Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30714 del 25/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 25/11/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 25/11/2019), n.30714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1785-2017 proposto da:

S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO RIMATO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLA CONCETTA MUCEDOLA;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore

speciale della Società di Cartolarizzazione dei Crediti Inps (SCCI

SPA), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,

presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso

dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI,

EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA VITA SCIPLINO, GIUSEPPE MATANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 671/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DORONZO

ADRIANA.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza pubblicata in data 14/7/2016, la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da S.R. contro la sentenza del Tribunale di Milano che aveva respinto l’opposizione di questo contro l’avviso di addebito per la riscossione di contributi dovuti alla Gestione commercianti per il periodo 1/1/200530/9/2005, in qualità di socio accomandatario della Garamond s.a.s. di R.S. e C.;

la Corte, confermando il giudizio già espresso dal Tribunale, ha ritenuto provato lo svolgimento, da parte della società, di attività commerciale, e in particolare la prestazione di servizi nel campo della pubblicità, delle relazioni pubbliche, promozionali, di comunicazione e sponsorizzazione, e lo svolgimento, da parte del S. quale socio accomandatario, di attività di lavoro personale, abituale e prevalente;

ha ritenuto pertanto sussistenti i presupposti per la classificazione della società nel settore terziario ai sensi della L. n. 88 del 1989, art. 49, comma 1, lett. d), stante il carattere prevalente dell’attività commerciale di progettazione per la realizzazione di prodotti editoriali e non invece dell’attività di tipo industriale, di cui all’art. citato, lett. a);

contro la sentenza, il S. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi;

l’Inps resiste con controricorso;

la proposta del relatore è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.- con il primo articolato motivo il ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., della L. n. 88 del 1989, art. 49, comma 1, lett. d), dell’art. 2195 c.c., e della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, nonchè nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4;

assume che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che l’Inps avesse dimostrato lo svolgimento da parte della Garamond S.a.S. di attività imprenditoriale nel settore dei servizi o del terziario e che, di conseguenza, il socio accomandatario fosse soggetto all’obbligo di iscrizione alla Gestione commercianti: in realtà, la decisione della Corte territoriale era fondata sulla visura della CCIAA della Garamond e in particolare sull’oggetto sociale indicato, nonchè sulla domanda di iscrizione per il versamento dei contributi, in cui la società aveva dichiarato di svolgere “servizi editoriali settore commercio”; tuttavia, quest’ultimo documento non poteva avere valore confessorio essendo stato redatto dal commercialista della società e, comunque, privo di firma; in ogni caso l’oggetto sociale indicato dallo statuto e riportato alla Camera di Commercio non poteva avere valore probatorio, essendo stato redatto lo statuto in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 88 del 1989, con la conseguenza che il codice ATECO 74878, riconducibile al terziario, era erroneo; in mancanza di elementi da cui desumere lo svolgimento in fatto ed in concreto di attività commerciale il giudice avrebbe dovuto accogliere l’opposizione;

aggiunge che il giudice di secondo grado non avrebbe valorizzato le deposizioni testimoniali assunte in primo grado da cui emergeva che l’attività svolta era quella editoriale, da classificarsi nel settore industria; la sentenza era peraltro priva di motivazione considerata anche l’illogicità manifesta fra le deposizioni testimoniali;

sotto un secondo profilo contesta che sia stata raggiunta la prova della abitualità e prevalenza del lavoro da parte del socio “in misura preponderante rispetto agli altri fattori produttivi”, non essendo state neppure ammesse le prove richieste dall’Inps e non potendo ritenersi sufficiente la sola qualità di socio accomandatario;

2.- con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudice: in particolare non avrebbe considerato le fatture emesse dalla società nell’anno 2005, da cui si evinceva la natura delle prestazioni rese (progetto editoriale, testi, editing, coordinamento progetto grafico, autori di pubblicazioni quali “Leggere per crescere”, “Anch’io so leggere”, “L’attività fisica della terza età”), tipicamente rientrante nella editoria e, quindi, costituente attività industriale; in secondo luogo, i giudici del merito non avrebbero considerato che a far tempo dal 31/12/2005 il ricorrente era stato cancellato dalla Gestione commercianti, a seguito di una riqualificazione dell’attività della società;

3.- il primo motivo è inammissibile;

va ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 13/10/2017, n. 24.155; Cass. 11/01/2016, n. 195);

si aggiunge che, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il vizio in esame deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 12/01/2016, n. 287; Cass. 26/06/2013, n. 16038);

