Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30714 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2011, (ud. 11/10/2011, dep. 30/12/2011), n.30714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19452-2007 proposto da:

ASER SRL in persona dell’Amministratore Delegato, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA CICERONE 28, presso lo studio dell’avvocato

DI BENEDETTO PIETRO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

TNT TECNOLOGISTICA SPA in persona del Direttore Generale pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE CARSO 34, presso lo studio

dell’avvocato BARTOLI SALVATORE, rappresentato e difeso dall’avvocato

COLOMBO MARINA, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 35/2007 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 02/04/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2011 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito per il ricorrente l’Avvocato DI BENEDETTO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato BARTOLI, delega Avvocato COLOMBO,

che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

POLICASTRO Aldo, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo,

rigetto del secondo motivo del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La CTR del Lazio, con sentenza n. 35/28/07, depositata il 2.4.07, confermando la decisione della CTP di Roma, ha accolto il ricorso proposto dalla S.p.A. TNT Logistic Italia, avverso gli avvisi di liquidazione relativi alla TARSU per gli anni 2001 e 2002, sul rilievo che alcune superfici non erano imponibili, in quanto producevano rifiuti speciali non pericolosi, smaltiti da una società esterna autorizzata; circostanza denunciata al Comune di Pomezia, che non aveva obiettato alcunchè, nè aveva svolto il servizio.

Per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Società A.Ser. S.r.l., gestore delle entrate tributarie e patrimoniali comunali, al quale resiste la contribuente con controricorso. Il Comune di Pomezia si è costituito con memoria, con cui, deducendo l’intervenuta revoca del provvedimento di concessione del servizio, ha fatto proprio il contenuto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va, preliminarmente, rilevato che, come si desume dall’intestazione dell’impugnata sentenza, il giudizio d’appello si è svolto tra il Comune di Pomezia, la contribuente e la concessionaria A.SER, rispettivamente, appellante, appellata e terzo chiamato. Il ricorso per cassazione della Società concessionaria, proposto nei confronti della sola contribuente avrebbe, quindi, dovuto esser notificato anche al Comune, parte del giudizio d’appello ed effettivo titolare del diritto controverso, ed a tale mancanza avrebbe dovuto sopperirsi mediante ordine d’integrazione del contraddittorio, la cui emissione non è, però, necessaria, in quanto il Comune è, già, costituito in giudizio.

Con il primo motivo, la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., lamenta che la CTR non ha pronunciato sullo specifico motivo d’appello, da lei proposto, con cui aveva denunciato, per violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 1, l’errore che i giudici di primo grado avevano commesso nell’imputarle la mancata emissione degli avvisi di accertamento in rettifica, distinti per ciascuna annualità; atti che, invece, non erano necessari, dato che erano stati, correttamente, emessi gli avvisi di liquidazione dell’imposta, per l’anno 2001, a seguito dell’omesso versamento, e, per l’anno 2002, del parziale ed insufficiente pagamento della tassa da parte della contribuente, e non già per contestarle l’omessa, infedele o incompleta dichiarazione TARSU. A conclusione del motivo, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “Dica il Supremo Collegio adito se il principio enunciato dall’art. 112 c.p.c., trovi applicazione anche nel processo tributario ed in caso di risposta positiva, se l’omessa pronuncia su uno degli specifici motivi di impugnazione proposti comporti la nullità della sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale in concreto adita”. Il motivo è inammissibile per un duplice ordine di argomentazioni. Anzitutto, va rilevato che la sentenza impugnata non tratta della questione oggetto del motivo, e, di conseguenza, la ricorrente, onde evitare una declaratoria d’inammissibilità della questione stessa per la sua novità, avrebbe dovuto dimostrare di averla sollevata a tempo debito, ed, a tal fine, avrebbe dovuto riportare, trascrivendole,puntualmente, in seno al ricorso per cassazione, le parti rilevanti degli atti processuali in cui la questione era stata dedotta. La ricorrente si limita, invece, a riassumere la censura da lei proposta, asseritamente formulata dell’atto d’appello, senza tuttavia riprodurne il contenuto. Nè tale carenza può esser supplita dal potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali, riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo”, avendo questa Corte più volte affermato (tra le tante, Cass. n. 6361 del 2007; 21226 del 2010) che, non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il ricorrente è pur sempre tenuto all’osservanza del principio di autosufficienza del ricorso e resta, dunque, onerato di indicare compiutamente gli atti della fase di merito inerenti la questione, non potendo la Corte procedere ad una loro autonoma ricerca ma, solo, alla relativa verifica.

