Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30708 del 21/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 30708 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DI PAOLANTONIO ANNALISA

ORDINANZA

sul ricorso 19616-2012 proposto da:
BOVA MARIA ROSA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato
NATALE CARBONE, che la rappresenta e difende giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

REGIONE

CALABRIA,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA OTTAVIANO 9, presso lo studio
dell’avvocato GRAZIANO PUNGI’, rappresentata e difesa
dall’avvocato ENRICO FRANCESCO VENTRICE, giusta
delega in atti;

Data pubblicazione: 21/12/2017

- controricorrente

avverso la sentenza n. 200/2012 della CORTE D’APPELLO
di REGGIO CALABRIA, depositata il 02/03/2012 r.g.n.

1319/2009.

R.G. 19616/2012

RILEVATO CHE
1. con sentenza in data 2 marzo 2012 la Corte di Appello di Reggio Calabria, in
riforma della sentenza di prime cure che aveva parzialmente accolto il ricorso, ha
rigettato la domanda proposta da Maria Rosa Bova volta ad ottenere la condanna
della Regione Calabria al pagamento dell’indennità supplementare prevista
dall’art. 17 del C.C.N.L. 23/12/1999 per la dirigenza del comparto regioni-

cagionato alla ricorrente, la quale si era dimessa perché indotta dal
comportamento degli organi dell’ente a ritenere che le sarebbe spettata la
indennità sopra menzionata;
2. la Corte territoriale ha evidenziato che l’indennità supplementare disciplinata
dal C.C.N.L. presuppone un atto di risoluzione consensuale, al quale non possono
essere equiparate

le dimissioni,

rassegnate

dalla

dirigente fissando

unilateralmente la data di cessazione del rapporto;
3. il giudice di appello ha altresì escluso il diritto al risarcimento del danno
perché, pur a voler ritenere che gli organi regionali con il loro comportamento
avessero indotto in errore la Bova, tuttavia quest’ultima non aveva dimostrato
che sarebbe stata accolta la domanda di risoluzione consensuale, ove formulata;
4. la Regione Calabria, infatti, aveva dichiarato la decadenza di tutti direttori
generali di dipartimento avvalendosi della previsione del contratto individuale
sicché la Bova, qualora non si fosse dimessa, sarebbe comunque decaduta
dall’incarico;
5. la Corte territoriale, sulla base di dette argomentazioni, ha accolto l’appello
principale della Regione Calabria e rigettato l’incidentale proposto dalla Bova,
dichiarando assorbite le questioni, prospettate da entrambe le parti, relative alla
determinazione del quantum risarcitorio;
6.

avverso tale sentenza Maria Rosa Bova ha proposto ricorso affidato a quattro

motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ., ai quali ha opposto
difese la Regione Calabria.

CONSIDERATO CHE
1. il primo motivo di ricorso denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. violazione e
falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. perché in appello la Regione, nel

autonomie locali o, in subordine, al risarcimento dei danni che la Regione aveva

denunciare l’inesistenza del necessario nesso causale fra comportamento colposo
e danno,aveva inammissibilmente prospettato una questione nuova che in
quanto tale non poteva essere esaminata ed accolta dalla Corte territoriale;
2. la seconda censura, formulata ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.,
lamenta l’insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio
perché nessuna rilevanza poteva spiegare nella fattispecie la determinazione n.
396/2007;
2.1. con successiva determina n. 600 del 13 novembre 2007, infatti, il segretario

relativa alla declaratoria di decadenza dalla nomina della Bova;
2.2. la ricorrente ribadisce di essersi dimessa nella convinzione, ingenerata dalla
condotta della p.a., di poter usufruire della indennità supplementare prevista dal
regolamento consiliare di attuazione dell’art. 17 del CCNL ed aggiunge che, ove
non avesse maturato detto convincimento, ella avrebbe proseguito regolarmente
il rapporto di lavoro;
3. la terza critica denuncia il vizio motivazionale sotto altro profilo, perché la
Corte territoriale non avrebbe adeguatamente valutato i documenti dai quali
emergeva che la Regione aveva manifestato la volontà di pervenire alla
risoluzione consensuale dei contratti di lavoro stipulati con i direttori generali,
riconoscendo a questi ultimi l’incentivo all’anticipato pensionamento;
4. con il quarto motivo la Bove si duole dell’omesso esame delle ulteriori censure
formulate con l’appello incidentale relative alla quantificazione del risarcimento
del danno;
5. la prima censura non è scrutinabile perché, anche a voler prescindere dalla
errata invocazione di norma processuale non applicabile alla fattispecie (il divieto
di nova in appello nelle controversie disciplinate dagli artt. 409 e seguenti cod.
proc. civ. è contenuto nell’art. 437 cod. proc. civ.),

l’error in procedendo è

denunciato senza il rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui
agli artt. 366 nn. 3 e 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ.;
5.1.

