseritamente risultate provate proprio e solo da quei documenti, i quali, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., non facevano parte e non potevano far parte del fascicolo.

4. Con il quarto motivo la ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, 5, censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa ed errata applicazione dell’art. 2901 c.c. e per omesso esame di fatti e di documenti decisivi prodotti in primo grado dai convenuti (p. 126).

Il fatto che oggetto della vendita fossero quote di una società per azioni avrebbe dovuto imporre un accertamento specifico in ordine alla circostanza che la modifica qualitativa del patrimonio della ricorrente avesse reso più difficoltoso l’esercizio delle azioni di recupero del credito da parte della CTF, posto che il fatto che tali azioni fossero nel patrimonio dell’odierna ricorrente non era conoscibile dalla CTF, non essendo prevista una forma di pubblicità circa la partecipazione azionaria. Quindi, la CTF era venuta a conoscenza dell’esistenza di tali azioni solo per causa dell’avvenuta cessione, la quale quindi non poteva integrare l’eventus danni. Non solo: CTF avrebbe potuto intraprendere eventuali azioni esecutive sul corrispettivo del pagamento che doveva ancora essere incassato.

5. Con il quinto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la ricorrente imputa alla sentenza gravata di aver adottato una motivazione contraddittoria e di aver violato e/o erroneamente e falsamente applicato gli artt. 115 e 345 c.p.c. per aver basato la propria decisione su documenti irritualmente prodotti in giudizio e per avere omesso l’esame di documenti essenziali prodotti dai convenuti in primo grado (p. 132).

La Corte d’Appello avrebbe fondato la propria motivazione circa la congruità del prezzo di vendita delle azioni sulla relazione dei commissari giudiziali del concordato preventivo della Milan Mall n. 1 S.p.a., cioè sul documento n. 14 prodotto in appello da Sofigeco, già denunciato come inammissibile con le argomentazioni a supporto del motivo n. 3, su un documento peraltro in cui la stima del valore delle azioni avrebbe riguardato un periodo diverso rispetto a quello della loro vendita, quando c’era il rischio altissimo che le azioni venissero messe all’asta in blocco, ed esaminato solo parzialmente, perchè non avrebbe tenuto conto del passivo della società.

La Corte d’Appello inoltre avrebbe considerato accertato dal giudice di prime cure che il corrispettivo del prezzo di vendita delle azioni non era stato pagato, senza effettuare alcun esame degli atti di causa, ritenendo erroneamente che la documentazione comprovante l’avvenuto pagamento – il bilancio della Milano Parco Est V S.r.L. – fosse stata depositata tardivamente, mentre invece era stata allegata all’istanza di revoca e/o riduzione del sequestro delle azioni, travisando, quindi, il contenuto di un documento essenziale, affermando a p. 8, che nel bilancio relativo all’esercizio del 31.12.2011 della Milano Parco Est V si evidenziava il mancato pagamento del saldo di Euro 2.800.000,00, mentre invece il debito residuo era di Euro 37.800,00. Tanto la Corte avrebbe affermato, secondo M.P.E., dando credito alle affermazioni della Sofigeco che aveva fatto riferimento a quanto riportato a p. 22 della nota integrativa al bilancio, pagina inesistente, perchè la nota integrativa sarebbe stata costituita solo da 9 pagine, come opportunamente contestato.

6. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e/o erronea violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2901 c.c. nonchè l’omesso esame di fatti e di documenti decisivi prodotti nel primo grado dai convenuti (p. 155).

La ricorrente deduce che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che all’epoca della cessione fosse amministratore unico della società acquirente (non lo era più dal 4 ottobre 2017), venditrice delle azioni Milan Mall e Presidente del CDA della Milan Mall (la società non aveva un CDA, la nomina del CDA ebbe luogo solo il 23 luglio 2002), socia, insieme con i figli, della Milano Parco Est V S.r.l. (socio al 70% della Milano Parco est V era, invece, M. G. S.).

Anche il fatto che l’atto di cessione delle azioni risultasse sottoscritto dall’odierna ricorrente in proprio e dalla cessionaria, l’odierna ricorrente, in veste di rappresentante legale della Milano Parco est V S.r.l., autorizzata dai suoi figli in forza di assemblea del 14 febbraio 2009, non avrebbe tenuto conto che i suoi figli erano soci solo al 30%, perciò il loro voto in assemblea non era stato determinante.

La Corte territoriale avrebbe, in conclusione, recepito gli argomenti di una parte in causa, omettendo l’esame di altri documenti determinanti atti a confutarli.

