Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30736 del 29/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/10/2021, (ud. 15/06/2021, dep. 29/10/2021), n.30736

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5296/2018 promosso da:

ADER, Agenzia delle entrate – Riscossione (già Equitalia Nord

s.p.a.), in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4710/17 della CTR della Lombardia, depositata

il 17/11/2017; udita la relazione della causa svolta nella Camera di

consiglio del 15/06/2021 dal Consigliere ELEONORA REGGIANI;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 4710/2017, depositata il 17/11/2017, la CTR della Lombardia, accogliendo l’appello del contribuente, ha annullato l’iscrizione ipotecaria impugnata, operata a tutela del credito tributario maturato nei confronti della “Preparazione A. di A.M. & C. s.n.c.”, a seguito della notifica delle relative cartelle di pagamento al liquidatore di quest’ultima, effettuata dopo la cancellazione della stessa dal registro delle imprese.

Avverso la sentenza della CTR, L’ADER Agenzia delle entrate-Riscossione (di seguito, ADER) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Il contribuente è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione è dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 39,115,116 c.p.c., dell’art. 132,c.p.c., comma 2, n. 4), dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nonché del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1, 2, 18,19,21, art. 36, comma 2, n. 4), artt. 39,49 e 61, oltre che del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), mediante la formulazione di tre distinte censure: 1) erronea negazione dell’inammissibilità dell’impugnazione dell’iscrizione ipotecaria per mancata impugnazione del preavviso, quale atto presupposto, nonostante l’affermazione dell’impugnabilità di quest’ultimo; 2) illegittimità della mancata sospensione del giudizio nell’attesa della definizione del processo pendente davanti al giudice di legittimità tra le stesse parti n. RG 13702/2016 – riguardante anch’esso la questione della validità delle notifiche delle cartelle esattoriali, effettuate alla stessa società (la “Preparazione A. di A.M. & C. s.n.c.”), quando quest’ultima era già stata cancellata dal registro delle imprese – ai fini della verifica della legittimità delle successive intimazioni di pagamento in quella sede impugnate; 3) adozione delle statuizioni sopra indicate (ed anche quella sulla validità delle notifiche) con motivazione illogica e apodittica.

Con il secondo motivo di impugnazione è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18, 19 e 21, e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per avere la CTR escluso l’inammissibilità dell’impugnazione dell’iscrizione ipotecaria, per mancata impugnazione del preavviso, quale atto presupposto, nonostante l’affermazione dell’autonoma impugnabilità di quest’ultimo.

Con il terzo motivo di impugnazione è dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2291,2313 e 2495 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 25, 26 e 77, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per avere la CTR ritenuto invalidamente eseguite la notifiche delle menzionate cartelle di pagamento al liquidatore della società già cancellata dal registro delle imprese presso la sede legale, trattandosi invece di notifiche effettuate ai soci impersonalmente e collettivamente, quali successori ex lege della società, in applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65.

2. Parte ricorrente ha chiesto la trattazione congiunta della presente controversia con quella recante il n. RG 13702/2012, vertente tra le stesse parti.

Non e’, tuttavia, necessaria la riunione delle cause, tenuto conto che non vi è rischio di contrasto di giudicati, poiché – sebbene vi sia identità di soggetti e della causa petendi, per la parte relativa all’accertamento della validità delle notifiche di cartelle di pagamento – l’oggetto dei due procedimenti è del tutto diverso, trattandosi rispettivamente della legittimità dell’iscrizione ipotecaria e delle intimazioni di pagamento.

3. Occorre preliminarmente esaminare congiuntamente la prima censura formulata nel primo motivo di ricorso e il secondo motivo, che pongono questioni sovrapponibili, cui seguirà il vaglio della seconda e la terza censura del primo motivo e del terzo motivo.

4. La prima censura formulata nel primo motivo e il secondo motivo di ricorso sono infondati.

La questione attiene all’autonoma impugnabilità del preavviso di iscrizione di ipoteca e alle conseguenze della mancata impugnazione dello stesso sulla possibilità di ricorrere contro la successiva iscrizione di ipoteca.