3.1.- nel ricorso in esame il ricorrente, pur denunciando la violazione di norme di legge, non indica quale delle affermazioni della Corte territoriale sarebbe in contrasto con le norme indicate: al centro della censura vi è infatti l’erronea valutazione da parte dei giudici del merito degli elementi probatori acquisiti e posti a base del giudizio (oggetto sociale, domanda di iscrizione per il versamento dei contributi, prove testimoniali), sulla base dell’assunto che essi non sarebbero idonei a provare la natura commerciale dell’attività esercitata: questa semplice constatazione – non ponendosi un problema di travisamento della prova (sui cui v. Cass. 05/11/2018, n. 28174) ma solo di sua valutazione anche di adeguatezza – conferma che in realtà si è fuori dal perimetro segnato dal motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè in realtà, attraverso l’apparente deduzione delle violazioni di legge, il ricorrente propone una lettura alternativa delle risultanze di causa, mirando ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/04/2017, n. 8758; Cass. 13/07/2018, n. 18721);

3.2.- va peraltro ricordato che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass. 23/10/2018, n. 26769), ipotesi questa non sussistente nel caso in esame avendo espressamente la Corte milanese ritenuto offerta dall’Inps la prova dei presupposti per la sussistenza dell’obbligazione contributiva (pag. 3, penultimo periodo);

4.- del pari inammissibile è il secondo motivo;

il giudizio di appello è stato introdotto con ricorso depositato in data 17/12/2013, come si evince dall’incipit dalla sentenza impugnata;

la Corte d’appello ha rigettato l’impugnazione condividendo il giudizio in fatto già espresso dal primo giudice circa la natura dell’attività svolta dalla Garamond S.a.S. (pagina 3, penultimo periodo della sentenza impugnata), nonchè circa lo svolgimento da parte del S. di attività di lavoro all’interno della società come occupazione abituale e prevalente;

4.1.- si è pertanto in presenza di una cosiddetta “doppia conforme”; trova applicazione l’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5 (come introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, e applicabile ratione temporis per essere stato il giudizio di appello introdotto con ricorso depositato dopo l’11 settembre 2012), a norma del quale, quando il rigetto dell’appello è fondato sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione non può essere proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

deve aggiungersi il ricorrente non ha allegato nè provato che il rigetto dell’impugnazione è avvenuto per ragioni diverse da quelle poste a base della sentenza del Tribunale (Cass. 22/12/2016, n. 26774);

5.- infine, non sussiste la denunciata nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dal momento che la motivazione della sentenza è non solo materialmente esistente ma anche esaustiva e priva di incoerenze logico-giuridiche tali da impedire di ricostruire l’iter che ha condotto alla decisione: al contrario, la sentenza ha espresso un giudizio compiuto circa la natura commerciale dell’attività svolta dalla società, escludendo che l’attività prevalente fosse quella editoriale, inquadrabile nel settore industria cui all’art. 49, lett. a), e dando invece rilievo, oltre che alla documentazione indicata dal ricorrente, alla prova testimoniale assunta che aveva confermato l’attività di progettazione per la realizzazione di prodotti editoriali, di collane di volumi e riviste specializzate, pubbliche relazioni e attività di promozione; gli stessi testi avevano confermato l’attività di lavoro svolta dal socio accomandatario quale sua occupazione prevalente;

5.1.- al riguardo, e solo per completezza, deve rilevarsi che “in tema di iscrizione alla gestione commercianti, i requisiti congiunti di abitualità e prevalenza dell’attività, di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, sono da riferire all’attività lavorativa espletata dal soggetto in seno all’impresa, al netto dell’attività eventualmente esercitata in quanto amministratore, indipendentemente dal fatto che il suo apporto sia prevalente rispetto agli altri fattori produttivi (naturali, materiali e personali), valorizzandosi, in tal modo, l’elemento del lavoro personale, in coerenza con la “ratio” della disposizione normativa (Cass. 19/07/2018, n. 19273, ed ivi ulteriori richiami);

5.2.- la sentenza dunque risponde al cosiddetto “minimo costituzionale” delineato dall’art. 111 Cost. e dall’art. 132 c.p.c., nell’interpretazione datane da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. n. 8053/2014);

6.- il ricorso deve pertanto essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano come da dispositivo, in ragione del valore della controversia;

6.1.- sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La corte rigetta e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2000,00 per compensi professionali e Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% di rimborso forfettario per spese generali e agli altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2019

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