Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30710 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2011, (ud. 30/09/2011, dep. 30/12/2011), n.30710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.S. e MA.Gi., elettivamente domiciliati in

Roma, via Germanico n. 146, presso l’avv. Mocci Ernesto, che li

rappresenta e difende unitamente all’avv. Leone Gregorio, giusta

delega in atti;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 357/06,

depositata il 28 giugno 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30

settembre 2011 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;

uditi l’avv. Leone Gregorio per i ricorrenti e l’Avvocato dello Stato

Paola Maria Zerman per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. M.S. e Ma.Gi. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dei predetti, è stata confermata la sentenza del Tribunale di Trieste del marzo 2003, che aveva respinto la loro domanda di accertamento negativo della pretesa avanzata dalla Dogana di Trieste con nota del 4 settembre 2000, con la quale era stato intimato il pagamento, in solido, di tributi doganali, IVA ed interessi per complessive circa L. 517.000.000: ciò in conseguenza del fatto che gli attuali ricorrenti erano stati imputati del delitto di contrabbando in relazione all’importazione in Italia di prodotti di maglieria – avvenuta nel 1983 – e il processo penale a loro carico si era concluso nel 1993, con sentenza, passata in giudicato, di estinzione del reato per prescrizione.

La Corte d’appello ha, in sintesi, ritenuto la piena applicabilità nella fattispecie della norma di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, comma 3, che stabilisce che la prescrizione quinquennale – poi divenuta triennale – dell’azione dello Stato per la riscossione dei diritti doganali decorre, nel caso in cui il mancato pagamento abbia causa da un reato, dal momento in cui la sentenza penale è divenuta irrevocabile.

Ha, infatti, escluso: a) che tale norma sia incompatibile con la disciplina comunitaria dettata con i Regolamenti CEE n. 1697/79 e n. 2913/92; b) che la dogana fosse in grado di calcolare con esattezza i dazi dovuti prima che i fatti costituenti reato risultassero definitivamente accertati; c) che avesse rilevanza la mancata costituzione di parte civile nel processo penale da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Il giudice a quo, infine, ha affermato che la sentenza penale è passata in giudicato il 18 giugno 1999, data in cui è stata emessa la sentenza della Corte di cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso, e che la sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato si basa sull’accertamento della sussistenza dei fatti di contrabbando oggetto di imputazione.

2. L’Agenzia delle dogane ha resistito con controricorso.

3. Il ricorrente M. ha depositato dichiarazione di rinuncia al ricorso per definizione transattiva della controversia.

4. Tutte le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La “dichiarazione di rinuncia” al ricorso presentata da M. S. a seguito di definizione transattiva non risulta essere stata notificata alle parti o comunicata agli avvocati delle stesse per l’apposizione del visto; ne consegue che, in difetto di tali requisiti, l’atto di rinuncia non è idoneo a determinare l’estinzione del processo, ma comporta l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (Cass., Sez. un., n. 3876 del 2010); sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente Ma.Gi. denuncia la violazione del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 84, comma 3, recante il Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale (in prosieguo, TULD), e degli artt. 2 e 3 del Regolamento CEE n. 1697/79, nonchè vizio di motivazione. Sostiene la tesi della inapplicabilità della norma nazionale per contrasto con la disciplina comunitaria, la quale, a suo avviso, prevede che il termine di prescrizione di tre anni dell’azione di recupero, da parte della dogana, dei dazi e degli altri diritti doganali decorre dalla data in cui è sorta l’obbligazione doganale con l’immissione in consumo della merce, anche nel caso in cui sia stata radicata azione penale conclusasi con sentenza di estinzione del reato per prescrizione.

Con il secondo motivo, è denunciata nuovamente la violazione delle indicate norme del Reg. CEE n. 1697/79 e dell’art. 2697 cod. civ., nonchè vizio di motivazione. Deduce il ricorrente che, ai sensi dell’art. 3 del citato Regolamento, l’impossibilità di procedere alla esatta liquidazione dei diritti doganali “a causa di un atto passibile di un’azione giudiziaria repressiva”, con conseguente inapplicabilità del termine prescrizionale suddetto, deve essere previamente dichiarata dalla dogana al momento in cui trasmette la notitia criminis al p.m. e va esclusa nel caso in cui tali maggiori diritti sono analiticamente liquidati utilizzando le bollette di importazione e la successiva liquidazione riprende le stesse quantità, qualità e valori espressi nella dichiarazione doganale;

sostiene, poi, che il termine di prescrizione può essere superato soltanto quando entro il medesimo è intervenuta la notitia criminis da parte della dogana.

2.2. I motivi vanno esaminati congiuntamente per stretta connessione.

L’art. 84 del TULD prevede che “l’azione dello Stato per la riscossione dei diritti doganali si prescrive nel termine di cinque anni” (comma 1) e che “qualora il mancato pagamento, totale o parziale, dei diritti abbia causa da un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili” (comma 3).