l’esercizio del potere-dovere di esame diretto degli atti da parte del giudice

di legittimità è condizionato dalla proposizione di una valida censura, sicché la
parte non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali
alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti,
provvedendo, inoltre, alla allegazione degli stessi o quantomeno a indicare, ai fini
di un controllo mirato, i luoghi del processo ove è possibile rinvenirli (fra le più

generale aveva provveduto all’annullamento dell’atto sopra indicato per la parte

recenti Cass. 4.7.2014 n. 15367, Cass. S.U. 22.5.2012 n. 8077; Cass.
10.11.2011 n.23420 e con riferimento alla questione della ammissibilità
dell’appello Cass. 5.2.2015 n. 2143; Cass. 20.7.2012 n. 12664 e Cass.
10.1.2012 n. 86).

5.2. dal principio di diritto discende che, ove il ricorrente denunci la erroneità
della pronuncia di ammissibilità del motivo di appello, in realtà formulato in
violazione del divieto di cui all’art. 437 cod. proc. civ., affinché la censura possa
essere valutata, è necessario che nel ricorso vengano riportati, quantomeno nel

giudizio di primo grado, la motivazione della sentenza del Tribunale, il tenore del
ricorso e della memoria difensiva di appello di modo che la Corte, ancor prima di
effettuare la verifica degli atti, possa valutare ex actis la fondatezza del rilievo;

5.3. la ricorrente si è limitata a richiamare il contenuto della memoria difensiva
con appello incidentale ( con la quale era stata formulata l’eccezione di
inammissibilità dell’appello principale) ma non ha riportato nel loro contenuto
essenziale gli atti rilevanti ai fini della decisione sulla fondatezza dell’eccezione,
né ha adempiuto in relazione a detti atti all’onere di allegazione di cui all’art. 369
n. 4 cod. proc. civ. ( nell’elenco in calce al ricorso è richiamata la sola memoria
difensiva in grado di appello);

6. analoghi profili di inammissibilità presentand il secondo ed il terzo motivo,
perché la ricorrente pone a fondamento delle censure atti delibérativi non
trascritti nel ricorso, il che impedisce alla Corte di valutare ex actis la decisività
del documento il cui esame si assume omesso;

6.1. va poi ribadito che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito
dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nel testo antecedente alle modifiche apportate
dal d.l. n. 83 del 2012, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio,
ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata
soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe
altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua nuova formulazione,
contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità;

6.2. l’omesso o l’insufficiente esame di un documento può assumere rilevanza
solo qualora il documento medesimo sia rappresentativo di un preciso
accadimento o di una specifica circostanza, che abbia valore decisivo per il
giudizio, nel senso che la considerazione di quella circostanza avrebbe portato,

3

loro contenuto essenziale, le deduzioni formulate negli atti introduttivi del

con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, ad una diversa soluzione
della controversia;
6.3. non è, pertanto, sufficiente prospettare, come fa la ricorrente nel caso di
specie, una possibilità di spiegazione logica alternativa dei fatti acquisiti
attraverso le risultanze di cause, perché in tal modo si finisce per sollecitare un
giudizio di merito non consentito a questa Corte;
6.4. va poi detto che la sentenza impugnata è fondata su una precisa ratio
decidendi, ossia sull’affermazione che dalle dimissioni non era derivato alcun

decaduta ai sensi dell’art. 5 del contratto individuale, sicchè tutte le ulteriori
questioni sulle quali insiste il ricorso risultano prive di effettiva attinenza rispetto
al decisum;
7. palesemente infondato è il quarto motivo perché la Corte territoriale non ha
omesso l’esame delle censure relative alla determinazione del quantum ma le ha
correttamente ritenute assorbite una volta esclusa nell’an la fondatezza di
entrambe le domande formulate dalla Bova;
8. al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
8.1. non sussistono ratione temporis

le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater

d.P.R. n. 115 del 2002
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate in C 200,00 per esborsi ed C 4.000,00 per
competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% ed accessori di
legge
Così deciso nella Adunanza camerale del 28 settembre 2017

danno risarcibile perché se la Bova non si fosse dimessa sarebbe comunque

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