Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30708 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2011, (ud. 01/03/2011, dep. 30/12/2011), n.30708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – est. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27722-2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

IL QUADRIFOGLIO SHOPPING CENTER SRL, in persona dell’Amministrazione

giudiziario e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avv. VENTIMIGLIA ANDREA

con studio in ZAFFERANA ETNEA VIA GARIBALDI 363 (avviso postale), il

quale ha rinunciato al mandato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 151/2005 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

CATANIA, depositata il 19/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/03/2011 dal Consigliere Dott. RENATO POLICHETTI;

il Presidente, rilevato che ai sensi dell’art. 83 c.p.c., la procura

al difensore nel giudizio in Cassazione, deve essere rilasciata o con

atto pubblico o con scrittura privata autenticata, ovvero in calce o

a margine del ricorso o del controricorso, per questi motivi non

ammette l’Avv. MUSCARA’ a discutere la causa;

udito per il ricorrente l’Avvocato ALBENZIO GIUSEPPE, che

preliminarmente solleva eccezione di irritualità della procura

all’Avv. MUSCARA’, e nel merito chiede l’accoglimento;

presente per il resistente l’Avvocato MUSCARA’ SALVO, che non viene

ammesso alla discussione della causa;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate ricorre, sulla scorta di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 151/34/05, depositata il 19.9.2005, con la quale la CTR della Sicilia ha rigettato l’appello dell’Ufficio, ritenendo che: 1) la dichiarazione integrativa relativa agli anni 1989 e 1990, presentata dalla S.r.l. “Il Quadrifoglio Shopping Center” era volta ad indicare una minor perdita e non un nuovo imponibile, come si desumeva dall’annotazione nel quadro M relativo alle perdite, essendo ascrivibile a mero errore materiale l’omessa indicazione del codice 20; 2) la richiesta avanzata dall’Ufficio, in relazione all’applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 38 ed alla validità del condono, era inammissibile, perchè proposta per la prima volta in appello.

La contribuente resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’eccezione di nullità del ricorso sollevata dalla controricorrente, che ha lamentato la violazione del principio del contraddittorio, per non esserle stata notificata una copia completa del ricorso, va respinta, non avendo l’intimata precisato, nel rispetto del principio di autosufficienza che deve informare, pure, il controricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, e art. 370 c.p.c., comma 2, quali parti del ricorso siano mancanti nella copia notificatale, ed in che modo tale mancanza abbia pregiudicato il suo diritto di difesa. Del pari, infondata è l’ulteriore eccezione, con cui la contribuente ha affermato l’inammissibilità del ricorso, per carenza dei quesiti di cui all’art. 366 bis c.p.c., in quanto tale norma, introdotta con L. n. 40 del 2006, art. 6, non è applicabile nel presente giudizio, per esser la sentenza stata depositata prima del 2.3.2006, data di entrata in vigore della citata L. n. 40 del 2006 (art. 27, comma 2 stessa legge).

Col primo motivo, l’Agenzia delle Entrate deduce la nullità della sentenza,ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del principio del “ne bis in idem”, avendo la contribuente proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio, dopo l’emissione di una sentenza, che aveva rigettato un precedente ricorso avverso il medesimo provvedimento, ed era passata in giudicato.

Col secondo motivo, la ricorrente deducendo la violazione del D.P.R. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, afferma che i giudici d’appello hanno errato nel ritenere nuova, e, dunque, preclusa in appello, la questione relativa all’applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 38, non essendo stato ampliato il “thema decidendum”, in quanto era stata la ricorrente a presentare la domanda di condono, mediante la dichiarazione integrativa.

Col terzo motivo, l’Agenzia deduce vizio di motivazione, della sentenza, evidenziando che la CTR, con asserzioni apodittiche e sconclusionate, ha omesso ogni esame in ordine alla legittimità dell’iscrizione a ruolo derivante dalla richiesta di condono.

Col quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 413 del 1991, artt. 38 e segg., non avendo la CTR considerato che la contribuente non aveva effettuato il versamento prescritto dalla predetta normativa, per la definizione automatica dei periodi d’imposta.

Il primo motivo è inammissibile. La ricorrente deduce, laconicamente, che la contribuente avrebbe proposto due distinti ricorsi avverso “lo stesso provvedimento”, uno dei quali definito in primo grado, con sentenza di rigetto, passata, appunto, in giudicato, senza specificare, in violazione del principio di autosufficienza, nè quale sia il provvedimento in questione (omissione tanto più rilevante in quanto, in narrativa, la stessa Agenzia afferma che la Società aveva, in precedenza, proposto ricorso avverso la cartella di pagamento, mentre, nel presente giudizio, risulta impugnato l’avviso di mora) e, neppure, il momento in cui il primo giudicato si sarebbe formato, circostanza essenziale ai fini dell’ammissibilità della censura, avendo, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 21493 del 2010, qui condivisa, precisato che, nel caso in cui il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e l’esistenza di tale giudicato non sia eccepita, in giudizio, dalla parte che ne abbia interesse, la sentenza di appello che abbia giudicato in difformità da tale giudicato è impugnabile col ricorso per revocazione, ex art. 395 c.p.c., n. 5 e non con il ricorso per cassazione.

Anche il secondo motivo è inammissibile, per difetto di autosufficienza, in quanto la ricorrente, che pur afferma di condividere il principio, applicato nell’impugnata sentenza, secondo cui sussiste il divieto del “novum” in appello, sancito dal D.Lgs n. 546 del 1992, art. 57, in conformità con quanto disposto dall’art. 345 c.p.c. per il procedimento civile, non riporta affatto, come, invece, avrebbe dovuto, in ossequio al principio di cui all’art. 366 c.p.c., i passi del ricorso avversario da cui si dovrebbe desumere che la questione della validità del condono era stata posta dalla contribuente, cosicchè questa Corte, che non può accedere agli atti di causa, non è posta in condizione di poter acquisire la conoscenza dei dati fattuali indispensabili per la decisione.

Il terzo motivo non è attinente alla “ratio decidendi” della sentenza impugnata: contrariamente a quanto postulato dalla ricorrente, la CTR ha confermato la sentenza di primo grado e non la ha annullata, e l’appello è stato proposto in via principale dall’Ufficio (con l’appello incidentale, la contribuente ha chiesto, secondo quanto riporta la decisione impugnata, “la conferma della sentenza di primo grado e la condanna alle spese per l’ufficio”);

sicchè non è affatto chiaro quale sia la censura “apodittica e sconclusionata” cui allude l’Agenzia. Il motivo appare inammissibile, pure, per la sua patente genericità in quanto lungi dall’indicare quali lacune siano riscontrabili nelle argomentazioni sulle quali si basa la decisione, afferma, senz’altro, la bontà della propria tesi, così, implicitamente, invocando un nuovo esame delle valutazioni effettuate dal giudice del merito, precluso in sede di legittimità.

Il quarto motivo è inammissibile perchè prospetta la questione, del tutto, nuova, relativa alla mancanza del versamento dovuto ex lege n. 413 del 1991, di cui non vi è traccia nella decisione impugnata.

Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente ed in favore dell’intimata e si liquidano in complessivi Euro 1.800,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre a spese generali, ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso, e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, in favore dell’intimata, liquidate in Euro 1.800,00, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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