Il Regolamento CEE n. 1697/79 del Consiglio del 24 luglio 1979, applicabile nella fattispecie ratione temporis, prevedeva il termine di prescrizione di tre anni per l’azione di recupero a posteriori dei dazi all’importazione o all’esportazione non riscossi, decorrente dalla data di contabilizzazione dell’importo originariamente richiesto al debitore ovvero, se non vi è stata contabilizzazione, a decorrere dalla data in cui è nato il debito doganale (art. 2);

un’eccezione a tale termine era tuttavia prevista dall’art. 3, secondo il quale il termine “non è applicabile qualora le autorità competenti accertino di non aver potuto determinare l’importo esatto dei dazi (….) legalmente dovuti per la merce in questione, a causa di un atto passibile di un’azione giudiziaria repressiva. In questo caso, l’azione di recupero delle autorità competenti si esercita conformemente alle disposizioni vigenti in materia negli Stati membri”.

2.3. La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto occasione più volte di stabilire che, ogni qual volta le autorità competenti per il recupero accertino di non aver potuto determinare l’importo esatto dei dazi dovuti a causa di un atto passibile di un’azione giudiziaria repressiva, l’azione per il recupero dei dazi non riscossi si prescrive nel termine di cinque anni previsto dall’art. 84 del TULD, non trovando in tal caso applicazione il minor termine di prescrizione previsto dall’art. 2 del Regolamento CEE n. 1697/79, e che ricorre l’ipotesi di “atto passibile di un’azione giudiziaria repressiva”, di cui all’art. 3, allorquando l’atto, obiettivamente considerato, integri una fattispecie prevista come reato dal diritto penale nazionale delle autorità che procedono al recupero dei dazi non riscossi, senza che si debba accertare se per lo stesso sia iniziata o possa essere iniziata azione penale, essendo condizione necessaria, ma anche sufficiente, la qualificabilità dell’atto stesso come reato: ciò che viene in evidenza, quindi, non è l’evenienza postuma di una eventuale condanna o proscioglimento, bensì l’ipotesi delittuosa che sta alla base della notitia criminis, essendo evidente che di fronte a fatti costituenti reato il presupposto d’imposta non viene da subito percepito dall’Amministrazione in quanto il comportamento del contribuente è diretto appunto ad occultarlo, sicchè ad essa deve essere consentito di attendere l’esito del procedimento penale, non essendo in grado di attivarsi immediatamente per la liquidazione e la riscossione (cfr.

Cass. nn. 7751 e 11499 del 1997, 19195 e 20513 del 2006, 24336 del 2009).

E’ stato anche affermato che: a) la riduzione da cinque a tre anni del suddetto termine di prescrizione, operata dalla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29, si applica, in conformità ai principi (riconosciuti anche dal diritto comunitario) di affidamento, di ragionevolezza e di tutela effettiva dei diritti, soltanto ai diritti doganali sorti successivamente alla data di entrata in vigore di tale norma, fissata al 1 maggio 1991 (e, pertanto, non nella fattispecie in esame) (Cass. nn. 8146 del 2003, 13054 del 2004, 20513 e 21377 del 2006); b) il termine decorre dalla data in cui è divenuta irrevocabile la pronuncia nel giudizio penale, qualunque ne sia il contenuto, e quindi anche nel caso in cui il reato sia stato dichiarato estinto per prescrizione (Cass. nn. 8139 del 1990, 20513 del 2006, 6820 del 2009).

Anche la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che, ai fini dell’applicazione dell’eccezione prevista dall’art. 3 del Regolamento n. 1697/79 per quanto riguarda il termine di prescrizione, la norma non esige che azioni giudiziarie repressive siano effettivamente avviate dalle autorità penali dello Stato membro, con la conseguenza che la qualificazione di un atto come “passibile di un’azione giudiziaria repressiva” rientra nella competenza delle autorità doganali che devono stabilire l’importo esatto dei dazi di cui trattasi (Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2007 in causa C- 62/06, Fazenda Publica). Inoltre, con la recente sentenza 17 giugno 2010 in causa C-75/09, Agra srl, la medesima Corte ha affermato che l’art. 221, n. 4, del codice doganale comunitario (Reg. CEE del Consiglio n. 2913 del 1992, come modificato dal Reg. CE del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2700 del 2000) – il quale prevede che, qualora l’obbligazione doganale sorga a seguito di un atto che era nel momento in cui è stato commesso “perseguibile penalmente”, la comunicazione al debitore può essere effettuata, “alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti”, dopo la scadenza del termine triennale di cui al precedente par. 3, così sostanzialmente riproducendo il contenuto dell’art. 3 del Reg. n. 1697/79 -opera un rinvio al diritto nazionale per il regime della prescrizione dell’obbligazione doganale qualora essa sorga a seguito di un atto perseguibile penalmente, con la conseguenza che la norma deve essere interpretata nel senso che “non osta ad una normativa nazionale in base alla quale, laddove il mancato pagamento dei diritti tragga origine da un reato, il termine di prescrizione dell’obbligazione doganale inizia a decorrere dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili”.

