Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30730 del 26/11/2019

Cassazione civile sez. III, 26/11/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 26/11/2019), n.30730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 453-2017 proposto da:

SALE E PEPE DI G.C. & C SAS, in persona del legale

rappresentante e socio accomandatario, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CRESCENZIO 25, presso lo studio dell’avvocato MARIA CARLA

VECCHI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO SEGALERBA;

– ricorrente –

contro

L.M.B., P.R., P.E., elettivamente

domiciliati in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio

dell’avvocato ASSOCIATI C/0 ST GREZ, rappresentati e difesi

dall’avvocato CARLO FUSCO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 583/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 06/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/10/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Sale e Pepe di G.C. & C. S.a.s. ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 583/2016 della Corte d’Appello di Genova, depositata il 6 giugno 2016, formulando due motivi.

L.M.B., P.E. e P.R. resistono con controricorso.

La società ricorrente espone in fatto di essere stata convenuta dinanzi al Tribunale di Genova da L.M.B., P.E. e P.R. per ottenere nei suoi confronti la convalida di sfratto per morosità nel pagamento di tre mensilità di canone relativamente all’immobile concessole in locazione ad uso non abitativo con contratto stipulato 11 marzo 2004.

Il Tribunale, con ordinanza del 20 giugno 2014, convalidava lo sfratto, ritenendo che l’avvenuto pagamento della somma dopo la notifica dell’atto di intimazione di sfratto fosse irrilevante, data la insanabilità della morosità, e che la gravità dell’inadempimento e l’inconsistenza delle eccezioni della società conduttrice imponessero di contenere al minimo la data per il rilascio del bene locato.

Con sentenza, la n. 3814/2014, il Tribunale di Chiavari revocava la precedente ordinanza, perchè riteneva accertato che la morosità era stata sanata prima dell’udienza di convalida, ma, accogliendo la domanda dei locatori, dichiarava risolto il contratto per inadempimento e condannava la conduttrice a rilasciare l’immobile entro il 27 marzo 2015.

La sentenza veniva impugnata dall’odierna ricorrente, deducendo l’insussistenza della morosità, atteso che il pagamento delle tre mensilità insolute aveva avuto luogo il giorno stesso in cui era stata ricevuta la notifica dell’intimazione di sfratto, che il ritardo nei pagamento era dovuto ad un errore nell’impostazione del sistema automatico di home banking, che non aveva in precedenza ricevuto alcuna contestazione della morosità nè alcuna richiesta di pagamento, che i locatori, all’udienza del 20 giugno 2014, avevano messo a verbale di aver ricevuto il pagamento dei tre canoni insoluti, che, rispetto ai 119 canoni in precedenza corrisposti a fronte dei 9 canoni mensili residui prima della scadenza del contratto, il ritardato pagamento di tre mensilità non rivestiva i caratteri dell’inadempimento solutoriamente rilevante, che era stata prestata fideiussione per il pagamento di due mensilità, che i locatori avevano sempre tollerato qualche giorno di ritardo nella corresponsione dei canoni.

La Corte d’Appello di Genova, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, respingeva il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese di lite.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c. e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

L’errore attribuito alla Corte d’Appello è quello di non aver valutato i presupposti di carattere oggettivo e soggettivo che, ai sensi dell’art. 1455 c.c., giustificano la risoluzione del contratto per inadempimento, di aver dato rilievo ad una clausola risolutiva espressa non azionata in giudizio dai locatori, di aver escluso ogni rilievo all’impostazione del sistema automatico di home banking che, invece, era indice della volontà di far fronte regolarmente ai pagamenti del canone.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1375 c.c., in relazione all’art. 1455 c.c., e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

La Corte territoriale, violando il principio della buona fede oggettiva, avrebbe omesso di tener conto che, ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento, doveva considerarsi rilevante la prestazione della fideiussione che garantiva due delle tre mensilità relativamente alle quali si era registrato il ritardo e che i pagamenti precedenti, rispetto a cui si erano registrati ritardi, erano comunque garantiti dalla stessa fideiussione.

