Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30703 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. II, 27/11/2018, (ud. 15/06/2018, dep. 27/11/2018), n.30703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13407/2014 proposto da:

D.R.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato VINCENZO

PARATO, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.

Giuseppe Pio Torcicollo, in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 11;

– ricorrente principale e controricorrente all’incidentale –

contro

B.F., rappresentato e difeso dagli Avvocati LUIGI POTENZA

e ANGELO VANTAGGIATO, ed elettivamente domiciliato presso lo studio

del primo in PRESICCE (LE) VIA DELLA REPUBBLICA 23;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 763/2013 della CORTE di APPELLO di LECCE,

pubblicata il 21/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/06/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione B.F., titolare dell’omonima ditta, citava in giudizio innanzi al Pretore di Ugento D.R.A., deducendo di aver stipulato con la convenuta un contratto di appalto in data 3.3.1995 per la realizzazione di opere di edilizia, relative a un immobile sito in (OMISSIS) e di aver dovuto sospendere l’attività commissionata, perchè la sua completa esecuzione avrebbe comportato di porre in essere opere abusive. Chiedeva, pertanto, il pagamento della somma di Lire 20.000.000 – pari al valore delle opere eseguite prima della sospensione dei lavori – a titolo di ingiustificato arricchimento.

Si costituiva in giudizio la D.R., la quale contestava le ragioni addotte dall’appaltatore a giustificazione della sospensione, assumendo che questa era stata, invece, determinata da una non corrispondenza delle opere eseguite al progetto e dal tentativo di ottenere una non chiara revisione del contratto. Chiedeva, in via riconvenzionale, il ristoro dei danni derivati dalla sospensione – perchè ascrivibile a colpa dell’appaltatore – e quantificati in Lire 100.000.000, sia a titolo di spese necessarie per la demolizione delle opere realizzate non a regola d’arte, sia a ristoro del nocumento derivatole per la violazione degli accordi contrattuali in esame.

Il Pretore di Ugento, preso atto della richiesta economica avanzata in via riconvenzionale, con ordinanza del 19.7.1996, dichiarava la propria incompetenza per valore e rimetteva le parti innanzi al Tribunale di Lecce.

Con l’atto di citazione la D.R. riassumeva il giudizio innanzi al Tribunale di Lecce, il quale, all’esito delle numerose CTU, con sentenza n. 667/2010, depositata il 17.3.2010, rigettava la domanda proposta dal B. e accoglieva la domanda riconvenzionale proposta dalla D.R., condannando il B. al pagamento della somma di Euro 86.879,79, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, a titolo di risarcimento dei danni, derivanti dalla mancata esecuzione del contratto di appalto. Tali danni erano limitati a quelli emergenti ed escludendo così: a) i danni relativi alla necessità di realizzazione di parcheggio; b) una parte dei danni derivanti dalla necessità di locazione di un immobile per la propria famiglia, nelle more della sospensione dei lavori edili; c) i danni derivanti dalla necessità di realizzazione di opere di salvaguardia delle abitazioni dei vicini.

Avverso tale sentenza proponeva appello la D.R., e subito dopo proponeva appello anche il B.. Gli appellati, costituendosi nel giudizio rispettivamente introdotto dalla controparte, eccepivano l’infondatezza del gravame e proponevano ciascuno appello incidentale. Le due cause erano riunite avendo ad oggetto la medesima sentenza.

Con sentenza n. 763/2013, depositata il 21.10.2013, la Corte d’Appello di Lecce accoglieva in parte sia l’appello principale ed incidentale – proposto dalla D.R. che l’appello – sia principale che incidentale – proposto dal B., per l’effetto, rideterminva in Euro 83.576,14, oltre interessi nella misura legale dalla domanda al soddisfo, la somma cui B. era condannato a pagare, confermando nel resto l’impugnata sentenza e compensando le spese del grado del giudizio.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione D.R.A., sulla base di quattro motivi; cui resiste B.F. con controricorso. Avverso la medesima sentenza propone altresì ricorso per cassazione anche il B., sulla base di tre motivi; cui resiste la D.R. con controricorso. Il B. ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va rigettata l’eccezione della D.R. di inammissibilità del ricorso proposto dal B., sull’assunto che questi, ricevuta la notificazione del ricorso per cassazione in data 17.4.2014, avrebbe dovuto proporre impugnazione incidentale, anzichè un’autonoma impugnazione principale, in base alla giurisprudenza di legittimità (di cui richiama Cass. n. 27887 del 2009; Cass. n. 3004 del 2004; Cass. n. 11602 del 2002).