7. Con il settimo motivo la ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, denuncia la violazione e/o erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. e l’omesso esame di documenti decisivi prodotti in primo grado del giudizio dai convenuti (p. 165).

Sulla scorta dei documenti versati in atti il giudice a quo, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto rigettare la domanda, ritenendo provato che il patrimonio residuo dell’odierna ricorrente (pari ad Euro 38.538.665,00) era sufficiente a soddisfare le ragioni del creditore, essendo più del triplo del credito.

8. Con l’ottavo ed ultimo motivo la ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, 5, lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 c.p.c. e l’omessa considerazione di un fatto decisivo (p. 168).

Quanto affermato dalla ricorrente è che la CFT abbia ceduto il credito di cui si affermava titolare alla Sofigeco, ma non il diritto ad agire in giudizio per revocatoria, perchè quella revocatoria non è un’azione esecutiva, ma un’azione diversa e proprio per questo non contemplata dalla L. n. 130/1999 che prevede il permanere dell’efficacia per il cessionario delle garanzie.

Ricorso incidentale di Milano Parco Est V S.r.L..

9. Con i primi due motivi, trattati congiuntamente, la ricorrente incidentale deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e/o n. 5, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 81,111,112 e 115 c.p.c. e/o degli artt. 832,1260,1470 e 2901 c.c. e della L. n. 130 del 1999, artt. 1 e 4 e dell’art. 58 TUB per difetto di legittimazione attiva da parte della Sofigeco e l’omesso esame di tale punto decisivo della controversa nonchè il difetto di titolarità del diritto azionato da parte di Sofigeco e l’omesso esame di tale punto decisivo della controversia (p. 23).

La tesi sostenuta è che il subentro nella titolarità del credito tutelato ex art. 2901 c.c. dalla CTF non abbia determinato anche il subentro della cessionaria nell’azione intrapresa dalla cedente. Il diritto controverso non è il diritto di credito, bensì il diritto alla declaratoria di inefficacia dell’atto che si assume pregiudizievole, sicchè, come stabilito da questa Corte con la sentenza n. 29637/2017, e già in precedenza dalle Sezioni unite nella pronuncia n. 5944/2016, il cessionario non subentra automaticamente nel diritto controverso non trovando applicazione in questa ipotesi l’art. 111 c.p.c..

Sofigeco avrebbe potuto intraprendere un’azione autonoma, ma non subentrare a CTF, perchè difettante di legittimazione ad agire in quanto il diritto vantato in giudizio non le apparteneva e non era stato oggetto della cessione.

La questione del difetto di legittimatio ad causam della Sofigeco pur sollevata in primo grado e coltivata in appello non sarebbe stata presa in considerazione dalla sentenza impugnata.

10. Con il terzo ed il quarto motivo di ricorso incidentale, Milano Parco Est V denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 e art. 115 c.p.c., nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio dibattuto tra le parti, con riferimento alla violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 e dell’art. 115 c.p.c. (p. 32).

Conclusosi il giudizio di primo grado, CTF non si costituiva in appello e veniva dichiarata contumace. Si costituiva in giudizio Sofigeco che produceva i documenti 4, 5, 6, 8, 9, 10, 11 e 12, assumendo che tali documenti non potessero essere considerati nuovi in quanto già prodotti da CTF e pretendendo che il fascicolo di parte della sua dante causa, non più agli atti nel fascicolo d’ufficio, venisse acquisito iussu iudicis o per sua iniziativa, previa autorizzazione del giudice.

Non avendo Sofigeco, costituendosi in primo grado, prodotto i documenti richiamati, essi, secondo gli assunti del ricorrente incidentale, avrebbero dovuto considerarsi nuovi per Sofigeco che avrebbe potuto produrli in primo grado non costituendo una ragione impeditiva il fatto che fossero inseriti nel fascicolo della società cedente, sua dante causa.

Peraltro, i suddetti documenti seppure fossero rimasti nel fascicolo d’ufficio non avrebbero potuto essere esaminati, perchè non è utilizzabile, secondo la giurisprudenza di legittimità, la documentazione prodotta in primo grado da una parte rimasta contumace in appello.

La produzione documentale era atta a provare l’esistenza del credito tutelato con l’art. 2901 c.c. da CFT, poi ceduto a Sofigeco, in sua assenza, dunque, non vi sarebbe stata prova del diritto tutelato con l’esercizio dell’azione pauliana.