2.4. Costituisce, inoltre, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello in virtù del quale lo spostamento in avanti della decorrenza del termine di prescrizione, accordato dall’art. 84, comma 3, del TULD, può operare, per evitare la compromissione della certezza dei rapporti giuridici, solo a condizione che, entro il termine originario (nella fattispecie, come detto, quello quinquennale), la notitia criminis – primo atto esterno che prefigura il nodo di commistione tra fatto reato e presupposto d’imposta destinato ad essere sciolto all’esito del giudizio penale – sia trasmessa dall’Amministrazione all’autorità giudiziaria, altrimenti il termine di recupero dei dazi sarebbe privo di riferimenti temporali e, quindi, dilatabile all’infinito (Cass. nn. 19193, 19195 e 22014 del 2006, 24336 del 2009, 9773 del 2010). A tal riguardo, va rilevato che, nella recente sentenza n. 247 del 2011, la Corte costituzionale, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 26, (convertito nella L. n. 248 del 2006), nella parte in cui prevede il raddoppio dei termini di accertamento nel caso di violazioni comportanti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, ha sottolineato (richiamando la citata giurisprudenza di questa Corte) che, a differenza della normativa anzidetta (che ha un preciso riferimento temporale), l’art. 84, comma 3, del TULD indica un termine complessivo indefinito e non prevedibile nel momento in cui è contabilizzata o diviene esigibile l’obbligazione doganale.

2.5. In applicazione dei richiamati principi, che il Collegio condivide, deve essere rigettato il primo motivo di ricorso ed accolto il secondo limitatamente all’ultima censura sopra riportata, relativa alla necessità della formulazione di un’ipotesi delittuosa, posta a base di una notitia criminis, nel corso del termine originario di prescrizione.

3. Con il terzo motivo, è denunciata la violazione delle norme di cui ai primi due motivi e dell’art. 2947 cod. civ., chiedendo a questa Corte di affermare che: l’art. 84, comma 3, cit. non può trovare applicazione nell’ipotesi in cui l’Amministrazione non si è costituita parte civile nel processo penale; la prescrizione dell’azione civile decorre dal momento di consumazione del reato nel caso di procedimento penale conclusosi con pronuncia di prescrizione;

la definitività del procedimento penale va determinata in base al codice di procedura di fatto applicato e non a quello vigente alla data in cui è sorta l’obbligazione doganale.

Il motivo è infondato sotto tutti i profili.

L’infondatezza delle prime due censure discende da quanto già ampiamente affermato in ordine ai motivi precedenti (sulla irrilevanza della omessa costituzione di parte civile dell’Amministrazione, cfr., in particolare, Cass. nn. 20513 del 2006 e 6820 del 2009, citt., secondo le quali ciò che rileva non è la pronuncia dispositiva, di assoluzione o di condanna, per gli effetti estensivi nel giudizio civile dell’accertamento in essa contenuto, ma piuttosto il momento conclusivo del procedimento in sè, cui si correla il decorso della prescrizione).

Circa la questione del momento di passaggio in giudicato della sentenza penale, la censura è chiaramente infondata, poichè, ai sensi dell’art. 648 c.p.p., comma 2, (che riproduce sostanzialmente il disposto dell’art. 576 c.p.p. abrogato), “se vi è stato ricorso per cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso” (cfr. Cass., sez. 6, n. 37738 del 2002, Lombardo); la giurisprudenza citata dal ricorrente (Cass, Sez. un., n. 32 del 2000, De Luca, e succ. conff.) vale soltanto ai limitati fini – interni al processo penale – della impossibilità di rilevare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p..

4. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2697 e 2043 cod. civ., nonchè vizio di motivazione:

censura la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice, “senza autonomamente valutare in alcun modo gli elementi probatori in precedenza sottoposti al vaglio del giudice penale, attribuisce piena rilevanza sull’an e sul quantum della pretesa risarcitoria alla sentenza di intervenuta prescrizione pronunciata nell’ambito di un giudizio abbreviato, rigettando le istanze istruttorie che la parte privata aveva formulato, onde dimostrare l’insussistenza dell’obbligazione tributaria”.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, e, comunque, infondato: il giudice a quo ha affermato, infatti, con motivazione esauriente e priva di vizi logico-giuridici, che il giudice penale ha “esposto specifica motivazione, fondata sull’esame delle prove acquisite”, ritenendo “sussistenti i fatti reato di contrabbando, siccome descritti nei relativi capi di imputazione, nei quali era specificato l’ammontare dei dazi e tributi evasi, corrispondenti all’ammontare preteso dall’Amministrazione”; ed ha pertanto ritenuto l’accertamento effettuato in sede penale “esaustivo anche riguardo all’ammontare dei tributi e dazi evasi”.

5. In conclusione, va accolto, nei limiti sopra indicati, il secondo motivo di ricorso e rigettati gli altri; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta e la causa rinviata alla Corte d’appello di Trieste, la quale provvederà a nuovo esame della controversia, uniformandosi al principio enunciato al par.

2.4., oltre a provvedere in ordine alle spese anche del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso di M.S. e compensa le spese.

Accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo del ricorso di Ma.Gi. e lo rigetta per il resto. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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