1.1. – Le stesse pronunce citate dalla D.R., affermano che il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso. Tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale. Nel caso in cui i due ricorsi risultino essere stati notificati nella stessa data, l’individuazione del ricorso principale e di quello incidentale va effettuato con riferimento alle date di deposito dei ricorsi, dovendo conseguentemente considerarsi principale il ricorso depositato per primo ed incidentale quello depositato per secondo (Cass. n. 3004 del 2004; nello stesso senso Cass. n. 27887 del 2009; Cass. n. 11602 del 2002). Questi principi sono stati ripetutamente ribaditi: il ricorso per cassazione, proposto come impugnazione autonoma dalla parte alla quale sia stato già notificato un ricorso avverso la medesima sentenza, vale come ricorso incidentale ed è ammissibile se notificato e depositato nei termini per quest’ultimo previsti (Cass. n. 7640 del 2018; conf. a Cass. sez. un. n. 12942 del 1992). Ed è stato precisato che il ricorso incidentale, ancorchè l’art. 371 c.p.c., comma 1, prescriva che esso debba essere proposto con l’atto contenente il controricorso, può essere proposto, non essendo detta modalità da considerare essenziale, anche con atto a sè stante, indipendentemente dalla proposizione del controricorso, ferma, peraltro, l’esigenza che esso sia notificato nel termine (di quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale) stabilito, in base al combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., per la proposizione del ricorso incidentale (Cass. n. 10226 del 2002; Cass. n. 12342 del 2002).

1.2. – Il ricorso proposto dalla D.R. è stato notificato il 17.4.2014 e l’impugnazione proposta dal B., qualificata come ricorso autonomo piuttosto che controricorso con ricorso incidentale, è stata notificata in data 14.5.2014 in termini con quanto disposto dall’art. 371 c.p.c..

2.1. – Con il primo motivo di ricorso principale, la ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la Corte di merito non ha riconosciuto (sebbene provati) i danni derivanti dai maggiori oneri per la sopravvenuta necessità di osservare le norme tecniche del PRG (nelle more intervenuto) in tema di distanze tra fabbricati e di differente proporzione tra cubatura e superficie edificabile, nonchè di aree da destinare a parcheggi.

2.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la “Violazione dell’art. 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, poichè la Corte di merito avrebbe errato nel considerare che i danni causati a vicini non siano stati una conseguenza diretta dell’inadempimento del B..

2.3. – Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, là dove la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere non provata la circostanza che la ricorrente, a causa dell’inadempimento del B., non ha più avuto la disponibilità della propria casa di residenza.

2.4. – Con il quarto motivo, la ricorrente deduce la “Violazione dell’art. 1223 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, poichè la Corte di merito avrebbe errato nel non concedere la chiesta rivalutazione monetaria, in quanto essa deve essere riconosciuta avendo lo scopo di ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale essa era prima dell’evento pregiudizievole e deve essere computata fino alla data di pubblicazione della sentenza.

3.1. – A sua volta, con il primo motivo, il ricorrente incidentale lamenta la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1346,1418 e 1423 c.c., del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 31,32,33 e 34, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la Corte d’appello ha ritenuto che la realizzazione dell’opera in base agli accordi negoziali del 1995 non avrebbe comportato una responsabilità penale per illecito edilizio, posto che le difformità imposte in sede esecutiva rispetto al progetto potevano essere risolte in via amministrativa mediante una DIA, giungendo alla conclusione che ciò fosse sufficiente a conclamare l’ingiustificato abbandono del cantiere da parte del B. e quindi il suo inadempimento.

3.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente incidentale deduce la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1418 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la Corte d’appello giunge alla conclusione di ritenere ingiustificato l’abbandono del cantiere da parte del B. e dunque afferma il suo inadempimento agli accordi contrattuali.

3.3. – Con il terzo motivo, il ricorrente incidentale lamenta la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 87,201 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, poichè con la sentenza impugnata è stato riconosciuto alla D.R. il rimborso della somma di Euro 11.099,84 per ben 5 CTP, così violando la previsione che la parte possa nominare un solo CTP.

4. – Risulta pregiudiziale l’esame del primo e del secondo motivo di ricorso incidentale, che per connessione vanno congiuntamente esaminati e decisi. E che sono entrambi fondati.

4.1. – Quanto al primo motivo (pur riconoscendo che il primo giudice fosse incorso nel dedotto vizio di motivazione, non avendo pronunciato sulla esistenza o meno di un inadempimento colpevole da parte dell’appaltatore), la Corte di merito ha ritenuto che “la realizzazione dell’opus come rinveniente dagli accordi negoziali del 95 non avrebbe comportato alcuna responsabilità penale per illecito edilizio, posto che le eventuali difformità imposte in sede esecutiva rispetto al progetto potevano essere risolte in via amministrativa mediante una DIA e/o richiesta di variante”, giungendo alla conclusione che “Tanto è sufficiente a conclamare l’ingiustificato abbandono del cantiere da parte del B. e dunque il suo inadempimento agli accordi contrattuali” (sentenza impugnata, pag. 13).