11. Con il quinto motivo la ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 e 346 c.p.c. (p. 45).

Ribadito che Sofigeco è subentrata nella titolarità del diritto di credito della CFT, ma non anche nell’esercizio dell’azione di cui all’art. 2901 c.c., la Corte d’Appello non avrebbe dovuto fondare la posizione processuale della Sofigeco sull’art. 111 c.p.c., perchè tale norma presuppone l’identità delle posizioni processali, e avrebbe dovuto tener conto che CTF era rimasta contumace e che perciò Sofigeco non avrebbe potuto coltivare le domande ed eccezioni inerenti ai rapporti tra CTF e M.P.E. che, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., avrebbero dovuto considerarsi, secondo la pronuncia di questa Corte, n. 925/2017, assorbite, data la rinuncia di CTF a coltivarle. Perciò la eccezione del difetto di legittimazione ad agire di CTF, formulata sia dalla ricorrente principale che dal ricorrente incidentale sin dalle loro rispettive comparse di costituzione e riproposte in appello, e l’eccezione di inefficacia della pubblicazione in Gazzetta ufficiale della cessione del credito per il debitore ceduto avrebbero dovuto essere accolte dal giudice a quo.

12. Con il sesto motivo la ricorrente incidentale censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza gravata per violazione e/o erronea applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., dell’art. 1264 c.c., della L. n. 130 del 1999, artt. 1 e 4 e dell’art. 58 TUB (p. 61).

L’assunto del ricorrente incidentale è che, nel caso di specie, non dovesse trovare applicazione la deroga alle modalità di notifica della cessione al debitore ceduto non trattandosi di una cessione in blocco di rapporti giuridici, ma della cessione di un unico rapporto, derivante e/o connesso al contratto di scoperto di conto corrente concluso dal cedente in data 24 luglio 1992 in relazione al conto corrente n. (OMISSIS) e ad ogni diritto e/o azione, anche giudiziale, connessi, inerenti e/o accessori, nei confronti del relativo debitore, di garanti, coobbligati e/o terzi.

La Corte d’Appello avrebbe, peraltro, ritenuto erroneamente efficace la notificazione realizzata mediante atto di citazione, non solo omettendo di considerare che tale notificazione avrebbe dovuto almeno sanare i vizi della prima, ma anche che la notificazione mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale è considerata da questa Corte regolatrice (sent. n. 13954/2006) sostitutiva della notificazione della cessione al ceduto e della accettazione da parte del medesimo.

La questione, dunque, della lacunosità della notificazione non risulterebbe affrontata dalla sentenza impugnata che non avrebbe neppure adeguatamente motivato sulla eccezione di illegittimità costituzionale formulata dagli appellanti, giacchè la pronuncia di costituzionalità che, secondo il giudice a quo, avrebbe già affrontato la questione, ineriva ad altra problematica, nè avrebbe tratto elementi di valutazione dalla modifica normativa apportata con la L. n. 96 del 2017 alla L. n. 130 del 1999.

RAGIONI DELLA DECISIONE.

13. Il ricorso principale e quello incidentale sono parzialmente coincidenti, perciò saranno fatti oggetto di un esame pressochè interamente congiunto.

14. Il ricorso principale, nondimeno, presta il fianco a censure che riguardano la tecnica redazionale adoperata per l’esposizione sommaria del fatto. Con la previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, era intenzione del legislatore quella di codificare il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, imponendo l’esposizione chiara ed esauriente dei fatti di causa rilevanti, da cui far emergere le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali su cui si fonda la sentenza impugnata investite dalla richiesta dello scrutinio di legittimità.

Tale principio di autosufficienza, di cui sono stati indicati i tratti salienti, è suscettibile di essere violato sia per difetto che per eccesso.

Ebbene, nel caso di specie la ricorrente principale in primo luogo si diffonde nella narrazione di fatti che nessuna o comunque poca rilevanza assumono nella vicenda per cui è causa – il riferimento vale soprattutto per i comportamenti attribuiti a C.R., a D.P.G., a Mo.En. – in secondo luogo, ha riprodotto molti atti processuali, alcuni dei quali per di più non pertinenti o di cui non è stata in grado di dimostrare la pertinenza, omettendo un momento di sintesi funzionale che agevolasse a questa Corte il compito di cogliere i fatti rilevanti in funzione dei motivi di ricorso; così facendo la ricorrente si è assunta il rischio sia di una rappresentazione non sufficientemente chiara sia dell’inadeguatezza funzionale dell’esposizione dei fatti di causa, considerata un requisito di contenuto-forma del ricorso, richiesto a pena di sua inammissibilità (Cass., Sez. Un., 20/02/2003, n. 2602).

