Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30706 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. II, 27/11/2018, (ud. 27/06/2018, dep. 27/11/2018), n.30706

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27924-2014 proposto da:

L.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 99,

presso lo studio dell’avvocato CARMINE PUNZI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ILARIA BONSIGNORI D’ACHILLE;

– ricorrente –

contro

B.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 271, presso lo studio dell’avvocato COSTANTINO TESSAROLO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANTE DI FURIA;

L.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO

271, presso lo studio dell’avvocato COSTANTINO TESSAROLO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANTE DI FURIA;

– controricorrenti –

e contro

L.U.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1621/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 03/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2018 dal Consigliere SERGIO GORJAN.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.U. ebbe ad incoare giudizio avanti il Tribunale di Bologna nei riguardi dei nipoti – figli del germano G. premorto al comune padre – chiedendo si procedesse alla divisione dei beni relitti morendo da L.G., rispettivamente suo padre e nonno dei convenuti.

Si costituiva L.U. – figlio del premorto L.G. – deducendo che gli eredi avevano già provveduto, con atto del 2.9.1998, a dividere il bene immobile relitto morendo dal nonno e, comunque, chiedeva la chiamata in causa di sorella e madre per sentir dichiarare la loro indegnità a succedere al padre premorto, L.G., per aver occultato il vero suo testamento e confezionato atto di ultima volontà apocrifo.

Resisteva L.D. non opponendosi alla domanda di divisione e contestando la fondatezza delle domande contro di lei rivolte dal germano U., ugualmente si costituiva la madre B.O. che contestava le pretese avanzate dal figlio, segnalando che lo stesso aveva incoata separata causa contro di lei e della sorella, proponendo le medesime domande svolte in questo procedimento in via riconvenzionale, oltre alla richiesta di dichiarazione di nullità del testamento olografo relitto dal padre G..

Il Tribunale felsineo ebbe a riunire le due citate cause ed, espletata la trattazione istruttoria della questione, con sentenza del 6.10.2010 rigettava le domande mosse dal L.U. verso la madre e la germana, mentre in accoglimento della domanda di divisione proposta dallo zio L.U. provvide ad assegnare le quote alle parti in causa.

L.U. propose appello avanti la Corte di Bologna attingendo sia le statuizioni afferenti le sue domande contro madre e sorella sia alcune delle statuizioni afferenti la divisione dell’asse, relitto morendo dal nonno L.G..

Resistette L.D. chiedendo il rigetto del gravame mosso dal fratello, nonchè svolse appello incidentale avverso la statuizione di determinazione del conguaglio dovuto allo zio per la divisione dei beni, relitti morendo dal nonno.

Si costituì anche B.O. chiedendo il rigetto dell’appello mosso dal figlio nei suoi riguardi, mentre L.U. – zio – rimasse contumace.

La Corte felsinea ebbe a rigettare ambedue le impugnazioni, confermando la prima sentenza e gravando L.U. delle spese di lite osservando: come tutte le doglianza mosse dall’appellante principale circa l’errata soluzione data alle questioni correlate alla nullità del testamento olografo del padre – a dire dell’appellante falsificato da madre e sorella – erano superate poichè il L. non aveva proposto la necessaria querela di falso per contestare l’olografia di detto scritto;

come le spese di lite afferenti la controversia contro madre e sorella correttamente erano state poste a carico del L. in quanto soccombente, non avendo provate le sue domande;

come, con relazione al conguaglio per i beni mobili relitti dal nonno – impugnazioni dei due germani L. contro lo zio -, non v’era prova di una loro divisione volontaria anteriore alla causa, nè dell’incidenza di donazioni fatte in vita dal de cujus.

L.U. ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi.

Si sono costituite a resistere con separati controricorsi e L.D. ed B.O. chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Lo zio L.U. non s’è costituito resistere benchè regolarmente evocato.

Le parti costituite, in prossimità dell’adunanza, hanno depositato memorie difensive.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto da L.U. s’appalesa privo di fondamento giuridico e va rigettato.

