Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30706 del 21/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 30706 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: CINQUE GUGLIELMO

ORDINANZA

sul ricorso 19985-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 40, presso
lo studio dell’avvocato DAMIANO LIPANI, che la
rappresenta e difende, giusta delea in atti;
– ricorrente contro

2017

PIERI EULIANA;
– intimata –

3735

avverso la sentenza n. 1200/2013 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/03/2013 R.G.N.
9115/2010;

Data pubblicazione: 21/12/2017

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

RG. 19985/2013

RILEVATO
che, con la sentenza n. 1200/2013, la Corte di Appello di Roma, in
riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede in data
8.4.2010, ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto
stipulato tra Eluana Pieri e Poste Italiane spa, dall’1.2.2002 al
30.4.2002, per sostenere il livello di servizio di sportelleria durante la
fase di realizzazione dei processi di mobilità, tuttora in fase di

dicembre 2001 e 11 gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002, 30
luglio e 18 settembre 2002, che prevedono al riguardo il
riposizionamento su tutto il territorio degli organici della società, con
conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato e
condanna della società al pagamento di una indennità pari a 3,5
mensilità di retribuzione, oltre accessori con decorrenza dalla scadenza
del rapporto;

che avverso tale decisione Poste Italiane spa ha proposto ricorso per
cassazione affidato a quattro motivi;

che l’intimata non ha svolto attività difensiva;
che il P.G. ha formulato richieste scritte concludendo, in via principale,
per la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’assegnazione
alle Sezioni Unite; in via subordinata per la fissazione della pubblica
4ìx.

udienza; inViilteriormente subordinata, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO
che, con il ricorso, si censura: 1) la violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 1372, comma 1, 1175, 1375 cc, in relazione all’art. 360 n. 3
cpc nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5
cpc, per essere stata esclusa, dai giudici di merito di II grado, la
configurabilità della risoluzione per mutuo consenso tacito; 2) la
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 comma 2 D.Igs n. 368/2001
e dell’art. 2697 cc, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, nonché l’omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 cpc, per avere

i

completamento, di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11

errato la Corte territoriale nel ritenere non sufficientemente specificate
le esigenze in modo tale da consentirne il controllo circa la loro
effettiva sussistenza che riguardava l’intero territorio nazionale; 3) la
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 D.Igs n. 368/2001, in
relazione all’art. 1419 comma 1 cc nonché dell’art. 12 delle disposizioni
sulla legge in generale e degli artt. 1362 e ss cc, ai sensi dell’art. 360
n. 3 cpc, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n.

la nullità della clausola non avrebbe potuto comportare la
trasformazione del contratto a tempo indeterminato; 4) la violazione
e/o falsa applicazione dell’art. 32 commi 5 e 6 della legge n. 183/2010
nonché dell’art. 8 della legge n. 604/1966, in relazione all’art. 360 n. 3
cpc, per avere la Corte di merito erroneamente determinato e liquidato
l’indennità in violazione dei criteri di cui al citato art. 8;

che il primo motivo è inammissibile: invero, anche nella parte in cui si
deduce una violazione di legge, la censura si risolve nel sollecitare una
rivisitazione del materiale probatorio, con un nuovo apprezzamento nel
merito attraverso il controllo della motivazione, ormai precluso dalla
nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 cpc, come modificato dal DL n.
83/2012 convertito nella legge n. 134/2012, applicabile nel caso di
specie ratione temporis, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il
sindacato di legittimità, prevedendo la denuncia in cassazione solo
dell’anomalia riguardante l’omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; se, invece, il
fatto è stato esaminato, il vizio non è sindacabile in sede di legittimità
(cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014);

che, nella fattispecie in esame, i fatti controversi da indagare, da non
confondersi con la valutazione delle relative prove, ai fini
dell’accertamento sull’ipotizzata risoluzione per mutuo consenso sono
stati manifestamente presi in esame dalla Corte capitolina sicché non
di omesso esame si tratta, ma di accoglimento di una tesi diversa
sostenuta dalla odierna parte ricorrente;

che il secondo motivo è infondato perché, come più volte sottolineato
da questa Corte (cfr. tra le altre Cass. 14.3.2016; Cass. 16.7.2010 n.

2

5 cpc perché, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello,

16702), dagli accordi indicati nel contratto si desume l’attivazione, nel
periodo dagli stessi considerato e nell’ambito del processo di
ristrutturazione in atto, di processi di mobilità all’interno dell’azienda al
fine di riequilibrare la distribuzione su tutto il territorio nazionale, ma la
persistenza, all’epoca dell’assunzione della Pieri, della fase attuativa
della procedura di mobilità di cui agli accordi suindicati non è
sufficiente ad integrare le ragioni giustificatrici dell’apposizione del
termine ai sensi del D.Igs n. 368/2001 e cioè ad individuare, in seno al

necessaria l’assunzione del lavoratore nell’ambito della struttura di
destinazione, con specifico riferimento alle mansioni affidate: la Corte
di appello di Roma ha puntualmente fatto applicazione di tali principi
ritenendo appunto indispensabile che le ragioni dell’apposizione del
termine fossero rapportate alla concreta situazione riferibile al singolo
lavoratore e che l’onere della prova incombeva sul datore di lavoro
(Cass. 10.2.2010 n. 2279; Cass. 11.12.2012 n. 22716);

che

il terzo motivo è destituito di fondamento alla luce della

giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. tra le altre Cass.
27.2.2015 n. 3994; Cass. n. 17619/2014), da ribadirsi pure in questa
sede, secondo cui il D.Igs n. 368/2001, art. 1, anche anteriormente
alla modifica introdotta dalla legge n. 247/2007, art. 39, ha
confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro
subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo
l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria del sistema per cui, in
caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, pur in
assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza di
dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità del
contratto e di etero-integrazione della disciplina contrattuale, nonché
alla stregua dello stesso art. 1 citato nel quadro della direttiva
comunitaria 1999/70/CE, alla illegittimità del termine e alla nullità della
clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale
relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato;

che, infine, anche il quarto motivo è infondato: invero, per ciò che
concerne la quantificazione dell’indennità, la determinazione tra un

3

contratto, le esigenze produttive che, oggettivamente, avevano reso

minimo ed un massimo della misura della stessa spetta al giudice del
merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione
assente, illogica o contraddittoria (cfr. Cass. 17.3.2014 n. 6122; Cass.
31.3.2014 n. 7458): nel caso in esame, i giudici di secondo grado
hanno richiamato i criteri dell’art. 8 della legge n. 604/1966 con
valutazione congrua e logica giungendo alla quantificazione
dell’indennità in 3,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Del resto, il riferimento svolto dall’art. 8 citato alle condizioni delle

elementi quali la mancata instaurazione di altri rapporti, la mancata
percezione di ulteriori somme a titolo retributivo, il tentativo di
reperimento di altre occupazioni, essendo richiesta una valutazione
complessiva della situazione dedotta in giudizio (cfr. in motivazione
Cass. n. 21932/2014) come ha appunto effettuato la Corte territoriale
nel caso concreto;

che, alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato;
che nulla v,a disposto in ordine alle spese di lite non avendo l’intimata
svolto attività difensiva;

che ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo
risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi,
ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del
DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la
Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis
dello stesso art. 13.
Così deciso nella Adunanza camerale del 28 settembre 2017.
Il Presidente

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