Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30724 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. II, 27/11/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 27/11/2018), n.30724

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25294/2016 proposto da:

D.T.M.V., RIALTI SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

CAROLEO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERO

CESARE IAMETTI;

– ricorrenti –

contro

ENTE PARCO LOMBARDO DELLA VALLE DEL TICINO, in persona del suo

Presidente, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL VIMINALE 43,

presso lo studio dell’avvocato FABIO LORENZONI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ALDO TRAVI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1504/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/09/2018 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 – La Rialti srl e il suo legale rappresentante D.T.M.V. ricorrono per cassazione contro la sentenza 18.4.2015, con cui la Corte d’Appello di Milano ha rigettato il gravame da essi proposto contro la decisione di primo grado (Tribunale di Busto Arsizio – sez. dist. Gallarate) che aveva a sua volta respinto l’opposizione avverso il provvedimento irrogativo della sanzione accessoria del ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad una violazione in materia ambientale (sradicamento di un’area boschiva in zona vincolata), per la quale già era stata applicata la sanzione pecuniaria principale.

Per giungere a tale conclusione la Corte milanese ha rilevato, per quanto ancora interessa:

– che l’illecito taglio del bosco non poteva più essere messo in discussione per effetto del giudicato formatosi sulla sentenza di rigetto dell’opposizione avverso l’accertamento principale sulla violazione della disciplina paesaggistica;

– che l’eccezione di prescrizione era infondata perchè il dies a quo coincide col momento di cessazione della condotta (cioè ripristino dell’area), trattandosi di illecito permanente.

Il Parco Lombardo della Valle del Ticino resiste con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Con un primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione e la falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 28,rimproverando alla Corte di appello di avere ravvisato nella violazione contestata la natura di illecito permanente, discostandosi così dal principio generale, operante in materia penalistica soprattutto in campo di illeciti edilizi, della decorrenza del termine di prescrizione dalla cessazione della attività. Richiamano la L. n. 689 del 1981, art. 28, che prevede espressamente la decorrenza del termine prescrizionale dalla commissione della violazione e segnalano eventuali profili di incostituzionalità in caso di diversa interpretazione, che finirebbe per lasciare alla pubblica amministrazione l’arbitrio nell’esercizio della azione punitiva in campo amministrativo.

Il motivo è infondato.

Dalla sentenza impugnata risulta che alla società Rialti, operante nel settore dell’industria chimica, venne contestata una violazione ambientale, per avere realizzato nel territorio di (OMISSIS) ed in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, una serie di interventi di ampliamento dell’insediamento produttivo che avevano comportato, tra l’altro, lo sradicamento di una porzione di area boschiva.

Per quanto ancora interessa, in relazione al taglio e al mutamento della destinazione dell’area boschiva, venne applicata, oltre alla sanzione principale (oggetto di altro giudizio), anche quella accessoria del ripristino dello stato dei luoghi, giusta la previsione della normativa regionale (v. L.R. Lombardia 30 novembre 1983, n. 86, in tema di violazioni che comportino danno ambientale con possibilità di ripristino).

Ebbene, la giurisprudenza di questa Corte, in tema di illeciti amministrativi comportanti alterazioni ambientali è costante nel ritenere che la permanenza è destinata a durare fino a quando non venga eliminata nella sua materialità od antigiuridicità, sicchè l’attività illecita integra un illecito amministrativo non istantaneo, ma permanente (v. tra le varie Sez. 6-2, Ordinanza n. 5727 del 23/03/2015 Rv. 634709; Sez. 2, Sentenza n. 16666 del 27/07/2007 Rv. 600293; Sez. 1, Sentenza n. 21190 del 29/09/2006 Rv. 592857).

Questo principio, affermato con le citate pronunce per le violazioni in materia di estrazioni da cava, è logicamente applicabile anche alla fattispecie in esame (in cui, come già detto, si discute di sradicamento di porzioni di area boschiva in zone soggette a vincolo paesaggistico), perchè è indiscutibile che entrambe le violazioni hanno in comune il profilo dell’alterazione ambientale.

Si rivela pertanto giuridicamente corretta la sentenza impugnata sulla qualificazione della natura permanente della violazione e sulla decorrenza del termine di prescrizione dalla cessazione degli effetti permanenti dannosi.

Inconferente è poi il richiamo, fatto dai ricorrenti, alla L. n. 689 del 1981, art. 28, perchè, come da tempo chiarito in giurisprudenza, la prescrizione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 28, opera con riguardo sia alla violazione, sia alla relativa sanzione pecuniaria, ed il relativo termine quinquennale, decorrendo dalla data in cui la violazione stessa è stata compiuta, decorre, ove questa abbia carattere permanente, dalla data di cessazione della permanenza (v. Sez. 1, Sentenza n. 14633 del 21/11/2001 Rv. 550426).

2 Con un secondo motivo si lamenta falsa applicazione di norme di legge e si ribadisce l’insussistenza della preclusione di giudicato ex art. 2909 c.c.. Ad avviso dei ricorrenti, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, con la sentenza 415/2006 non si era formato nessun giudicato sul contenuto e sulla misura dell’ordine di ripristino di cui oggi si discute ed è evidente che l’entità dell’eventuale disboscamento incide irrimediabilmente sul contenuto dell’ordine di ripristino.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità (art. 366 c.p.c., n. 6).

Come costantemente affermato da questa Corte, infatti, l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di Cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Sez. L, Sentenza n. 5508 del 08/03/2018 Rv. 647532; Sez. 2 – Sentenza n. 15737 del 23/06/2017 Rv. 644674; Sez. 5, Sentenza n. 2617 del 11/02/2015 Rv. 634157; Sez. L, Sentenza n. 26627 del 13/12/2006 Rv. 593799; Sez. 3, Sentenza n. 6184 del 2009; Cass. sez. un. n. 1416 del 2004).

Nel caso in esame, i ricorrenti si limitano a disquisire sulla portata di un giudicato senza curarsi di trascriverne preliminarmente il contenuto e senza neppure fornire notizie sul reperimento del provvedimento agli atti del processo, impedendo in tal modo alla Corte di Cassazione di svolgere il suo ruolo istituzionale.

3 Le esposte considerazioni rendono logicamente priva di consistenza la terza censura con cui i ricorrenti, denunziando ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del procedimento per violazione dell’art. 356 c.p.c., si dolgono proprio del fatto che i giudici di merito sulla base di una erronea sussistenza del giudicato, abbiano respinto le loro istanze istruttorie reputandole irrilevanti, risolvendosi la deduzione in una sterile affermazione di principio.

In conclusione, non resta che respingere il ricorso con addebito di ulteriori spese ai ricorrenti.

Trattandosi di ricorso successivo al 30 gennaio 2013 e deciso sfavorevolmente, ricorrono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 700,00 di cui Euro. 200,00 per esborsi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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