Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30715 del 25/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 25/11/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 25/11/2019), n.30715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2974-2017 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore

speciale della Società di Cartolarizzazione dei Crediti Inps (SCCI

SPA), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,

presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso

dagli avvocati ESTER ADA VITA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO, LELIO

MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, ANTONINO SGROI;

– ricorrente –

contro

V.B.J., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LUNGOTEVERE MICHELANGELO, 9, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO

BATTIATI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANDREA CANNARSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 57/2016 della CORTE D’APPELLO di TRENTO

SEZIONE DISTACCATA di BOLZANO, depositata il 14/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DORONZO

ADRIANA.

Fatto

RILEVATO

che:

V.B.J., socia accomandataria della Olhaus s.a.s., propose opposizione contro l’avviso di addebito avente ad oggetto il pagamento di contributi da versare alla gestione commercianti dell’Inps per il periodo 7/2008 – 8/2014;

il Tribunale di Bolzano accolse l’opposizione e annullò gli avvisi di addebito, ritenendo che la mera attività di locazione a terzi di immobili svolta dalla società non potesse essere considerata attività commerciale, sicchè difettava il presupposto per l’iscrizione nella relativa gestione;

su appello dell’Inps, la corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza pubblicata il 14/11/2016, ha rigettato l’impugnazione;

contro la sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione; la parte intimata resiste con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il ricorso in esame l’Inps deduce la violazione e la falsa applicazione della L. 22 luglio 1966, n. 613, art. 1; della L. 27 novembre 1960, n. 1397, art. 1, come modificato dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 203 e ss., della L. n. 1397 del 1960, art. 2 e degli artt. 2313,2318 e 2697 c.c., nonchè la violazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 202, e della L. n. 89 del 1988, art. 49, comma 1, lett. D), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

2. il ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, perchè la Corte d’appello ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e il ricorso non offre elementi per mutarne l’orientamento (v. su fattispecie analoghe, Cass. 6/9/2016, n. 17643, 25/8/2016, n. 17328; Cass., ord. 14/2/2017, n. 3931; Cass. 27/11/2017, n. 28279);

3. presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti è – per il disposto dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203 – che sia provato lo svolgimento di un’attività commerciale che, nella specie, risulta essere stato escluso con un accertamento in fatto da parte della Corte di appello supportato da una motivazione adeguata ed immune dai denunciati vizi;

la Corte ha accertato che l’unica attività compiuta dalla società di cui l’odierna controricorrente è socia accomandataria è quella volta alla riscossione dei canoni relativi alle locazioni degli immobili di proprietà, a nulla rilevando l’oggetto sociale e il potenziale svolgimento di attività diretta alla commercializzazione di beni immobili;

la decisione della Corte è il linea con il principio già espresso da questo giudice di legittimità secondo cui la società di persone che svolga una attività destinata alla locazione di immobili di sua proprietà ed a percepire i relativi canoni di locazione non svolge un’attività commerciale ai fini previdenziali a meno che detta attività non si inserisca in una più ampia, di prestazione di servizi, quale l’attività di intermediazione immobiliare (Cass.11/2/2013, n. 3145, e ribadito di recente in Cass. 6/9/2016, n. 17643;);

non rileva di per sè il contenuto dell’oggetto sociale, ma si deve considerare lo svolgimento in concreto di un’attività commerciale (Cass. n. 25017/2016), sicchè diviene irrilevante la circostanza che ad esercitare l’attività di godimento del bene sia una società commerciale (Cass. n. 3145/2013), salvo che si dia prova che tale attività non rientri in quella di intermediazione immobiliare (Cass. n. 845/2010), così come non rileva che la parte ricorrente sia l’unico socio accomandatario, nè che lo stesso non abbia dedotto di svolgere altra attività lavorativa indicando chi, al suo posto, abbia svolto attività di gestione della società;

l’eventuale impiego dello schema societario per attività di mero godimento, in implicito contrasto con il disposto dell’art. 2248 c.c., non può trovare una sanzione indiretta nel riconoscimento di un obbligo contributivo di cui difettino i presupposti propri, per come sopra ricostruiti;

l’accertamento della sussistenza (o meno) dei requisiti necessari per l’iscrizione è stato compiuto dalla Corte territoriale, che, in coerenza con i principi regolatori della materia, ha espresso il suo convincimento con motivazione adeguata ed immune da vizi;

dall’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo in ragione del valore della controversia;

sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Inps al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali e Euro. 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15 % e altri accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2019

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