3. I motivi, data la loro evidente connessione, possono essere esaminati congiuntamente, giacchè la quaestio disputandi riguarda la ricorrenza di un fatto-inadempimento non quale che sia, ma quello solutoriamente rilevante, perchè avente i caratteri di cui all’art. 1455 c.c., cioè avente non scarsa importanza avuto riguardo per l’interesse della parte non inadempiente.

4. Giova ricordare innanzitutto perchè la fattispecie in oggetto debba essere regolata attraverso l’art. 1455 c.c.

la L. n. 392 del 1978, art. 41 non richiama l’art. 5 della medesima legge, la quale, derogando dall’art. 1455 c.c., introduce una presunzione assoluta dell’elemento oggettivo dell’inadempimento, sottratto alla valutazione discrezionale del giudice, fondata su due elementi, l’uno temporale – il protrarsi del ritardo nella corresponsione dei canoni per oltre venti giorni -l’altro quantitativo – il mancato pagamento di una rata di canone oppure di oneri accessori per un importo superiore a due mensilità -; le Sezioni unite di questa Corte hanno escluso la possibilità di un’applicazione estensiva dell’art. 5 (Cass. 28/12/1990, n. 12210) – conclusione confermata in tenlipiù recenti da Cass. 17/03/2006, n. 5902; Cass. 20/01/2017, n. 1428 -.

Dovendosi, dunque, escludere l’applicazione della disciplina della risoluzione del contratto di locazione di uso non abitativo, la vicenda per cui è causa deve essere risolta con l’applicazione dell’art. 1455 c.c., che rimette al giudice la valutazione della ricorrenza di un inadempimento che rilevi dal punto di visto solutorio.

La giurisprudenza di questa Corte non esclude, nondimeno, che, pur senza farne oggetto di applicazione diretta, il giudice possa trarre dalla L. n. 392 del 1978, art. 5 parametri che gli consentano di orientarsi nell’applicazione dell’art. 1455 l contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo (Cass. 04/02 2000, n. 1234).

Tanto premesso, è opportuno tener conto di due elementi: a) ai sensi dell’art. 1455 c.c., la gravità dell’inadempimento non deve rilevare di per sè ma solo in relazione all’interesse del contraente deluso; b) nel caso di specie, l’inadempimento si è concretizzato in un ritardo nell’adempimento dell’obbligazione principale, risultato non giustificabile.

Dell’art. 1455 c.c. la dottrina ha proposto un’ampia gamma di interpretazioni tanto inconciliabili da indurre a dubitare della possibilità di pervenire ad una univoca e sicura individuazione della sua ratio, con evidenti riflessi sulla sua applicazione in concreto.

Gli è stata, ad esempio, attribuita una ratio di proporzionalità, atta a prevenire comportamenti pretestuosi da parte del non inadempiente desideroso di sottrarsi al permanere del vincolo contrattuale; vi è stato colto un limite negativo all’esercizio della risoluzione per inadempimento; è stato inteso come prescrizione atta a comporre il conflitto tra l’interesse del debitore alla permanenza del vincolo e quello del creditore allo scioglimento dello stesso; ne è stato esaltato il carattere innovativo; se n’è auspicata un’applicazione restrittiva ed al contrario gli è stata assegnata la natura di clausola elastica e polivalente, attraverso cui si sviluppano logiche esterne rispetto a quelle dei privati, cioè solidaristiche, di diversa intensità della tutela del credito; non manca chi gli riconosce carattere cogente, ritenendovi integrato persino un principio d ordine pubblico che trova smentita, secondo altri, nella possibilità di subordinare la risoluzione per inadempimento alla previsione di una clausola risolutiva espressa.

