Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30735 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 30/12/2011), n.30735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31050/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

CORATTI TOMMASO & C. SNC;

– intimato –

avverso la sentenza n. 703/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 22/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2011 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato RANUCCI, che ha chiesto la

rimessione in primo grado per integrazione del contraddittorio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine annullamento e rinvio al giudice di primo grado del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 22.9.2005 n. 703 la CTR della regione Lazio sez. staccata di Latina ha rigettato l’appello proposto dall’Ufficio di Frosinone della Agenzia delle Entrate avverso la decisione di prime cure che, in accoglimento del ricorso della contribuente Coratti & C. s.n.c, aveva annullato l’avviso di accertamento – emesso a seguito delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza e concluse con PVC redatto in data 13.9.1995 – con il quale era stato rettificato in L. 394.111.000 il reddito di impresa dichiarato dalla società nell’anno 1991, con conseguente determinazione della maggiore imposta dovuta a titolo ILOR. I Giudici territoriali ritenevano esente da censure la decisione della CTP di Frosinone in quanto fondata sulle risultanze probatorie acquisite nel corso del procedimento penale instaurato sui “medesimi presupposti indicati dall’Ufficio a sostegno del suo accertamento” e definito con sentenza di assoluzione con formula piena (“perchè il fatto non sussiste”) del rappresentante legale della società contribuente.

Avverso la sentenza hanno proposto tempestivo ricorso il Ministero della Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, con atto consegnato all’Ufficiale giudiziario in data 7.11.2006 e notificato ai sensi dell’art. 149 c.p.c. in data 11.11.2006 presso il domicilio eletto ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, deducendo con un unico motivo violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., art. 654 c.p.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), nonchè vizio di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Non ha resistito la società intimata.

Alla udienza 1.6.2010 su conforme richiesta del Procuratore Generale la causa è stata rinviata a nuovo ruolo ai sensi della L. n. 73 del 2010, ed è pervenuta in discussione alla odierna udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente dichiarata “ex officio” l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione attiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svoltosi avanti la CTR della regione Lazio, introdotto con ricorso proposto dall’Ufficio di Frosinone della Agenzia delle Entrate, in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributali pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3 (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).

2. La Agenzia ha impugnato la sentenza di appello:

– per omessa pronuncia sui motivi di gravame (con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c.) concernenti la impugnazione della decisione di prime cure in punto di mancato riconoscimento dei recuperi a tassazione disposti con l’avviso di accertamento e concernenti: a) la omessa contabilizzazione di ricavi per L. 200.748.765 relativi a note di credito emesse con riferimento ad annualità di esercizio non di competenza, nonchè a plusvalenze non dichiarate; b) costi per carburante e lubrificanti, pari a L. 36.361.257, non deducibili in quanto non di competenza e privi del requisito di inerenza; c) spese per manutenzione e riparazioni, per L. 52.464.054, non considerate inerenti;

– per violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e art. 654 c.p.p. in ordine al rigetto del motivo di gravame concernente il capo della sentenza di primo grado con il quale erano stati ritenuti deducibili i costi per “canoni discariche” e “spese di pubblicità”, per l’importo di L. 569.595.900, contestati dall’Ufficio in quanto relativi a operazioni inesistenti in ordine alle quali il giudicato penale di assoluzione a favore del contribuente non poteva spiegare alcuna “automatica efficacia” nel giudizio tributario (la ricorrente richiama Corte cass. n. 14953/2006), come invece opinato dai Giudici di appello in violazione dell’art. 116 c.p.c., attesa la autonomia dei due giudizi imposta dal diverso oggetto (accertamento della colpevolezza e di presupposti di imposta) e dai limiti alla prova previsti nel giudizio tributario (Cass. 9109/2002 e 10269/2005);

– per vizio motivazionale in quanto la sentenza, da un lato prescinde del tutto dalla indicazione e dalla autonoma valutazione delle prove a fondamento del giudicato penale; dall’altro motiva “per relationem” alla decisione di prime cure sostenendo apoditticamente che tale valutazione sarebbe stata compiuta correttamente da quel Giudice.