Con il primo mezzo d’impugnazione spiegato il ricorrente denunzia violazione del disposto ex artt. 214,215,216 e 221 c.p.c., in quanto il Collegio felsineo ha errato nel ritenere necessaria la proposizione della querela di falso per contestare l’olografia del testamento olografo, invece che ritenere sufficiente la mera contestazione dell’autografia con onere del soggetto processuale che si giova del documento di promuovere l’incombente istruttorio della verificazione della scrittura privata.

Inoltre, segnala l’impugnante, come l’autografia del testamento del padre che lo istituiva erede, avente data antecedente a quello di cui si giovano la sorella e la madre, non fosse stata contestata, sicchè detto documento ben poteva essere utilizzato siccome scrittura di comparazione.

In effetti questa Corte non può condividere l’argomentazione giuridica esposta dalla Corte felsinea in forza della quale l’autografia del testamento olografo può esser contestata esclusivamente proponendo querela di falso, posto che detta opzione interpretativa risulta superata dall’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte – Cass. n 12307/15 -.

Difatti questo Supremo Collegio ha stabilito che per contestare l’autografia del testamento olografo non è necessaria la proposizione della querela di falso, bensì trattandosi di ordinaria azione di accertamento negativo è onere della parte che afferma la falsità provare il suo assunto, sicchè la verificazione della scrittura deve dalla stessa essere proposta e coltivata.

Nella specie è dato pacifico che il L. non propose l’apposita istanza di verificazione circa l’autografia o no del testamento del padre esibito dalla germana e dalla madre, nè addusse in causa altra prova al riguardo, sicchè la correzione della motivazione di rigetto, adottata in sede d’appello, delle sue doglianza non gli giova poichè comunque permane il rilevato difetto di prova circa l’asserto base della sua domanda, ossia che l’ultimo – come data di confezione – testamento del padre fosse falso.

Con la seconda doglianza il L. lamenta la violazione delle medesime norme giuridiche,dianzi evocate a sostegno del primo mezzo d’impugnazione, poichè la Corte felsinea non ha rilevato che in difetto di proposizione, da parte dei soggetti onerati – la madre e la sorella – dell’stanza di verificazione dell’ultimo testamento olografo del padre una volta che egli ebbe a dichiarare di non riconoscere la scrittura, non poteva che mantenere valore l’unico testamento non contestato dalle parti, ossia quello redatto dal padre in data anteriore a suo favore.

La questione rimane superata dall’argomentazione già illustrata in relazione alla precedente doglianza, posto che l’onere di provare il suo asserto, avendo proposto azione di accertamento negativo ex art. 606 c.c., era in capo all’impugnante, attore in prime cure, non essendo sufficiente il suo mero disconoscimento dell’autografia del testamento pubblicato a cura delle congiunte. L’argomentazione su svolta palesa l’irrilevanza delle questioni afferenti i mezzi di prova non assunti introdotta dal ricorrente con la nota difensiva, posto che doveva provvedere nei termini di legge ad indicare le prove a sostegno della sua domanda di accertamento negativo, prove che non conseguono alla soluzione data al quesito di diritto dalla decisione delle sezioni unite del 2015, bensì alla natura stessa dell’azione proposta, siccome individuata da detta pronunzia di questa Suprema Corte.

Con il terzo mezzo di doglianza il L. lamenta violazione della norma ex artt. 189 e 352 c.p.c., nonchè art. 24 Cost. ed art. 6 CEDU, poichè nel corso del giudizio d’appello si sarebbe verificato vulnus grave al suo diritto di difesa avendo al Corte felsinea, dapprima, fissata l’udienza per la discussione orale, quindi revocato tale provvedimento su istanza di contro parte senza instaurare alcun contraddittorio tra le parti.

La censura s’appalesa siccome priva di fondamento per due ragioni.

In primo luogo è dato confermato dalla stessa argomentazione critica che, a ragione, la Corte felsinea su sollecitazione della contro parte ha rilevato come nell’unica sede topica per la proposizione dell’istanza di discussione orale, ossia in sede di precisazione delle conclusioni, questa non fu proposta.