L’inammissibilità del motivo consegue, inoltre, all’inidoneità del quesito di diritto, a conclusione dello stesso, tenuto conto che il quesito non enuncia il motivo di impugnazione che non è stato valutato, e che il vìzio di omessa pronunzia da luogo a nullità della sentenza, solo, quando attiene al mancato esame delle domande di merito, mentre non assurge a causa autonoma di nullità in relazione all’omesso esame di questioni processuali (potendo, in tal caso, verifìcarsi la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione, implicitamente, data dal giudice alla specifica questione, cfr. Cass. n. 4513 del 2009). Per l’assenza dei dati rilevanti nel caso di specie, il quesito risulta, dunque, incomprensibile, ad una lettura autonoma dalla precedente esposizione del motivo. La giurisprudenza di questa Corte ha, in proposito, affermato che in un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo, con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., consiste, proprio, nell’imposizione al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della censura, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (v. tra le altre, Cass. N. 20409/ 2008 n. 2799/2011).

Col secondo motivo, si deduce “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, commi 1 e 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del Regolamento comunale TARSU, violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di onere della prova. Illogicità e irrazionalità manifesta”. I giudici d’appello, afferma la ricorrente, hanno ritenuto che la denuncia di superfici asseritamente produttive di rifiuti speciali era di per sè sufficiente ad escludere le relative aree dal calcolo delle superfici assoggettate alla TARSU, senza verificare se le circostanze dedotte dalla contribuente fossero o meno provate; in tal modo, la CTR ha violato il principio secondo cui le esenzioni, anche parziali, dalla tassa, dipendenti dall’utilizzazione di locali per lavorazioni industriali, si pongono come eccezioni alla regola generale di sottoposizione a tributo delle superfici stesse, e pertanto, l’onere di provare la ricorrenza delle condizioni che giustificano l’esenzione è a carico dell’interessato. La ricorrente formula, in conclusione, il seguente quesito: “Dica il Supremo Collegio adito se la TARSU trovi applicazione alle aree che, se pur funzionalmente e strutturalmente collegate ai locali di lavorazione industriale e commerciale, siano destinate a deposito o magazzino”. Anche questa doglianza è inammissibile: essa, infatti, non è pertinente con la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che non ha, affatto, posto a carico dell’ente impositore l’onere della prova dell’esenzione, ma ne ha affermato la sussistenza, ritenendo provato che le aree indicate nella denuncia della contribuente producevano rifiuti speciali non pericolosi, per la cui raccolta e smaltimento la stessa aveva stipulato contratti con società a ciò autorizzate ed aveva sopportato il relativo costo. Tale accertamento non risulta, poi, censurato sotto il profilo del vizio della motivazione – l’unico deducibile in cassazione in riferimento alla valutazione del materiale probatorio ed al connesso controllo sulla relativa attendibilità e concludenza, dato che l’accertamento dei fatti di causa è rimesso al giudice del merito, salvo, appunto, il controllo “ab extrinseco” della motivazione demandato alla Cassazione (cfr.

Cass. n. 14972 del 2006)- non potendo valere, a tal fine, il mero, e reiterato, addebito di apoditticità, con cui la ricorrente tende, inammissibilmente, a sollecitare un completo riesame del merito della vicenda processuale. A tanto, va, peraltro, aggiunto che non risulta formulato alcun momento di sintesi e che il quesito di diritto a conclusione del motivo, in sè assolutamente generico, in quanto non specifica il tipo di rifiuto prodotto, non è correlato con la “ratio decidendi” della sentenza (che non si è riferita a locali o ad aree destinati a deposito o a magazzino) ed è, perciò, del tutto inidoneo ad esprimere la rilevanza del motivo ai fini della decisione, con ulteriore profilo d’inammissibilità del motivo stesso, ex art. 366 bis c.p.c. (v. tra molte altre, Cass. n. 7197 del 2009, nonchè SU n. 7257 del 2007 e SU n. 7433 del 2009).

Il ricorso va, in conclusione, rigettato. La ricorrente ed il Comune, che ha fatto proprio il ricorso vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, liquidate in Euro 5.000,00, di cui Euro 200,00 di spese, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente ed il Comune di Pomezia, in solido, al pagamento delle spese processuali, liquidate in _ 5000,00, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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