3. La causa non può accedere all’esame del merito dei motivi dedotti, dovendo la Corte rilevare “ex officio”, in via pregiudiziale, la nullità insanabile dei giudizi di merito in quanto affetti dal vizio di violazione del contraddittorio.

Con sentenza delle SS.UU. di questa Corte in data 4.6.2008 n. 14815 sono stati definiti gli ambiti di applicazione dell’istituto del litisconsorzio necessario in materia tributaria D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 14, con specifico riferimento alle controversie aventi ad oggetto i redditi di impresa delle società di persone attribuiti per “trasparenza” a singoli soci. La decisione si articola nelle seguenti statuizioni:

a-) l’istituto del litisconsorzio necessario nel processo tributario, come affermato da Corte cass. SS.UU. 8.1.2007 n. 1052 “si configura come fattispecie autonoma rispetto a quella del litisconsorzio necessario, di cui all’art. 102 cod. proc. civ., poichè non detta come quest’ultima, una norma in bianco, ma positivamente indica i presupposti nella inscindibilità della causa determinata dall’oggetto del ricorso. Sulla base di questi presupposti, un’ipotesi di litisconsorzio tributario, ai sensi del citato art. 14, si configura ogni volta che, per effetto della norma tributaria o per l’azione: esercitata dall’amministrazione finanziaria, l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, ed il ricorso, pur proposto da uno o più degli obbligati, abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione” b-) “…l’unicità dell’atto di accertamento (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40) e la consequenzialità del riparto tra i soci (art. 5 cit.

T.U.I.R.), costituiscono il presupposto unitario, che determina di per sè la situazione tipica del litisconsorzio necessario originario, anche se all’attività di accertamento non sia seguita la notifica dei relativi avvisi a tutti i soggetti interessati (società e soci). E’ sufficiente che venga notificato ed impugnato almeno un avviso di accertamento, perchè si verifichi il presupposto del litisconsorzio necessario, sempre che il ricorso riguardi l’accertamento dei fatti sulla base dei quali è stato determinato II reddito della società. In questo caso, la domanda giudiziale riguarda comunque tutti i soggetti destinatari, effettivi o virtuali, dell’accertamento. Il fatto che l’amministrazione finanziaria non notifichi gli avvisi di accertamento a tutti i soggetti interessati, non può impedire la celebrazione del giudizio nella completezza del contraddittorio: “l’ipotesi litisconsortile non è dipendente dalle scelte dell’amministrazione finanziaria, nel senso che quest’ultima non può escluderla ricorrendo ad una serie di separati atti impositivi nei confronti dei singoli soggetti obbligati, laddove normativamente unica sia la fattispecie costitutiva dell’obbligazione e l’impugnazione proposta da parte di uno degli obbligati avverso l’atto separato a lui diretto investa la ragione comune a tutti gli altri con riferimento alla fattispecie rappresentata nell’atto impugnato”. (Cass. 1052/2007, punto 7 della motivazione). La mancata notifica dell’avviso di accertamento, non impedisce la partecipazione al giudizio, che comunque viene introdotto mediante impugnazione di un atto di imposizione notificato ad uno dei litisconsorti, così come prevede il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19…….”.

Conseguentemente dalle SS.UU. è stato affermato il seguente “principio di diritto”: “la unitarietà dell’accertamento che è (o deve essere) alla base della rettifica”, quale quella operata nella specie, “delle dichiarazioni dei redditi delle società ed associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 (T.U.I.R.) e dei soci delle stesse (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40) e la conseguente automatica imputazione dei redditi della società a ciascun socio proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili, indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso proposto da uno dei soci o dalla società, anche avverso un solo avviso di rettifica, riguarda inscindibilmente la società ed i soci (salvo che questi prospettino questioni personali), i quali tutti devono essere parte nello stesso processo, e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1), perchè non ha ad oggetto la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione (Cass. SS.UU. 1052/2007); trattasi pertanto di fattispecie di litisconsorzio necessario originario, con la conseguenza che:

– il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati, destinatario di un atto impositivo, apre la strada al giudizio necessariamente collettivo ed il giudice adito in primo grado deve ordinare l’integrazione del contraddittorio (a meno che non si possa disporre la riunione dei ricorsi proposti separatamente, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29);

– il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è nullo per violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 2, e trattasi di nullità che può e deve essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio”.