15. Questa Corte rileva inoltre l’inammissibilità dei motivi di ricorso ricondotti alla categoria logica di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ragione del c.d. principio della doppia conforme sui fatti di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, evitabile solo ove il ricorrente dimostri – e ciò non è avvenuto nel caso di specie – che le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, sono tra loro diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774).

16. Il primo motivo del ricorso principale, depurato delle argomentazioni a sostegno del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile; alla stessa sorte soggiace il motivo numero sei del ricorso incidentale che si fonda sul medesimo costrutto argomentativo.

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento siccome interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte tanto con riferimento agli effetti della notificazione della cessione mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale quanto con riferimento alla notificazione mediante atto di citazione. Ciò che la Corte territoriale ha chiaramente inteso rappresentare alla odierna ricorrente è che anche l’atto di citazione aveva prodotto l’effetto di cui all’art. 1264 c.c..

Lo sforzo difensivo dei ricorrenti è interamente proteso a dimostrare l’assunta inidoneità della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale a rendere edotto il debitore ceduto dell’avvenuta cessione, partendo per di più da una premessa in iure errata e cioè che la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale si riferisca solo alla cessione in blocco dei crediti con esclusione di quelle non in blocco, alla cui tipologia è ricondotta la cessione oggetto della presente controversia.

La normativa di riferimento, pur correttamente individuata dalla ricorrente, è stata dalla stessa travisata non solo sotto il profilo dell’individuazione del suo ambito di applicazione, ma anche con riferimento al contenuto prescrittivo.

L’art. 4, comma 1, infatti ritiene che ai fini della notificazione della cessione del credito, anche non in blocco, sia sufficiente che la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’avvenuta cessione contenga l’indicazione del cedente, del cessionario e della data di cessione.

Il foglio delle inserzioni n. 23 della Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio 2007, contenente l’avviso di cessione, che la ricorrente ha riprodotto a p. 72 del ricorso, al fine di soddisfare il principio di autosufficienza, dimostra inequivocabilmente che queste indicazioni vi sono contenute.

Quanto alla dedotta illegittimità costituzionale essa risulta formulata in maniera generica, con un mera indicazione dei parametri costituzionali, gli artt. 3 e 24 Cost., che, ad avviso dei ricorrenti, risulterebbero violati dal combinato disposto della L. n. 130 del 1999, art. 4 e dell’art. 58, commi 2, 3 e 4 del TUB, ma senza indicazioni sufficienti a mettere in evidenza le ragioni di tale asserita violazione dei parametri costituzionali che vada oltre una generica denuncia di un trattamento svantaggiato che i debitori ceduti subiscono per effetto della comunicazione della cessione attraverso pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, con totale omissione di alcuno sforzo argomentativo volto a negare la giustificatezza di una differenziazione normativa, atteso che il principio di eguaglianza non vieta in assoluto trattamenti differenziati, ma solo quelli che risultino irragionevoli ed inadeguati rispetto al fine perseguito (cfr. Cass. 13/05/2005, n. 10123 e successiva giurisprudenza conforme, secondo cui il motivo di ricorso per cassazione, nella parte in cui, reiterando istanza avanzata nel giudizio di merito, chiede dichiararsi la questione non manifestamente infondata e rimettersene l’esame alla Corte Costituzionale, è da ritenere inammissibile ove si limiti a dedurre genericamente l’illegittimità di una norma, senza dar conto delle ragioni di contrasto con le norme costituzionali eventualmente indicate, allo stesso modo in cui sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità di cui non sia sufficientemente motivato il contrasto con i parametri costituzionali: Corte Cost. 24/06/2004, n. 187; Corte Cost. 22/11/2001, n. 373; Corte Cost. 10/12/1987, n. 485).

Peraltro, non corrisponde al vero che la ordinanza della Corte costituzionale n. 95/2006 si sia occupata di una questione del tutto estranea a quella sollevata dai ricorrenti, perchè tra le considerazioni in fatto che il Tribunale di Viterbo aveva posto, a supporto della questione di legittimità costituzionale sollevata, vi era la seguente: le disposizioni del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58, commi 2, 3 e 4, prevedendo la “cessione a banche di aziende, di rami d’azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco” creano un diritto singulare, accordando ingiustificate posizioni di privilegio e mostrando disinteresse per le sorti del singolo debitore, in contrasto col brocardo “privilegia ne inrogando”; stabiliscono una improponibile equivalenza fra gli adempimenti di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58, comma 2, e le formalità previste dall’art. 1264 c.c.; concorrono a una elusione di legge, consentendo a determinati soggetti giuridici di ottenere un risultato equivalente a quello della cessione del contratto, senza dover sottostare al consenso del contraente ceduto, così come previsto, invece, dall’art. 1406 c.c..

