Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30714 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. II, 27/11/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 27/11/2018), n.30714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 873/2015 proposto da:

K.I., elettivamente domiciliato in Roma, Via Galla e Sidama

49, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Tribulato,

rappresentato e difeso dall’avvocato Antonino Tribulato;

– ricorrente –

contro

M.T.L.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1771/2013 della Corte d’appello di Catania,

depositata il 14/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/09/2018 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dalla domanda di restituzione di uno stacco di terreno sito in (OMISSIS), proposta da M.T.L. e fondata sul presupposto costituito dall’intervenuto rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare stipulato con il promissario acquirente P.A. il quale, per effetto della pronuncia non aveva più alcun titolo per mantenere la detenzione dell’immobile;

– l’adito Tribunale di Siracusa, sezione distaccata di Augusta, rigettava tuttavia la domanda principale della M. nonchè quella riconvenzionale di usucapione proposta dal P.; dichiarava inoltre il difetto di legittimazione passiva di D.G.M. chiamata in causa dal P. in quanto asserita proprietaria nonchè l’inammissibilità della domanda di acquisto della proprietà dell’immobile per usucapione dell’interveniente volontaria K.I. moglie del P.;

– a seguito di appello principale proposto dalla M. e di quelli incidentali del P., K. e D.G., la Corte d’appello di Catania con sentenza non definitiva n. 1771 depositata il 14/10/2013, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava la nullità del contratto preliminare stipulato tra l’appellante M. e l’appellato P. con condanna di quest’ultimo al rilascio del terreno e, per quanto qui di interesse, pur ritenendola ammissibile, rigettava la domanda di usucapione riproposta con l’appello incidentale dalla K.;

– la cassazione della sentenza di secondo grado è chiesta dalla odierna ricorrente K. con ricorso tempestivamente notificato il 28/11/2014 sulla base di 10 motivi;

– non si sono costituiti gli intimati M., D.G. e P.; considerato che

– con il primo motivo la ricorrente deduce l’erroneità della decisione della Corte d’appello laddove ha dato per pacifico il fatto storico che il marito P. avesse ricevuto la disponibilità del bene in virtù del contratto preliminare stipulato con la M. il 3 agosto 1983;

– con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1418 e 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove la sentenza gravata aveva interpretato il contratto preliminare intervenuto fra la M. ed il P. quale causa del trasferimento del godimento dell’immobile e pertanto fonte della detenzione, con ulteriore conseguenza che la ricorrente quale moglie del promissario acquirente, non aveva il possesso dell’immobile per il quale aveva chiesto l’accertamento dell’intervenuto usucapione; inoltre, la ricorrente censura l’applicazione dei principi formulati dalla giurisprudenza in tema di nullità del contratto, ritenendo che, essendo venuto meno il contratto preliminare di compravendita, ne sarebbe derivata l’impossibilità di qualificare detentore il promissario acquirente;

– con il terzo motivo la ricorrente deduce l’omesso esame del fatto decisivo costituito dalla identificazione del bene oggetto del contratto preliminare e coincidente con il terreno e non con il fabbricato asseritamente usucapito dalla ricorrente;

– con il quarto motivo la ricorrente ripropone la censura riguardante la violazione delle norme sull’interpretazione letterale del contratto con riguardo alla clausola ivi contenuta secondo la quale “rimane escluso dalla presente promessa in vendita ogni diritto sui fabbricati esistenti nel fondo”;

– i motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè riguardano tutti la ricostruzione della vicenda negoziale rispetto alla quale la terza intervenuta non ha un interesse giuridicamente rilevante, avendo la stessa posto a fondamento dell’atto di intervento il possesso ultraventennale del terreno oggetto di causa sul quale asseriva di avere ristrutturato una casa, chiedendone l’accertamento dell’usucapione della proprietà sul presupposto di una situazione di fatto indipendente dal contratto preliminare;

– i motivi in esame sono, quindi, infondati;

– con il quinto motivo la ricorrente censura la sentenza per omesso esame del fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avente ad oggetto l’epoca in cui la ricorrente si sarebbe messa nel possesso dell’immobile che riteneva di aver usucapito e avente ad ulteriore oggetto i lavori eseguiti sul fabbricato e rilevanti ai fini della prova del suo possesso; in particolare, si contesta la conclusione del giudice di secondo grado che, all’esito dell’istruttoria testimoniale, aveva qualificato come generiche le circostanze relative all’attività di fatto esercitata dalla ricorrente sui beni immobili in questione oltre che irrilevanti ai fini della prova della necessaria interversione del possesso;

– il motivo è inammissibile poichè, seppure formulato richiamando i confini del controllo motivazionale ammesso a seguito della riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta con la L. n. 134 del 2012, appare, in realtà, diretto a contestare la valutazione delle risultanze probatorie, le quali come chiarito da questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un. 8053/2014);

– non configurano “fatti” il cui omesso esame possa rilevare nell’ambito dell’art. 360, n. 5, se, come risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, sono stati comunque considerati; in tal caso, infatti, la censura finisce per avere ad oggetto il merito della valutazione ed è perciò inammissibile in questa fase del giudizio;

– con il sesto motivo si censura la sentenza ritenendola nulla perchè redatta con motivazione apparente nonchè per violazione dell’art. 115 c.p.c., commi 1 e 2, non avendo posto a fondamento le prove acquisite del processo nonchè le nozioni di fatto che rientrano della comune esperienza;

– con il settimo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione falsa applicazione degli artt. 2697, 1141, 1158 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove non ha riconosciuto la presunzione del possesso in capo alla K. giacchè il fabbricato dalla stessa asseritamente usucapito non era, diversamente dal terreno, oggetto del contratto;

– con l’ottavo motivo la ricorrente censura la sentenza gravata laddove per violazione e falsa applicazione degli artt. 1150e 936 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non averle riconosciuto il diritto ai miglioramenti apportati al bene della M. quale possessore ovvero quale terzo che aveva eseguito la costruzione oggetto della negata usucapione;

– con il nono motivo la ricorrente censura per omesso esame ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, del fatto che la ricorrente fosse da considerare terza ai fini dell’applicazione 936 con conseguente nullità della sentenza;

– i motivi sesto, settimo, ottavo e nono possono essere esaminati congiuntamente perchè attengono a profili connessi della decisione ed appaiono tutti inammissibili;

– le censure in esame, infatti, non contestano le regole di principio richiamate dalla Corte d’appello per giungere al rigetto dell’appello incidentale proposto dalla K. ed incentrate sul costante orientamento che assimila gli atti di godimento dei familiari conviventi a quelli del detentore qualificato di un bene immobile, come in tal caso il terreno con l’accessorio fabbricato, salva la prova di un titolo incompatibile con il diritto del detentore ed idoneo a configurare un possesso ad usucapionem (Cass. 5545/1999) ovvero la prova di un interversione del possesso (cfr. Cass. 11374/2010; id. 12089/2018);

– la sentenza gravata ha, invero, proceduto, sulla scorta delle prove allegate dall’appellante incidentale, alla verifica della sussistenza di entrambi i suddetti requisiti, ma le ha motivatamente ritenute irrilevanti;

– con il decimo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., n. 3 e art. 164 c.p.c., comma 4, eccependo la nullità dell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio per assoluta incertezza dell’oggetto della domanda, con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4;

– il motivo è inammissibile in quanto mai proposto in precedenza dalla odierna ricorrente;

– atteso l’esito di tutti i motivi il ricorso va rigettato e, stante la mancata costituzione degli intimati, nulla va disposto sulle spese;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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