Il principio di diritto enunciato ha trovato seguito in numerose sentenze della Sezione 5^ civile (ex pluribus: 5^ sez. 6.4.2009 n. 8253; id. 18.5.2009 n. 11549; id. 7.7.2010 n. 16068, con riferimento a distinti accertamenti a fini ILOR ed IRPEF anno 1992 concernenti la medesima società odierna intimata; id. 19.5.2010 n. 12236 e 20.5.2011 n. 11240 che estendono l’applicazione del principio anche nel caso in cui l’ente impositore “abbia contestualmente proceduto, con un unico atto, ad accertamenti ILOR ed IVA a carico di una società di persone, fondati su elementi in parte comuni, se pure non coincidenti” qualora “il profilo dell’accertamento impugnato concernente l’imponibile IVA” non sia “suscettìbile di autonoma definizione in funzione di aspetti ad esso specifici”; id. ord. 21.12.2010 n. 25929 e n. 25931 con riferimento ad IRAP “in quanto imposta sostitutiva dell’ILOR abolita dalla legge istituiva del nuovo tributo che ne ha peraltro evidenziato la equiparazione: D.Lgs. n. 446 del 1999, artt. 36, 3 e 44”), nonchè ha ricevuto ulteriori integrazioni con le sentenze 5^ sez. 10.2.2010 n. 2907; id. 18.2.2010 n. 3830; id. 23.4.2010 n. 9760; id. 9.7.2010 n. 1623; id. 24.9.2010 n. 20212; id. 29.10.2010 n. 22122, le quali valorizzando il principio costituzionale del “giusto processo” (art. 6 CEDU; art. 111 Cost., comma 1) secondo cui “il processo non può essere equo se non viene definito in un termine ragionevole”, nonchè adottando una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme processuali volta ad impedire un “inutile dispendio di energie processuali e formalità da ritenere superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo ed in particolare dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio espresso dall’art. 101 c.p.c.” (cfr. Corte cass. SU 3.11.2008 n. 26373), hanno circoscritto la pronuncia di nullità dei giudizi tributari svolti in assenza di tutte le parti necessarie (società e soci) ai casi in cui non sia possibile rimediare all’originario difetto di contraddittorio mediante il provvedimento di riunione, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., dei giudizi indipendentemente instaurati dai litisconsorti necessari, riunione che presuppone 1-la identità oggettiva dei giudizi, quanto alla “causa petendi”; 2-la contestuale pendenza dei giudizi e la simultanea trattazione degli stessi avanti i Giudici del merito; 3-la identità sostanziale delle decisioni adottate da tali Giudici (cfr.

Corte cass. 5^ sez. n. 3830/2010 cit.).

Tanto premesso dalla lettura delle sentenza di appello risulta che il giudizio concernente impugnazione dell’avviso di accertamento ai fini ILOR anno 1991, notificato alla società di persone Coratti Tommaso &

C. s.n.c., si è svolto unicamente nei confronti della società con conseguente vulnus arrecato alla integrità del contraddittorio con i soci legittimati a contestare l’accertamento -anche in caso di omessa notifica dello stesso- in virtù del principio di “trasparenza” che regola i redditi (nella specie di impresa) prodotti dalla società.

Tale vulnus non è emendabile mediante il provvedimento di riunione ex art. 274 c.p.c., non risultando dalla sentenza impugnata, e non essendo stata neppure allegata dalla parte ricorrente, la eventuale proposizione pendenza di autonomi giudizi tributari da parte dei soci della società di persone attualmente intimata.

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata, per nullità dei giudizi di primo e secondo grado, con rinvio ex art. 383 c.p.c., comma 3, avanti il primo giudice (CTP di Frosinone).

Non occorre provvedere sulle spese di lite non avendo svolto difese la intimata.

P.Q.M.

LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero della Economia e delle Finanze;

– dichiara la nullità dell’intero giudizio e rinvia per integrazione necessaria del contraddittorio alla Commissione tributaria provinciale di Frosinone;

– nulla sulle spese di lite.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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