4.1. Com’e’ noto, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, comma 1, prevede che, “Decorso inutilmente il termine di cui all’art. 50, comma 1” – e cioè il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento – “il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell’importo complessivo del credito per cui si procede.”

Tralasciando le altre disposizioni, in questa sede non rilevanti, si deve richiamare lo stesso art., comma 2 bis (aggiunto dal D.L. n. 70 del 2011, art. 7, conv. con modif. in L. n. 106 del 2011), ove è stabilito che “L’agente della riscossione è tenuto a notificare al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l’ipoteca di cui al comma 1”.

Occorre, infine, tenere presente che il D.L. n. 223 del 2006, art. 35, conv. con modif. in L. n. 248 del 2006, ha introdotto nell’art. 19, comma 1, la lett. e bis), prevedendo espressamente l’impugnabilità dell’iscrizione d’ipoteca sugli immobili di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77.

Nulla è invece stato stabilito con riferimento alla preventiva comunicazione sopra menzionata.

4.2. Questa Corte, con orientamento condiviso, ha più volte affermato che l’elencazione degli atti impugnabili, contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, pur avendo natura tassativa, non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti con i quali l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, dovendo intendersi la tassatività riferita non ai singoli provvedimenti nominativamente indicati ma alle “categorie” a cui questi ultimi sono astrattamente riconducibili, nelle quali vanno ricompresi gli atti atipici, o con nomen iuris diversi da quelli indicati, che però producono gli stessi effetti giuridici.

Si tratta di una interpretazione funzionale, diretta sostanzialmente ad evitare di lasciare il contribuente sguarnito del suo inalienabile diritto di difesa.

L’interpretazione della giurisprudenza non si e’, tuttavia, fermata all’adozione di tale soluzione.

Un ruolo importante nel percorso ermeneutico è stato assunto dalle modifiche apportate al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2.

In particolare, la L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2, ha modificato il testo della richiamata norma, sostituendo l’elencazione dei tributi devoluti alla giurisdizione tributaria con la previsione di una clausola generale, in forza della quale vengono attribuite alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali.

Il D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, conv. con modif. in L. n. 248 del 2005, ha, poi, specificato che la giurisdizione tributaria comprende le controversie riguardanti i tributi di ogni genere e specie comunque denominati.

Questo nuovo disegno dei confini della giurisdizione tributaria ha comportato un’alterazione dell’equilibrio tra limiti esterni e limiti interni della giurisdizione sopra menzionato.

Secondo l’opinione prevalente, sebbene sia intervenuta la generalizzazione della giurisdizione tributaria, da intendersi ormai come una giurisdizione esclusiva per materia, comunque il catalogo degli atti impugnabili, normativamente previsto, ancora delimita il momento di accesso alla tutela giurisdizionale.

A queste stesse conclusioni è espressamente pervenuta la Corte di cassazione.

Si consideri, in proposito, già Cass., Sez. U, n. 7388 del 27/03/2007, ove la Suprema Corte ha evidenziato che la L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2, configurando la giurisdizione tributaria come giurisdizione a carattere generale, radicata in base alla materia indipendentemente dalla specie dell’atto impugnato, comporta la devoluzione alle commissioni tributarie anche delle controversie relative agli atti non espressamente indicati nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 (nella specie, si era trattato dell’esercizio dell’autotutela tributaria), ferma restando, poi, la necessità di verificare l’impugnabilità dell’atto, questione che non attiene alla sussistenza o meno della giurisdizione ma alla proponibilità della domanda (nello stesso senso, in motivazione, Cass., Sez. U, n. 16776 del 10/08/2005 e Cass., Sez. U, n. 3774 del 18/02/2014).

E’, tuttavia, evidente che la modifica del citato D.Lgs., art. 2, ha determinato problemi di coordinamento tra limiti esterni e limiti interni della giurisdizione tributaria, attribuendo alle Commissioni tributarie la cognizione in ordine a controversie relative ad atti non sempre riconducibili a quelli indicati nell’elenco di cui al citato D.Lgs., art. 19, pur estensivamente interpretato nei termini sopra evidenziati.

Il rischio è la determinazione di un vuoto di tutela giurisdizionale.