Il terreno di confronto è dato dal singolare intreccio nella disposizione tra una valutazione che sembra possedere tutti i crismi dell’oggettività – la non scarsa importanza dell’inadempimento – ed un parametro certamente soggettivo – qual è l’interesse della parte non inadempientet nonchè dalla tendenza a ritenere conciliabili i due profili mercè il ricorso alla clausola di buona fede; tenendo conto, tuttavia, che la buona fede, se considerata quale canone di valutazione bilaterale e qualitativo, non può essere efficacemente utilizzata per determinare quale sia l’interesse di una sola delle due parti contraenti, vieppiù considerando che la gravità dell’inadempimento riposa su elementi quantitativi, ma solo per ricostruire ex post l’esatta portata del rapporto contrattuale cui commisurare l’inadempimento, soprattutto allorchè quest’ultimo si profili inizialmente come lieve per poi crescere di intensità, o nei casi più dubbi, in cui l’inadempimento si concretizzi non attraverso la mancata esecuzione della prestazione ma nel suo ritardo.

Va innanzitutto ribadito che nel caso di specie il fatto che il legislatore non abbia predeterminato ex lege i caratteri dell’inadempimento solutoriamente rilevante impone di tener conto che la gravità dell’inadempimento sotto il profilo oggettivo – per la cui determinazione il giudice può ben avvalersi orientativamente dei parametri valevoli per sciogliere il contratto di locazione ad uso abitativo: la tipizzazione normativa contribuisce a dare concretezza ed oggettività alla valutazione del giudice che, altrimenti, in un ambito nel quale il suo potere discrezionale appare singolarmente ampio e la dialettica tra regole e principi si rivela particolarmente complessa rischierebbe di restare pericolosamente priva di coordinamento con le direttive del sistema – non è sufficiente, occorrendo parametrare la gravità dell’inadempimento all’interesse del contraente deluso, il fatto che quest’ultimo abbia agito per chiedere la risoluzione del contratto per l’altrui inadempimento o l’aver diffidato l’inadempiente; diversamente si otterrebbe il risultato di rimettere la risoluzione alla scelta dell’adempiente (per Cass. 13/02/1990, n. 1046, “l’interesse dell’altro contraente (…) non deve essere tanto inteso in senso subiettivo, in relazione alla stima che il creditore avrebbe potuto fare del proprio interesse violato, quanto in senso obiettivo in relazione all’attitudine dell’inadempimento a turbare l’equilibrio contrattuale ed a reagire sulla causa del contratto e sul comune interesse negoziale”; nello stesso senso cfr. Cass. 08/08/2019, n. 21209): adempiente – si badi – che, ove volesse tutelarsi nei confronti dell’inadempimento di una particolare prestazione o di una particolare modalità di attuazione della prestazione, anche di carattere temporale, potrebbe prevedere una clausola risolutiva espressa o avvalersi del termine essenziale.

Occorre invece misurare, tenendo conto delle circostanze, della natura del contratto, della qualità dei contraenti, se la violazione del contratto realizzatasi confermi il carattere di gravità dell’inadempimento eventualmente risultato già tale secondo parametri oggettivi, tanto da poter ritenere che sia venuta meno la causa concreta delle attribuzioni patrimoniali, cioè la giustificazione del reciproco spostamento patrimoniale.

Il punto di rottura del rapporto che giustifica la cancellazione del vincolo è dato dall’incrocio tra il grave inadempimento e l’intollerabile prosecuzione del rapporto da parte dell’inadempiente.

La prima misurazione è affidata a parametri oggettivi, sulla scorta dei quali, secondo comune apprezzamento ed in relazione alle circostanze, deve accertarsi l’apprezzabilità in concreto del peso dell’inadempimento nell’economia del rapporto e commisurarsi il risultato di tale primo accertamento all’interesse del creditore deluso, considerato non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo per la natura del contratto, per la qualità dei contraenti e per ogni altra circostanza rilevante: ad esempio, il piano dei rischi e dei benefici espressi nel contratto, gli adempimenti irrinunciabili ed essenziali, le rinunce e le attese tollerabili pur di conservare il contratto (con precipuo riferimento al ritardo, si ritiene che il giudice debba valutare il tempo trascorso, l’entità della somma da pagare in base all’importo già versato e ogni altra circostanza utile ai fini della considerazione dell’interesse dell’altra parte, quale, esemplificativamente, il tipo di impiego di quanto dedotto in prestazione, sì da giustificare l’esigenza, per il non inadempiente, di un adempimento rigorosamente tempestivo).

