Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30709 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. II, 27/11/2018, (ud. 06/07/2018, dep. 27/11/2018), n.30709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23964/2014 proposto da:

Z.A., Z.S., Z.D., ZA.AL. e

ZA.AN. (anche quali eredi di B.L. e Za.Di.),

rappresentati e difesi dall’Avvocato FEDERICA SCAFARELLI, ed

elettivamente domiciliati presso il suo studio in ROMA, VIA GIOSUE’

BORSI 4;

– ricorrenti –

contro

Z.B. e Z.R., rappresentati e difesi dall’Avvocato

NICOLA DI PIERRO ed elettivamente domiciliati presso il suo studio

in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 447/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

6/07/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione datato 10.9.2000, Z.A., Z.S., ZA.DI., Z.D., ZA.AL., ZA.AN., B.L. ved. Z., convenivano in giudizio Z.B. e Z.R. al fine di sentir pronunciare la condanna degli stessi alla riduzione in pristino delle loro abitazioni nel rispetto dell’art. 872 c.c., nonchè all’esecuzione delle opere necessarie per il ripristino del normale scorrimento delle acque reso più difficoltoso dal tombamento del fossato effettuato dai convenuti.

Si costituivano in giudizio i convenuti, i quali contestavano nel merito le avverse deduzioni, sostenendo da un lato che la violazione delle distanze legali relativa all’abitazione, doveva ritenersi legittimata in quanto l’edificio era stato realizzato nel 1969, dall’altro, quanto al tombamento del fossato, che l’opera era stata realizzata su ordine del Magistrato delle acque.

La causa era istruita in via orale e documentale, nonchè mediante l’espletamento di CTU.

Con la sentenza n. 16/2007 del 28.1.2007, il Tribunale di Venezia, Sez. distaccata di San Donà di Piave, accoglieva la domanda attorea di condanna all’arretramento alla distanza legale di m 10 dal confine dell’edificio dei convenuti, rigettando le altre domande attoree.

I soccombenti proponevano appello avverso la sentenza. Si costituivano gli appellati proponendo appello incidentale.

Con sentenza n. 447/2014, depositata il 24.2.2014, la Corte d’Appello di Venezia rigettava l’appello incidentale proposto dagli appellati; accoglieva l’appello principale; respingeva la domanda di riduzione in pristino dell’immobile di proprietà di Z.B. e R., condannando gli appellati, in solido tra loro, a rifondere agli appellanti le spese di lite del doppio grado del giudizio.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione Z.A., Z.S., Z.D., Za.Al. e Za.An., anche quali eredi di B.L. e Za.Di., sulla base di tre motivi; resistono Z.B. e Z.R. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, artt. 118 e 119 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, chiedendo la pronuncia di nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione, in quanto la parte argomentativa ed il dispositivo sono stati redatti dal Presidente relatore interamente a penna, con una grafia incomprensibile, che determina la necessità di ricorrere a una lettura difficile e necessariamente interpretativa dell’atto in questione, con lesione del diritto di difesa per l’impossibilità di ricostruire e comprendere con la dovuta certezza le ragioni di fatto e di diritto che sorreggono l’atto.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – Sebbene non del tutto agevolmente, la sentenza impugnata, scritta a mano dal relatore, risulta comunque leggibile nella stesura e comprensibile nei contenuti, così nelle motivazioni, come nel dispositivo. Non sussistono quindi gli evocati presupposti onde addivenire alla richiesta declaratoria di nullità della sentenza medesima per difetto di motivazione.

2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Pronuncia ultra petita in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, là dove la Corte di merito ha ritenuto maturata l’acquisizione per usucapione a favore di Z.B. e R. della servitù a carico del fondo vicino (di proprietà degli appellati), relativa al mantenimento dell’edificio nel sito ove era stato costruito; così travisando le stesse domande svolte nel giudizio d’appello dagli appellanti (che hanno semplicemente eccepito la prescrizione del diritto dei vicini all’arretramento dell’edificio per inerzia ultra-trentennale degli stessi) e pronunciando ultra petita.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Costituisce principio consolidato quello secondo cui, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formulazione letterale adottata dalla parte (Cass. n. 26159 del 2014; Cass. n. 21087 del 2015), dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonchè del provvedimento in concreto richiesto, non essendo condizionato dalla mera formula adottata dalla parte (Cass. n. 5442 del 2006; Cass. n. 27428 del 2005).

L’interpretazione della domanda giudiziale costituisce, dunque, operazione riservata al giudice del merito (Cass. sez. un. n. 4617 del 2011), il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata avuto riguardo all’intero contesto dell’atto e senza che ne risulti alterato il senso letterale (Cass. n. 22893 del 2008).

Il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto e comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il Giudice renda la pronuncia richiesta in base a una ricostruzione dei fatti di causa – alla stregua delle risultanze istruttorie – autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonchè in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (Cass. sez. un. n. 9147 del 2009).

Orbene, del tutto correttamente e tenendo coerentemente conto del contenuto sostanziale della pretesa dei controricorrenti di opporsi alla domanda attorea, la Corte di merito riconoscendo l’eccepita durata della prescrizione – ha rilevato come risultasse maturata l’acquisizione per usucapione a favore degli appellanti della servitù a carico del fondo vicino, relativa al mantenimento del loro edificio, costruito nell’anno 1969, e quindi ben oltre vent’anni prima del giudizio in assenza di qualsivoglia atto interruttivo (sentenza impugnata, pagg. 8 e 9). Tale decisione non incide in alcun modo sull’evocato principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, attesa la portata della affermazione del giudice in parte qua, pienamente rispettosa del thema decidendum.

3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1031 e 1158 c.c. e dell’art. 873 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, giacchè, nella fattispecie, non sarebbe configurabile l’acquisto per usucapione della servitù, non essendo stato dato alcun consenso valido e/o efficace all’edificazione a distanza inferiore a quella legale.

3.1. – Il motivo non è fondato.

3.2. – E’ principio consolidato, che questo Collegio condivide, quello secondo cui è ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici (e ciò, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso ad usucapionem) (Cass. n. 1395 del 2017; Cass. n. 3979 del 2013; Cass. n. 4240 del 2010).

Ciò affermato, ne consegue – riconosciuta la presenza dei requisiti dell’intervenuta usucapione del diritto reale l’irrilevanza nella specie della analisi della susssistenza o meno di un originario consenso, da parte del dante causa dei ricorrenti, alla costruzione dell’edificio de quo a distanza inferiore a quella legale; ovvero della validità o meno di un atto privato che derogasse alle norme sulle distanze poste a tutela dell’interesse pubblico.

4. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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