Tale rischio deriva anche dal fatto che, comunque, l’operato dell’Amministrazione finanziaria si e’, nel tempo, arricchito di attività che prima non erano in alcun modo previste (si pensi, ad esempio, all’istituto dell’interpello), le quali mal si attagliano alla tipizzazione operata nell’articolo menzionato, quando il quadro normativo era meno variegato ed eterogeneo.

D’altronde, il sistema di attuazione dei tributi è in continua evoluzione e determina l’adozione di atti non sempre riconducibili al catalogo normativo.

E’ per questo che il percorso interpretativo giurisprudenziale ha avuto una ulteriore espansione ed ha portato a consentire il ricorso al giudice tributario contro gli atti che, anche se non assumono le caratteristiche proprie di quelli atti elencati nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comunque recano l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che li sorreggono e portano a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza imporre al contribuente di attendere che tale pretesa si vesta della forma autoritativa, riconducibile ad uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili (v. Cass., Sez. U, n. 10672 dell’11/05/2009; Cass., Sez. 5, n. 7344 dell’11/05/2012; Cass., Sez. 5, n. 22497 del 27/09/2017; Cass., Sez. 6-5, n. 23469 del 06/10/2017; Cass., Sez. 6-5, n. 26129 del 02/11/2017; Cass., Sez. 5, n. 27601 del 30/10/2018).

Nelle pronunce richiamate si legge che l’elencazione di tali atti, contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, pur essendo tassativa, deve essere interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), che in conseguenza dell’ampliamento della giurisdizione tributaria, operato con la L. n. 448 del 2001.

Viene, in particolare, riconosciuto, in capo al contribuente, al momento della ricezione della notizia della pretesa tributaria, l’interesse, ex art. 100 c.p.c., a richiedere su di essa una pronuncia giudiziale idonea ad acquisire effetti non più modificabili e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, che svolga una funzione di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico.

L’impossibilità di impugnare davanti al giudice tributario i menzionati atti, che comunque rendono nota la pretesa tributaria, comporterebbe una lacuna di tutela giurisdizionale, in violazione dei principi contenuti negli artt. 24 e 113 Cost., perché l’acquisito carattere esclusivo della giurisdizione tributaria non consente che gli atti non impugnabili in quella sede siano devoluti, in via residuale, ad altri giudici, secondo le ordinarie regole di riparto della giurisdizione.

In sintesi, il principio da cui desumere l’impugnabilità di un atto si ricava dall’assioma che un atto che abbia contenuto impositivo, anche se non è assimilabile ad alcuna delle categorie previste dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, non può essere privato di tutela giurisdizionale.

All’affermazione della facoltà di proporre immediata impugnazione dell’atto non espressamente indicato dall’articolo appena menzionato non e’, tuttavia, affiancata la cristallizzazione della pretesa tributaria, ove, l’impugnazione non sia effettuata e la pretesa venga successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall’articolo menzionato, perché l’impugnazione e’, appunto, una facoltà della parte, e non un onere, e, pertanto, non può determinare alcuna decadenza (operante solo se normativamente prevista) per il caso in cui essa non venga esercitata (in tal senso, v. Cass., Sez. 5, n. 2616 dell’11/02/2015; Cass., Sez. 6-5, n. 14675 del 18/07/2016; Cass., Sez. 5, n. 11471 dell’11/05/2018; Cass., Sez. 5, n. 27805 del 31/10/2018; Cass., Sez. 5, n. 1230 del 21/01/2020).

Una volta ammessa l’impugnazione facoltativa degli atti sopra indicati, resta pur sempre necessaria l’impugnazione dell’atto tipico che sia poi adottato, per evitare il consolidamento della pretesa tributaria, tant’e’ che, una volta emesso tale atto – come precisato da questa Corte – viene meno l’interesse del contribuente ad una decisione che riguardi l’atto impugnato in via facoltativa (cfr. in particolare Cass., Sez. 5, n. 7344 dell’11/05/2012).

In effetti, se l’atto tipico viene impugnato, l’unico giudizio che rileva è quello avverso quest’atto, mentre, se non viene impugnato, il ricorso antecedentemente proposto avverso l’atto facoltativamente impugnabile diviene inutile, stante l’avvenuto consolidamento degli effetti proprio dell’atto tipico.