Passando all’applicazione di questi principi di riferimento al caso concreto, giova rilevare anche che:

– la intimazione in mora, cioè la richiesta con i caratteri di cui all’art. 1219 c.c., dell’adempimento1 non è affatto elemento costitutivo della domanda di risoluzione. Perciò l’insistenza della società conduttrice sul fatto che prima della intimazione di sfratto parte locatrice non avesse chiesto nè sollecitato l’adempimento non le giova affatto; e quanto all’effetto sorpresa provocato nella conduttrice dall’iniziativa processuale degli odierni resistenti, fondata sulla precedente loro inerzia rispetto ai pur reiterati ritardi, va ribadito l’orientamento di questa Corte – di cui la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione – secondo cui tale inerzia non può essere interpretata alla stregua di un comportamento tollerante di accondiscendenza ad una modifica contrattuale relativamente al termine di adempimento, non potendo un comportamento di significato così equivoco, quale quello di non aver preteso in precedenza l’osservanza dell’obbligo stesso, indurre il conduttore a ritenere di poter adempiere secondo la propria disponibilità (cfr. Cass. 18/03/2003, n. 3964, secondo cui tale comportamento può essere ispirato da benevolenza piuttosto che essere determinato dalla volontà di modificazione del patto; nello stesso senso già Cass. 20/01/1994, n. 466; Cass. 15/12/1981, n. 6635);

– per quanto non azionata, la società locatrice riconosce che era stata pattuita una clausola espressa, con cui evidentemente era stato dato rilievo alla particolare importanza nell’economia dell’affare al pagamento puntuale dei canoni mensili.

La conduttrice, insomma, aveva tutta la possibilità di rappresentarsi la gravità del proprio inadempimento, sì che non poteva dirsi sorpresa della richiesta altrui, nè poteva legittimamente ritenere che il comportamento asseritamente tollerante, proprio perchè neutro, avesse ingenerato il ragionevole affidamento in merito alla rinunzia alla pretesa di un adempimento puntuale, sì da considerare con esso incompatibile, e quindi contraria a buona fede, la richiesta di risoluzione del contratto (cfr., di recente, Cass. 13/07/2018, n. 18535, riguardo all’eccezione di sospensione dell’assicurazione ex art. 1901 c.c.).

E’ vero che i locatori non si erano avvalsi della clausola risolutiva espressa; tuttavia, proprio la sua apposizione nel contratto assume rilievo nel caso di specie per dimostrare come il ripetuto ritardo della conduttrice, considerata invece l’importanza attribuita alla tempestività dell’adempimento implicata dalla clausola risolutiva, avesse prodotto un’incidenza sull’equilibrio sinallagmatico del rapporto tale da alterare, in maniera determinante, il regolamento di interessi oggetto della fattispecie negoziale e da escludere che l’inadempimento potesse essere qualificato di scarsa importanza, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455 c.c.

Messa in chiaro tale premessa, deve escludersi che la Corte territoriale sia incorsa in alcuna delle violazioni che le sono state imputate:

– ha tenuto conto del principio dell’attualità dell’inadempimento;

– ha fatto corretta applicazione, anche sotto il profilo della distribuzione dell’onere della prova, dell’indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’accertamento dei presupposti oggettivi dell’inadempimento non è sufficiente per pronunciare la risoluzione del contratto, ove l’inadempimento sia non imputabile, cioè difetti dell’elemento soggettivo; tant’è che ha tenuto conto, sia pure al fine di escluderne la valenza in senso positivo, dell’asserito errore in cui sarebbe incorso il dipendente della società conduttrice incaricato di gestire il soddisfacimento dell’obbligo del pagamento del canone attraverso il sistema di home banking. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’inadempimento si presume colpevole fino a prova contraria, perciò tale presunzione cade solo in presenza di risultanze, positivamente apprezzabili, dedotte dal conduttore, le quali dimostrino che egli, nonostante l’uso dell’ordinaria diligenza, non sia stato in grado di eseguire la propria prestazione (Cass. 17/11/1999, n. 12760): l’assenza di colpa costituisce prova del fatto impeditivo, il cui onere, ai sensi dell’art. 2697 c.c., ricade sul conduttore. La condotta tenuta dalla conduttrice non è stata considerata diligente, per ragioni logiche e ben evidenziate, che hanno sorretto la conclusione;