E di nessun giovamento è per i ricorrenti l’intervenuta modifica della L. n. 130 del 1999, la quale semmai conforta proprio la conclusione espressa dalla Corte territoriale, visto che l’art. 7.1. introduce una forma semplificata di notificazione per le cessioni non in blocco di crediti a sofferenza, la quale non sposta affatto i termini della questione, perchè non richiede ai fini della notificazione al debitore ceduto informazioni più dettagliate di quelle che sono state indicate nel foglio informativo.

Il ragionamento va completato precisando che i ricorrenti hanno lamentato solo la inidoneità della notificazione a renderli edotti della avvenuta cessione, ma non hanno formulato argomentazioni volte a pretendere la dimostrazione aliunde che CTF fosse effettivamente titolare di un credito nei confronti della ricorrente principale.

Un conto è infatti dolersi della mancata produzione degli effetti propri della notificazione della cessione del credito, altro è contestare la titolarità del credito, onerando chi assume di essere titolare del credito ceduto di fornire la prova che il credito esercitato sia quello oggetto di cessione (cfr. da ultimo Cass. 05/09/2019, n. 22151 che, in sintonia con altri precedenti di questa Corte, ha ritenuto che la pubblicazione in Gazzetta ufficiale è sufficiente a produrre gli effetti di cui all’art. 1264 c.c., ma non esonera chi asserisce di essere cessionario, in caso di contestazione, dall’onere di fornire la prova dell’oggetto della cessione).

Se l’intenzione dei ricorrenti era quella, come pure pare verosimile, di contestare la titolarità del credito da parte di CTF avrebbero dovuto usare una strategia processuale diversa e a tal fine efficace che non si limitasse a mettere in dubbio la avvenuta produzione degli effetti di cui all’art. 1264 c.c., consistenti nell’inopponibilità dell’eccezione di compensazione e nell’inefficacia liberatoria del pagamento eseguito nelle mani del cedente.

17. Il secondo motivo del ricorso principale va esaminato congiuntamente all’ottavo, essendo strettamente dipendenti. Essi risultano infondati, così come i motivi numero uno, numero due e numero cinque del ricorso incidentale ad essi sovrapponibile, per identità delle argomentazioni deduttive.

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non è terzo, bensì l’effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter essere destinatario dell’impugnazione proposta dall’avversario del cedente e da poter resistere alla medesima senza che tale suo diritto possa essere condizionato dal suo mancato intervento nelle fasi pregresse del giudizio, così com’è legittimato a proporre impugnazione avverso la sentenza, anche pronunciata nei confronti del dante causa non estromesso, assumendo la stessa posizione di quest’ultimo (Cass. 31/08/2018, n. 21492).

Al riguardo, occorre osservare che la successione a titolo particolare nel diritto controverso, che legittima il successore ad intervenire in causa, si ha non soltanto quando sia trasferito l’identico diritto che forma oggetto della controversia, ma ogni volta che il trasferimento importi, per un rapporto di derivazione sostanziale, il subentrare dell’acquirente nella posizione giuridica attiva o passiva cui inerisce la pretesa dedotta in giudizio. E tale è la situazione determinatasi nell’odierna vicenda (Cass. 09/06/2014, n. 12953; Cass. 26/05/2003, n. 8316; Cass. 22/06/1965, n. 1309; Cass. 05/12/1977, n. 5264).