La qualificazione di un atto tra quelli tipici autonomamente impugnabili, facoltativamente impugnabili, o non impugnabili e’, dunque, fondamentale.

Solo i primi devono essere impugnati nel termine di decadenza, pena la loro definitività. Per i secondi, la mancata impugnazione non produce conseguenze pregiudizievoli definitive e l’avvenuta impugnazione diviene addirittura irrilevante, una volta che sia sopravvenuta la notifica dei primi. Per i terzi, poi, l’impugnazione è tout court inammissibile.

4.3. In alcuni casi, dunque, questa Corte, ha assimilato agli atti espressamente menzionati nel citato D.Lgs., art. 19, altri atti, volta per volta individuati, che, per funzione ed effetti, sono stati a questi ultimi equiparati.

A mero titolo esemplificativo deve essere menzionata, Cass. Sez. 5, n. 23157 del 22/10/2020, riferita ad un caso in cui, a fronte di un’istanza di rimborso d’imposta, l’Amministrazione finanziaria si è limitata ad emettere un provvedimento di rimborso parziale, senza evidenziare alcuna riserva o indicazione nel senso di una eventuale valenza interlocutoria per la parte relativa all’importo non rimborsato. Detto provvedimento è stato inteso come un atto di rigetto – sia pure implicito – della richiesta di rimborso originariamente presentata dal contribuente, impugnabile, quale rifiuto espresso, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, e tale da rendere improponibile una seconda istanza di rimborso, per il mancato accoglimento integrale della prima.

E’ chiarissima, sul punto, anche Cass., Sez. 5, n. 23061 dell’11/11/2015, ove, in tema d’imposta di registro, la Corte ha evidenziato che l’invito al pagamento di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 212, è l’unico atto liquidatorio dell’imposta prenotata a debito previsto dalla legge, con cui viene comunicata al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, sicché, a prescindere dalla denominazione, deve essere equiparato a un avviso di accertamento o di liquidazione, la cui impugnazione non è facoltativa ma necessaria, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, pena la cristallizzazione dell’obbligazione, che non può più essere contestata nel successivo giudizio avente ad oggetto la cartella di pagamento.

Allo stesso modo, Cass., Sez. 5, n. 3049 del 01/02/2019, n. 3049, in tema di accise, ha affermato che l’avviso di pagamento previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14 (che anticipa la procedura di riscossione) costituisce atto accertativo-impositivo del tributo, aggiungendo che la mancata tempestiva impugnazione dello stesso determina la cristallizzazione della pretesa tributaria e preclude la possibilità di propOrre istanza di rimborso.

4.4. Diverso e’, come già evidenziato, quanto accade con riferimento agli innumerevoli atti che nel tempo sono stati via riconosciuti come solo facoltativamente impugnabili, perché portano comunque a conoscenza del contribuente l’esistenza di un obbligo tributario.

Come sopra spiegato, l’impugnazione di tali atti rappresenta una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non determina l’effetto di cristallizzazione del credito tributario e non preclude la possibilità d’impugnazione dell’atto successivo.

Tra tali atti questa Corte, con orientamento condiviso, ha compreso proprio il preavviso di iscrizione ipotecaria oggetto del presente giudizio.

Si tratta, infatti, di una semplice comunicazione, non assimilabile ad alcuna delle categorie di atti immediatamente lesivi, indicati nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, che, tuttavia, contiene tutti gli elementi necessari e sufficienti per comprendere il titolo della imminente iscrizione d’ipoteca e, perciò, giustifica la facoltà (e non l’onere) di immediata impugnazione per contestare la legittimità del l’iscrizione stessa, senza che il contribuente debba attendere l’adozione dell’atto previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. e bis).

In altre parole, tale preavviso si presenta funzionale a portare a conoscenza del contribuente una determinata pretesa tributaria, rispetto alla quale sorge ex art. 100 c.p.c., l’interesse alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva, a nulla rilevando, come sopra evidenziato, che non compaia esplicitamente nell’elenco degli atti impugnabili contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, in quanto tale elencazione va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. 28 dicembre 2001, n. 448 (così da ultimo Cass., Sez. 6-5, n. 6380 dell’08/03/2021, non massimata).