– ha attribuito rilievo alla clausola risolutiva espressa, non per accertare i caratteri dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c., come censurato dal ricorrente, ma per escludere che rinunciare ad avvalersene implicasse per i locatori l’obbligo di attivarsi in occasione di ogni singolo adempimento, al fine di non ingenerare il legittimo affidamento circa la ricorrenza di una tolleranza abituale (Cass. 06/06/2018, n. 14508; Cass. 09/02/1998, n. 1316; Cass. 08/01/1991, n. 90);

– ha valutato anche l’intervenuto pagamento del canone, tenendo conto, però, che1in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, non trova applicazione nei contratti di durata la regola, secondo cui la proposizione della domanda di risoluzione comporta la cristallizzazione delle posizioni delle parti contraenti fino alla pronuncia giudiziale definitiva; nel senso che, come è vietato al convenuto di eseguire la prestazione, così non è consentito all’attore di pretenderla, atteso che nel contratto di locazione, invece, trova applicazione la regola secondo cui il conduttore può adempiere anche dopo la proposizione della domanda, ma l’adempimento non vale a sanare o a diminuire le conseguenze dell’inadempimento precedente e rileva soltanto ai fini della valutazione della relativa gravità (Cass. 14/11/2006, n. 24207);

– ha fatto corretta applicazione dell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui in tema di contratto di locazione, ai fini dell’emissione della richiesta pronunzia costitutiva di risoluzione del contratto per morosità del conduttore, il giudice deve valutare la gravità dell’inadempimento di quest’ultimo anche alla stregua del suo comportamento successivo alla proposizione della domanda, giacchè in tal caso, come in tutti quelli di contratto di durata in cui la parte che abbia domandato la risoluzione non è posta in condizione di sospendere a sua volta l’adempimento della propria obbligazione, non è neppure ipotizzabile, diversamente dalle ipotesi ricadenti nell’ambito di applicazione della regola generale di cui all’art. 1453 c.c. (a mente della quale la proposizione della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento comporta la cristallizzazione, fino alla pronunzia giudiziale definitiva, delle posizioni delle parti contraenti, nel senso che è vietato al convenuto di eseguire la sua prestazione e non è consentito all’attore di pretenderla), il venir meno dell’interesse del locatore all’adempimento da parte del conduttore inadempiente, il quale, senza che il locatore possa impedirlo, continua nel godimento della cosa locata consegnatagli dal locatore ed è tenuto, ai sensi dell’art. 1591 c.c., a corrispondere il corrispettivo convenuto (salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno) fino alla riconsegna. Ebbene, data la persistenza dell’inadempimento della società conduttrice dell’obbligo di pagare il canone mensile entro il termine pattuito e, alla luce della riconosciuta importanza di un adempimento puntuale nell’economia dell’affare, il giudice ha reputato, con una motivazione che non presta il fianco a critiche, che fosse fondata la domanda di risoluzione del contratto.

Quanto alla stipulazione della polizza fideiussoria a garanzia dell’adempimento degli obblighi derivanti dal contratto che, secondo i ricorrenti) avrebbe dovuto escludere la ricorrenza di un inadempimento solutoriamente rilevante, va considerato che tale polizza ha una propria individualità giuridica, cioè un oggetto e un titolo del tutto distinti dalla obbligazione principale (Cass. 24/09/2019, n. 23625), e che, soprattutto, essa non era tale da far venire meno la sfiducia nel comportamento del locatore inveratasi con l’assunzione di un comportamento reiteratamente moroso.

5. In conclusione, il ricorso non merita accoglimento.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

7. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico della società ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019

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