Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30734 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. III, 26/11/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 26/11/2019), n.30734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17855-2018 proposto da:

DORA SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI 21,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE TORRISI, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCO CAPOLUPO;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL IN FALLIMENTO, in persona del curatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA G MAZZINI 27, presso lo

studio dell’avvocato LIDIA PORZIO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ALESSANDRO DE SALVO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2201/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 09/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/10/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società ricorrente, con atto del 16 aprile 2009, ha acquistato un immobile dalla società Alfieri Sport srl, la quale per fusione, poco dopo avvenuta, con la Alfieri Sport 2 srl, ha dato luogo alla società (OMISSIS) srl, poi, nel 2012, dichiarata fallita.

Il Fallimento ha agito per la revocatoria del predetto atto di vendita, ritenuto in frode alle ragioni della procedura.

Il giudice di primo grado ha respinto la domanda, assumendo che non vi fossero i presupposti di cui all’art. 2901 c.c., ed in particolare il danno, anche per via del fatto che la vendita era destinata a pagare un debito scaduto, e ritenendo assorbita la questione del consilium fraudis.

Su appello del Fallimento, la corte di secondo grado ha invece dichiarato inefficace la vendita, affermando, per contro, come sussistenti i requisiti di cui all’art. 2901 c.c.

V’è ricorso della società Doria srl, con tre motivi e controricorso del fallimento. Le parti depositano memorie. La curatela risulta altresì ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disattesa l’eccezione di nullità della procura fatta dal fallimento controricorrente il quale assume l’illeggibilità della firma apposta in calce, che rende non identificabile il legale rappresentate pro tempore. In realtà, l’identificazione di quest’ultimo è fatta attraverso il timbro della società e relativa autenticazione e comunque l’identità del legale rappresentate risulta comunque dal resto dall’atto (arg. a contrario ex Cass. 14005/ 2003).

1.- La ratio della decisione impugnata sta nel ritenere, intanto, come proposta con l’appello la questione del consilium fraudis, e nel ritenerla altresì fondata, per via perlomeno presuntiva, coincidendo tra le due società (venditrice ed acquirente) l’amministratore ed anche in gran parte i soci.

Sta pure nel ritenere la vendita comunque pregiudizievole per il fallimento nonostante il bene sia ipotecato a favore di terzi, e comunque nell’escludere l’applicabilità dell’art. 2901 c.c., comma 3 non essendo ravvisabile alcun debito scaduto.

2.- La società ricorrente censura questa decisione con tre motivi.

Con il primo ritiene violato l’art. 112 c.p.c. assumendo una decisione ultra petita del giudice di appello.

Secondo la società ricorrente il fallimento non ha espressamente riproposto la questione del consilium fraudis, che in primo grado era ritenuta assorbita dal rigetto, per altre ragioni, della domanda di revocatoria.

In difetto di una espressa proposizione della questione, la corte avrebbe deciso oltre il richiesto.

In realtà, la corte interpreta la domanda (ed è attività qui insindacabile se non nei limiti del difetto di motivazione tanto grave da rendere nulla la sentenza) nel senso che il fallimento ha riproposto la questione del consilium fraudis, attraverso l’allegazione di indici presuntivi di quell’elemento soggettivo.

La corte ricava ossia questa conclusione dal fatto che il Fallimento ha evidenziato non solo la coincidenza dell’amministratore delle due società nella medesima persona, ma anche della compagine sociale, elementi che altro non potevano indicare se non la richiesta di valutare, per l’appunto, l’elemento soggettivo, ossia la conoscenza del debito e della elusività dell’alienazione.

Il motivo è infondato, proprio perchè la riproposizione dell’intera domanda di revocatoria è ovviamente riproposizione al tempo stesso della richiesta di accertare i suoi presupposti.

Ai fini identificazione dell’appello, come relativo ad una revocatoria, è sufficiente che la parte indichi gli estremi dell’atto da revocare e chieda, per l’appunto, che ne venga dichiarata l’inefficacia, non essendo necessario che espressamente indichi gli elementi della fattispecie che fondano l’azione, la cui illustrazione semmai rileva ai fini della argomentazione e della prova della domanda di revocatoria.

Da tal punto di vista, risulta evidente che il Fallimento ha riproposto in appello la domanda di revocatoria, ed ha altresì indicato gli elementi da cui desumere il consilium fraudis (ossia l’unicità dell’amministratore e la coincidenza dei soci, tra società venditrice e società acquirente).

Non è dunque pronunciata ultrapetita la decisione della corte di appello che ravvisi che la questione del consilium fraudis è insita nella indicazione di elementi presuntivi della medesima.

3.- Con il secondo motivo si ritiene violazione dell’art. 2901 c.c. nella parte in cui la corte di appello avrebbe disatteso la tesi dell’avvenuto pagamento di un debito scaduto.

Il motivo è infondato.

Esso è basato sul rilievo che la destinazione della somma ad estinzione del mutuo acceso per l’acquisto del bene costituisce pagamento di un debito scaduto.

Il motivo è infondato in quanto il contratto prevedeva che l’acquirente si accollasse il pagamento del mutuo, per cui l’estinzione di quest’ultimo è prevista dalle parti a titolo di corrispettivo della vendita, nel senso che l’acquirente della compravendita si accolla, in tutto o in parte, il pagamento del mutuo residuo, e tale accollo, di conseguenza, non può considerarsi pagamento di un debito scaduto da parte dell’alienante (invero non lo è neppure ad opera dell’acquirente).

4.- Con l’ultimo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c e dell’art. 2997 c.c.

Secondo la ricorrente la revocatoria non era proponibile in quanto il bene oggetto era gravato da ipoteca a favore di un terzo, il che rendeva per il Fallimento impossibile soddisfarsi su tale cespite, data la prevalenza del creditore ipotecario.

Con conseguente difetto del danno per il fallimento.

Nel ritenere invece sussistente un tale pregiudizio la corte sarebbe andata ultrapetita, avendo inventato la ragione del sussistente danno, ed avrebbe altresì male inteso le norme sulle cause di prelazione.

Anche questo motivo è infondato.

Intanto, non costituisce decisione ultra petita la semplice affermazione di un argomento a sostegno della decisione, resa pur sempre all’interno della domanda di revocatoria; e l’avere ritenuto che esistono nel Fallimento crediti che hanno priorità sul creditore ipotecario è semplice argomento a sostegno della domanda di revocatoria non già pronuncia su una domanda non proposta.

Nel merito, peraltro, la decisione della corte si rileva corretta, in quanto, da un lato, l’esistenza, che è dovuta alla legge stessa (e dunque non ha bisogno di essere provata, come invece assume la ricorrente) di crediti in prededuzione rende conto del danno che potrebbe subire il Fallimento, che può invero soddisfarsi con priorità rispetto al creditore ipotecario su quel bene, proprio per soddisfare i crediti fallimenti in prededuzione; per altro verso, la pronuncia di revocatoria mira a rendere semplicemente inefficace la vendita rispetto al creditore, effetto questo che è rilevante ed interessa il creditore medesimo pur se il bene oggetto di revocatoria è gravato da ipoteca a favore di terzi.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Pur in presenza dell’ammissione al patrocinio a carico dello Stato, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo, che vanno valutati in concreto (Cass. 9660/2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 7200,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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