In applicazione di tale principio, questa Corte, esaminando una fattispecie analoga a quella in esame, ha cassato con rinvio la decisione dei giudici di merito che avevano ritenuto inammissibile l’impugnazione dell’iscrizione ipotecaria per crediti tributari, non preceduta dall’impugnazione del preavviso di tale iscrizione (così Cass., Sez. 6-5, n. 26129 del 02/11/2017).

4.5. Le censure esaminate devono pertanto essere respinte, in applicazione del seguente principio: “il preavviso di iscrizione ipotecaria, previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, comma 2 bis, costituisce un atto suscettibile di essere autonomamente impugnato, ma l’impugnazione costituisce una facoltà e non un onere del destinatario, che può in ogni caso proporre ricorso contro la successiva iscrizione”.

5. Anche la seconda censura del primo motivo è infondata.

Parte ricorrente ha lamentato la mancata sospensione di questo giudizio, in attesa della definizione di quello pendente davanti a questa Corte tra le stesse parti, recante il n. RG 13702/2016.

La presente controversia ha ad oggetto l’impugnazione dell’scrizione ipotecaria operata nei confronti di A.A., mentre quella appena richiamata ha ad oggetto l’impugnazione delle intimazioni di pagamento notificate allo stesso contribuente.

In entrambe le vertenze i motivi di doglianza comprendono quello inerente alla dedotta invalidità delle notifiche delle cartelle esattoriali, costituenti atti presupposti sia dell’iscrizione ipotecaria sia dell’intimazione di pagamento, effettuate alla società quando quest’ultima era già stata cancellata dal registro delle imprese.

5.1. Com’e’ noto, il D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, ha aggiunto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, il comma 1 bis, in questo modo disciplinando, accanto alla sospensione per pregiudizialità “esterna”, di cui al precedente comma 1 (riferita alle controversie pendenti davanti al giudice ordinario, a quello amministrativo o ad altro giudice speciale), anche la sospensione per pregiudizialità “interna”, riferita a causa pendenti davanti al giudice amministrativo.

Ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, comma 1 bis, dunque, “La commissione tributaria dispone la sospensione del processo in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa.”

La norma ricalca il contenuto dell’art. 295 c.p.c., sia pure limitando l’ambito applicativo alle ipotesi di pendenza di diversi giudizi, legati dal nesso di pregiudizialità, ma tutti davanti al giudice tributario.

Ovviamente, la disposizione deve ritenersi operante anche se la causa pregiudicante non è pendente davanti alla Commissione tributaria (provinciale o regionale) ma davanti al giudice di legittimità, tenuto conto che, come appena evidenziato, la norma è volta a disciplinare le ipotesi di pregiudizialità “interna”.

D’altronde, questa Corte, anche con riferimento a fattispecie regolate dalla disciplina previgente alla disposizione sopra riportata, ha più volte ritenuto operante la disciplina della sospensione necessaria di cui all’art. 295 c.p.c., anche nel processo tributario (applicabile al giudizio tributario in forza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1), qualora risultino pendenti, davanti a giudici diversi, procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità, tale che la definizione dell’uno costituisca indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati (così Cass., Sez. 5, n. 21765 del 20/09/2017 e Cass., Sez. 5, n. 21396 del 30/11/2012).

5.2. Tuttavia, nel caso di specie, deve escludersi che la diversa causa pendente davanti a questa Corte possa avere efficacia di giudicato nel presente giudizio, riguardando l’accertamento della legittimità di alcune intimazioni di pagamento, senza avere alcuna incidenza sulla legittimità della iscrizione ipotecaria.

Le due vertenze risultano piuttosto (in parte) connesse per il titolo su cui si fondano, perché gli stessi argomenti sono posti a fondamento di entrambe le impugnazioni, la statuizione in ciascuno dei due giudizi non sarà mai tale da influire, in termini di giudicato, sull’esito dell’altro, riguardando, si ribadisce, da una parte la validità dell’intimazione di pagamento e dall’altra la validità dell’atto di iscrizione dell’ipoteca.