Non ha rilievo la proposizione dell’istanza in altre sedi durante lo svolgimento della causa, poichè un tanto non previsto dalla norma di legge a disciplina della questione.

In secondo luogo il L. genericamente lamenta la lesione del suo diritto di difesa ma, contrariamente al costante insegnamento di questa Suprema Corte in tema – Cass. sez. 2 n 28229/17, Cass. sez. 1 n 18618/03 – non ha indicato quale questione specifico non potè esporre alla Corte d’appello in dipendenza della mancata discussione orale, avuto riguardo al carattere del giudizio di gravame nel quale le ragioni d’impugnazione devono esser esposte esclusivamente negli atti introduttivi.

Con la quarta ed ultima ragione di censura il L. denunzia violazione del disposto ex artt. 91,92 e 97 c.p.p. e della disciplina in D.M. n. 127 del 2004 poichè la Corte felsinea ha errato nel oneralo delle spese dei due gradi di giudizio benchè non totalmente soccombente e, comunque, ha errato nel’individuare il valore della lite al fine della tassazione delle spese.

Inoltre la Corte di prossimità non ha valutato il concorso di ragioni per disporre la compensazione delle spese tra le parti, stante la particolarità delle questioni trattate e l’opinabilità delle soluzioni possibili.

La doglianza s’appalesa siccome infondata posto che la Corte emiliana ha puntualmente esaminata e la ragione di gravame mossa dal L. avverso la statuizione del primo Giudice di oneralo delle spese in considerazione della sua soccombenza e motivato la statuizione di sua condanna anche alle spese del giudizio di gravame.

In primo luogo deve osservare questa Corte come correttamente i Giudici felsinei ebbero ad applicare la tariffa forense posta con il DM 55/2014,entrato in vigore prima della scadenza dei termini di presentazione delle scritture finali, per tanto ad attività professionale ancora in corso.

Quindi si deve rilevare come non sia sindacabile in sede di legittimità il mancato uso da parte del Giudice della sua facoltà discrezionale di compensazione delle spese purchè risulti osservato il canone ex art. 91 c.p.c. – come nel caso – della soccombenza.

Ancora è dato non contestato che le domande mosse dal L. avverso la germana e la madre risultano essere state rigettate sia in primo che in secondo grado, sicchè lo stesso in conclusione è rimasto soccombente a prescindere dalle ragioni poste alla base delle identiche statuizioni adottate dai Giudici di merito, mentre in grado d’appello la sorella è rimasta soccombente esclusivamente verso lo zio, per altro rimasto contumace.

Infine con relazione allo scaglione di valore della lite siccome individuato dalla Corte felsinea va rilevato come il ricorrente ebbe ad attingere con gravame la statuizione di rigetto della sua domanda di declaratoria d’indegnità della sorella a partecipare dell’eredità del nonno in rappresentazione al padre, sicchè effettivamente la questione rimaneva correlata al valore dell’asse ereditario dell’avo.

Inoltre va rilevato come è consentito al Giudice – D.M. n. 55 del 2014, art. 5, comma 6 – ritenere la lite di valore indeterminato riconducibile allo scaglione massimo in presenza di particolari situazioni, che motivatamente la Corte felsinea ha ritenuto esistenti nella specie, stante le questioni trattate, ed ha proceduto alla tassazione concreta non già ” a valori medi ” della tariffa, bensì ” circa ” a detti valori.

Al rigetto del ricorso segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del L. alla rifusione in favore delle parti resistenti costituite, in solido fra loro attesa la comunanza di difesa resa palese dalla nota conclusiva unica oltre che dalle ragioni difensive esposte nei separati controricorsi, delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate in Euro 7.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense siccome precisato in dispositivo. Concorrono in capo ad L.U. le condizioni per il pagamento dell’ulteriore contributo unificato.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità in favore delle consorti L.- B., in solido fra loro, che liquida in Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza di camera di consiglio, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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