4.2. – Orbene, il contratto di appalto per la costruzione di un immobile senza concessione edilizia è nullo, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., avendo un oggetto illecito per violazione di norme imperative in materia urbanistica con la conseguenza che tale nullità, una volta verificatasi, impedisce sin dall’origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne impedisce anche la convalida ai sensi dell’art. 1423 c.c. (Cass. n. 4015 del 2007; cfr. anche Cass. n. 21475 del 2013; Cass. n. 21398 del 2013; Cass. n. 20301 del 2012). Tale nullità si verifica anche ove il contratto abbia ad oggetto immobili da costruire o costruiti in modo difforme alla concessione edilizia rilasciata: se la difformità è totale (cioè ove si intenda realizzare un edificio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetriche rispetto a quello assentito), l’opera difforme è equiparata a quella priva di concessione. Questa Corte ritiene che, in tema di contratti di appalto aventi ad oggetto la costruzione di immobili eseguiti in difformità rispetto alla concessione edilizia, occorre distinguere a seconda che tale difformità sia totale o parziale: nel primo caso (L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 7) – che si verifica quando è stato realizzato un edificio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie – l’opera è da equiparare a quella costruita in assenza di concessione, con la conseguenza che il relativo contratto di appalto è nullo per illiceità dell’oggetto e violazione delle norme imperative in materia urbanistica; detta nullità, invece, non sussiste nel secondo caso (L. n. 47 del 1985, art. 12), che si verifica quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto (Cass. n. 2187 del 2011).

Invero, la Corte d’appello si è limitata all’errata affermazione secondo la quale dall’indagine tecnica sarebbe emerso che le difformità (non meglio identificate per gravità) potessero essere sanate, senza verificare se le stesse rendessero la costruzione del tutto difforme rispetto al progetto approvato. Viceversa, proprio dalla CTU – cui la sentenza impugnata, nella motivazione, aderisce integralmente – si appalesa che le difformità rendessero l’opera non conforme rispetto al progetto approvato: infatti, il CTU (in risposta al quesito n. 6 del supplemento di perizia depositato il 7.10.2004, riportato nel ricorso incidentale a pag. 23) ha affermato che “la realizzazione delle opere indicate in contratto, e non riportate nel progetto approvato, avrebbe comportato il mancato rispetto degli indici previsti dallo strumento urbanistico all’epoca vigente, in quanto sia la superficie che la cubatura, espresse in progetto, erano al limite dell’assentito”.

Poichè, incombe al costruttore – oltre che al titolare della concessione edilizia e al committente – l’obbligo giuridico del rispetto della normativa sulle concessioni, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 6, comma 1 (ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 1), il B., come costruttore, era tenuto a verificare che l’opera contrattualmente prevista fosse conforme alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano, alle previsioni della concessione edilizia e alle sue modalità esecutive. Ma tale conformità, come rilevato dai CTU, nella specie non esisteva e ciò veniva riconosciuto dalla stessa sentenza.

4.3. – La Corte di merito, dunque, s’è limitata all’apodittica affermazione, sganciata dalla effettiva indagine tecnica svolta, della mera e astratta possibilità di una eventuale sanatoria dell’opera abusiva, senza indagare se le difformità fossero tali da comportare un’opera difforme (totalmente o parzialmente) da quella di cui al progetto approvato.

4.4. – Con riferimento al secondo motivo di ricorso incidentale, va rilevato che la Corte d’Appello giunge alla conclusione di ritenere ingiustificato l’abbandono del cantiere da parte del B. e dunque afferma il suo inadempimento agli accordi contrattuali.

L’errore è evidente nella parte in cui, pur avendo accertato l’esistenza delle difformità e avendo semplicemente ritenuto che esse potessero essere risolte, la Corte non ha valorizzato la circostanza che, nel momento in cui il B. ha abbandonato il cantiere, le difformità erano esistenti; così finendo per addossare al B. le responsabilità delle difformità medesime, ritenendo ingiustificato un suo inadempimento, nonostante il medesimo si trovasse nell’impossibilità di adempiere alle obbligazioni proprio perchè sussistenti le difformità riconosciute dalla Corte. Infatti, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 11, secondo cui “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”, rientrano tra i doveri della committenza quello di ottenere tutti i provvedimenti amministrativi necessari per l’esecuzione dell’opera appaltata.

5. – Il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale vanno dunque accolti con assorbimento di tutti i rimanti motivi del ricorso principale e del terzo motivo del ricorso incidentale. La sentenza impugnata va cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbiti tutti i motivi del ricorso principale e il terzo motivo del ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte e rinvia la stessa alla Corte d’appello di Lecce, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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