6. La terza censura contenuta nel primo motivo di impugnazione è inammissibile per difetto di specificità.

Secondo parte ricorrente, la CTR ha deciso erroneamente le questioni inerenti all’ammissibilità dell’impugnazione proposta, la necessità di sospendere il giudizio e la validità delle notifiche delle cartelle esattoriali in modo del tutto apodittico e illogico.

E’ sostanzialmente dedotta l’inesistenza di una vera motivazione della decisione, ma non è spiegato perché è dedotto questo. Non e’, infatti, effettuata alcuna specifica critica a tale motivazione, peraltro riportata non nella illustrazione del motivo, ma in altre parti del ricorso, senza che risulti alcuna evidenziazione dei motivi per cui la motivazione è ritenuta inesistente.

7. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

Secondo la ricorrente la CTR ha errato nel ritenere invalide le notifiche delle cartelle di pagamento al liquidatore della società già cancellata dal registro delle imprese presso la sede legale, trattandosi invece di notifiche effettuate ai soci impersonalmente e collettivamente, quali successori ex lege della società, in applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65.

7.1. Come dedotto dalla ricorrente, e confermato nella sentenza impugnata, le cartelle esattoriali, poste a fondamento dall’iscrizione ipotecaria impugnata, sono state notificate alla “Preparazione A. di A.M. & C. s.n.c.”, quando tale società era già stata cancellata dal registro delle imprese.

Parte ricorrente ha, in particolare, affermato che le cartelle, intestate alla società, sono state notificate presso la sede legale della stessa (p. 24 del ricorso introduttivo).

Nella sentenza impugnata, la CTR ha precisato che la notifica è stata effettuata al liquidatore, A.M., senza essere mai state comunicate ad A.A. (p. 4 della sentenza impugnata).

7.2. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo affermato che, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, l’iscrizione della cancellazione di società di capitali nel registro delle imprese comporta l’estinzione della società, senza che abbia alcun rilievo l’eventuale esistenza di rapporti giuridici ancora pendenti, ed hanno anche riconosciuto al disposto dell’art. 2495 c.c., un “effetto espansivo” nei confronti delle società di persone. Anche per queste ultime la cancellazione dal registro delle imprese produce, secondo le Sezioni Unite, il medesimo effetto estintivo, sebbene la pubblicità conseguente all’iscrizione conservi natura meramente dichiarativa (così Cass. Sez. U. 22/02/2010, n. 4062; v. anche Cass., Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013; Cass., Sez. 5, n. 31037 del 28/12/2017).

In sintesi, per la società di capitali come per quelle di persone, la cancellazione dal registro delle imprese comporta l’estinzione della società, senza che sia necessario che tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo siano definiti.

Per le società di persone, tuttavia, trattandosi di pubblicità dichiarativa, è consentita la prova contraria, idonea a superare l’effetto derivante dalla cancellazione che, però, non è data dal fatto “statico” della pendenza di rapporti sociali non definiti, occorrendo la prova del fatto “dinamico” della continuazione dell’attività sociale nonostante l’avvenuta cancellazione. Solo la perdurante operatività della società giustifica, ai sensi dell’art. 2191 c.c., la cancellazione della cancellazione, cui consegue la presunzione che la società non abbia mai cessato di esistere (così, in particolare, Cass., Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013; v. anche Cass., Sez. 1, n. 26196 del 19/12/2016).

Secondo il giudice di legittimità, inoltre, all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponde il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, ma si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese (anche se azionate o azionabili in giudizio) e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) che, invece, non essendo stata espletata, consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013).

Per quanto riguarda le società di persone, dunque, la cancellazione dal registro delle imprese determina l’estinzione della società (salva la prova contraria, come sopra connotata), dando origine a un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori, facenti capo all’ente, non si estinguono ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate, illimitatamente o nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione (Sez. 5, n. 24955 del 06/11/2013; v. anche Sez. 6-5, n. 13805 del 06/07/2016).

7.3. Come precisato da questa Corte, l’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non impedisce di procedere all’iscrizione a ruolo a nome della società estinta di tributi maturati durante la sua esistenza in applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 3, ma il credito deve essere azionato nei confronti dei soci, sia perché coobbligati solidali sia perché successori ex lege della società medesima (Cass., Sez. 5, n. 31037 del 28/12/2017).