18. Il terzo motivo del ricorso principale ed i motivi numero tre e numero quattro di quello incidentale sono inammissibili ex art. 360 bis c.p.c., in quanto basati su un precedente di questa Corte superato da Cass., Sez. Un., 08/02/2013, n. 3033, che ha affermato che ove l’appellante si dolga dell’erronea valutazione, da parte del primo giudice, di documenti prodotti dalla controparte e da questi non depositati in appello, ha l’onere di estrarne copia ai sensi dell’art. 76 disp. att. c.p.c. e di produrli in sede di gravame. L’esame del motivo non offre elementi per mutare l’orientamento della Corte. Ai fini dello scrutinio del motivo rileva in particolare il c.d. principio di immanenza della prova, illustrato dalle Sezioni Unite nei seguenti termini: “quando si assume che la prova, una volta entrata nel processo, vi permane e può essere utilizzata anche dalla parte diversa da quella che l’ha prodotta, il principio va inteso con riferimento non al documento materialmente incorporante la prova, bensì all’efficacia spiegata dal mezzo istruttorio, virtualmente a disposizione di ciascuna delle parti, delle quali tuttavia, quella che ne invochi una diversa valutazione da parte del giudice del grado successivo non è esonerata dall’attivarsi perchè lo stesso possa concretamente procedere a richiesto riesame. Ne consegue che, mentre nessun problema si pone per quelle prove, orali e verbalizzate o comunque acquisite al fascicolo di ufficio (destinato in base alle norme di rito a pervenire al giudice di secondo grado), per quanto riguarda quelle documentali, materializzate nelle produzioni di parte, nei casi in cui il giudice di appello, per l’inerzia della parte interessata e tenuta alla relativa allegazione, non sia stato in grado di riesaminarle, le stesse, ancorchè non materialmente più presenti in atti (per la contumacia dell’appellato o per l’insindacabile scelta del medesimo di non più produrle), continuano tuttavia a spiegare la loro efficacia, nel senso loro attribuito nella sentenza emessa dal primo giudice, la cui presunzione di legittimità non risulta superata per fatto ascrivibile all’appellante: in termini Cass. 13/06/2019, n. 15883, che si è pronunciata in relazione alla azione revocatoria ordinaria esercitata da CTF finanziaria nei confronti dell’atto con cui M.P.E. aveva ceduto il 70% della propria partecipazione azionaria di Milano Parco Est V S.r.l. a S.M.G..

19. Il quarto motivo del ricorso principale è inammissibile.

E’ evidente il tentativo della ricorrente di aggirare la giurisprudenza di questa Corte che ai fini dell’eventus damni ritiene che sia sufficiente ravvisare la mera potenzialità di una più difficile realizzazione delle ragioni creditorie, nient’affatto messa in discussione dalla tesi secondo cui solo con l’atto di cessione il creditore sia venuto a conoscenza della titolarità della partecipazione societaria da parte della debitrice.

L’eventus damni riguarda, infatti, l’atto di disposizione in quanto tale e solo con riferimento ad esso ed alle sue caratteristiche può accertarsi se esso metta a repentaglio dal punto di vista quantitativo e/qualitativo il soddisfacimento del credito.

Nessun rimprovero può essere mosso alla sentenza impugnata che ha correttamente applicato un orientamento più che consolidato che trova supporto nella logica oltre che nel senso comune, in considerazione del fatto che l’azione revocatoria ha la funzione non solo di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, ma anche di assicurare uno stato di maggiore fruttuosità e di speditezza dell’azione esecutiva.

20. Il motivo numero cinque del ricorso principale è inammissibile.

Essendo stato ritenuto l’eventus damni integrato dalla variazione qualitativa del patrimonio del debitore risulta del tutto ininfluente accertare se il prezzo di cessione delle azioni fosse congruo (Cass. 12/12/2014, n. 26151).

Perciò le argomentazioni della ricorrente volte a dimostrare l’errore in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa nei parametri utilizzati per accertare se il corrispettivo della vendita fosse congruo è da ritenersi del tutto inconferente, oltre che inammissibili per essere stato tale accertamento già passato dal vaglio di due giudici di merito.

21. Il motivo numero sei del ricorso principale è inammissibile.

A prescindere da talune inesattezze, rilevate dalla ricorrente, la Corte d’Appello ha inteso far emergere la contiguità intercorrente tra la società Milan Mall n. 1 S.p.A. e la società Milano Parco Est V S.r.L. e il coinvolgimento dell’odierna ricorrente e della sua famiglia nelle attività della società Milano Parco Est V, atta a fornire prova della partecipatio fraudis.

22. Il motivo numero sette del ricorso principale è inammissibile.

Ribadita l’inammissibilità della prospettazione atta a supportare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non c’è nella argomentazione difensiva alcun riferimento alla parte motiva della sentenza impugnata che sarebbe incorsa nella violazione denunciata.

23. Entrambi i ricorsi sono infondati.

24. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

25. Tra il ricorrente principale e quello incidentale le spese sono compensate.

25. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico di entrambi i ricorrenti l’obbligo del pagamento del doppio contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e condanna la ricorrente principale e il ricorrente incidentale al pagamento in solido delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Compensa le spese tra la ricorrente principale e il ricorrente incidentale.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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