Nel caso di specie, dunque, le cartelle esattoriali, ancorché emesse nei confronti della società estinta, avrebbero dovuto essere notificate ai soci della “Preparazione A. di A.M. & C. s.n.c.”.

E’ invece la stessa ricorrente ad evidenziare, come pure risulta dalla sentenza della CTR, che la notifica, indirizzata alla società, è stata effettuata al liquidatore presso la sede sociale.

Secondo la ricorrente occorre dare applicazione analogica al disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 4, ove è stabilito che la notifica degli atti intestati al dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione all’ufficio delle imposte del domicilio fiscale del dante causa le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale.

Occorre tuttavia effettuare alcune precisazioni.

In alcune pronunce, il giudice di legittimità ha effettivamente operato tale analogia, ritenendo valide le notifiche delle cartelle esattoriali, intestate alla società, eseguite successivamente all’estinzione della stessa, quando risultino effettuate nelle mani di uno dei soci (così Cass., Sez. 5, n. 31037 del 28/12/2017; con riferimento alla notifica dell’avviso di accertamento, v. anche Cass., Sez. 5, n. 25487 del 12/10/2018, Cass., Sez. 6-5, n. 23534 del 20/09/2019 e Cass. Sez. 6-5, n. 24793 del 05/11/2020).

E’, tuttavia, evidente che si tratta di fattispecie del tutto diverse da quella in esame.

Nel caso di specie, le notifiche risultano eseguite presso la sede sociale, assimilabile al domicilio del de cuius, ma non nei confronti dei soci, ancorché impersonalmente e collettivamente indicati, bensì nei confronti della stessa società oramai non più esistente.

Ne’ risulta sia stato, comunque, raggiunto lo scopo della norma, perché il giudice di appello e la stessa ricorrente hanno escluso che la notifica sia stata eseguita nelle mani di alcuni dei soci.

Si consideri che, proprio in applicazione della norma evocata dalla ricorrente, questa Corte ha chiarito che l’avviso di accertamento intestato ad un contribuente deceduto, notificato allo stesso nell’ultimo domicilio, come pure la stessa notificazione dell’avviso, sono affetti da nullità assoluta ed insanabile, atteso che, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, l’atto impositivo intestato al de cuius può essere notificato nell’ultimo domicilio di quest’ultimo soltanto indirizzando la notifica agli eredi collettivamente ed impersonalmente e purché questi, almeno trenta giorni prima, non abbiano comunicato all’ufficio delle imposte le proprie generalità ed il proprio domicilio fiscale.

Tale irregolarità della notifica, eseguita nei confronti del defunto, ha specificato la Corte, incide sulla struttura del rapporto tributario, il quale, evidentemente, non è configurabile nei confronti di soggetti non più esistente (Cass., Sez. 5, n. 1507 del 27/01/2016; nello stesso senso, Cass., n. 18729 del 05/09/2014; v. anche Cass., Sez. 5, n. 5747 del 09/03/2018, ove, in tema di notifica dell’avviso di accertamento, la S.C. ha affermato che, ove il destinatario sia deceduto e gli eredi non abbiano provveduto alla comunicazione del proprio domicilio fiscale, è nulla la notificazione nei confronti del defunto eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., non essendo la morte del destinatario equiparabile all’irreperibilità dello stesso).

Alle stesse conclusioni deve giungersi nel caso di specie.

8. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto, in applicazione del seguente principio: “In tema di riscossione dei debiti fiscali di società di persone, estinte a seguito della cancellazione dal registro delle imprese, è consentita l’applicazione analogica de D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 4, in presenza delle condizioni ivi previste, ma la notifica della cartella di pagamento, da compiersi presso la sede sociale, deve essere effettuata ai soci, sia pure collettivamente ed impersonalmente indicati, e non alla società che, non essendo più esistente, non può essere più parte di alcun rapporto tributario”.

9. Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, tenuto conto che il contribuente è rimasto intimato.

10. In applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

dà atto, in applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di cassazione, mediante collegamento “da remoto”, il 15 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021

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