Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30703 del 21/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 30703 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso 20171-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017

CAFORIO ROSSELLA;
– intimata –

3729

avverso la sentenza n. 4914/2012 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/09/2012 R.G.N.
7443/2005.

Data pubblicazione: 21/12/2017

RG. 20171/2013

RILEVATO
che con sentenza in data 8 settembre 2012 la Corte di Appello di
Roma ha riformato la sentenza del Tribunale di Roma ed ha accertato
l’illegittimità del termine apposto al contratto intercorso tra Poste
Italiane s.p.a. e Rossella Caforio nel periodo dal 1 febbraio al 30 aprile
2002 in relazione ad “esigenze tecniche, organizzative e produttive

riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale
riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da
innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o
sperimentazione di nuove tecnologie prodotti e servizi, nonché
all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre,
11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”
condannando la Società al ripristino del rapporto ed al pagamento di
una indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 32 della legge n. 183 del
2010 liquidata in quattro mensilità di retribuzione oltre interessi sulle
somme annualmente rivalutate dalla notifica del ricorso di primo
grado.
che avverso tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso
affidato a tre motivi mentre Rossella Caforio è rimasta intimata.
CONSIDERATO
Che con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa
applicazione dell’art. 4 comma 2 del d.lgs n. 368 del 2001, dell’art.
2697 cod. civ. e degli artt. 115,116, 244, 253 e 421 comma 2 cod.
proc. civ. per avere la Corte di merito ritenuto che fosse onere della
società dimostrare la ricollegabilità dell’assunzione all’esigenza
organizzativa specificata nel contratto laddove invece era onere della
lavoratrice dimostrare l’assenza di collegamento funzionale e
conseguentemente la pretestuosità dell’assunzione a termine.
Che con il secondo motivo di ricorso è denunciata l’insufficiente
motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione
tra le parti e la violazione e falsa applicazione dell’art. 253, 420 e 421
cod. proc. civ, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 5 e 3 cod.

anche di carattere straordinario conseguenti a processi di

proc. civ.. Ad avviso della ricorrente la Corte territoriale avrebbe
dovuto integrare il quadro probatorio offertole esercitando i poteri
istruttori assegnati dalla legge al giudice del lavoro.

Che con il terzo motivo di ricorso la società denuncia la violazione
dell’art. 32 della legge 4 novembre 2010 n. 183 e dell’art. 429 cod.
proc. civ.. Ad avviso della società il giudice nel valutare le condizioni
delle parti avrebbe dovuto verificare se il comportamento della
lavoratrice successivamente alla conclusione del rapporto fosse

liquidazione dell’indennità onnicomprensiva da liquidare nella misura
minima. Inoltre erroneamente gli accessori erano stati riconosciuti
dalla data di notifica del ricorso di primo grado e non, come dovuto,
dalla sentenza che ha convertito il rapporto.

che ritiene il Collegio che i primi due motivi di ricorso, da esaminare
congiuntamente, siano infondati alla luce della costante giurisprudenza
di questa Corte che ha ripetutamente affermato che “l’apposizione di
un termine al contratto di lavoro, consentita dal d.lgs. 6 settembre
2001, n. 368, art. 1, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di
inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di
indicate in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la
trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle
stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono
una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del
datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la
prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica
connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le
esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a
realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente
nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento
con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare – con valutazione
che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente
dal sindacato di legittimità – la – sussistenza di tali presupposti,
valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a
dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini

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conforme a buona fede e correttezza valutandolo ai fini della

dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti
fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto” (v.
Cass. 27 aprile 2010, n. 10033, cfr. anche Cass. 27 gennaio 2011, n.
1931, sull’onere di specificazione delle ragioni giustificatrici di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo del termine finale, che
“debbono essere sufficientemente particolareggiate così da rendere
possibile la conoscenza della loro effettiva portata e il relativo controllo
di effettività”, pur con riferimento ad un unico contratto).

sarebbe stato piuttosto onere di controparte provare l’estraneità della
sua assunzione rispetto alle esigenze individuate in seno ai singoli
contratti” (cfr. in tal senso Cass. 24 novembre 2014, n. 24954 e
recentemente Cass. sez. VI-L 27/04/2016 n. 8319). Va poi rilevato
che la Corte territoriale ha esaminato e valutato il contenuto degli
accordi richiamati in contratto e, sul presupposto che tali accordi
dimostrassero l’esistenza, al livello nazionale, di un processo
riorganizzativo in corso (mediante il riposizionamento sul territorio
nazionale delle risorse da destinare al servizio di recapito o alla
sportelleria, da soddisfare mediante i processi di mobilità ivi previsti,
durante l’espletamento dei quali poteva rendersi necessario il ricorso
ad assunzioni a temine negli uffici in cui il personale addetto a tale
servizio fosse momentaneamente carente), ha poi ritenuto che, per
altro verso, non fosse stato allegato dalla società alcun collegamento
concreto con la assunzione a termine de qua (collegamento tanto più
necessario in presenza di plurime esigenze legittimanti in astratto la
conclusione di contratti a termine e comunque – come evidenziato in
sentenza – di soluzioni da adottarsi in “tempi e termini diversi poi
modificati”). In concreto ha accertato che non fosse stata
sufficientemente allegata né dimostrata dalla società datrice di lavoro,
sulla quale incombeva il relativo onere probatorio (cfr., in particolare,
Cass. 1° febbraio 2010, n. 2279) l’effettività dell’esigenza con riguardo
a quella specifica assunzione. Con riguardo alla ritenuta genericità dei
mezzi di prova articolati dalla società ed alla mancata utilizzazione dei
poteri d’ufficio è sufficiente osservare che il giudice di merito ha
esplicitato in maniera analitica le ragioni della ritenuta genericità e

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Del tutto erronea è, quindi, la tesi della società ricorrente secondo cui

della inconferenza della prova richiesta, ed ha evidenziato come le
circostanze dedotte, prive di precisi riferimenti a dati obiettivi oltre che
di ogni riferimento all’ufficio di destinazione della lavoratrice,
quand’anche dimostrate, non fossero utili a soddisfare l’onere
probatorio gravante sulla società. Nel rito del lavoro, il mancato
esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 cod. proc.
civ., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della
regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con

di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi
istruttori (v. Cass. 12 marzo 2009, n. 6023). I poteri d’ufficio non
possono essere dilatati fino a richiedere che il giudice supplisca in ogni
caso alle carenze di allegazione e prova delle parti, in assenza di una
pista probatoria rilevabile dal materiale processuale acquisito agli atti
di causa. Il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice (previsti,
nel rito del lavoro, dall’art. 421 cod. proc. civ.), anche in difetto di
espressa motivazione sul punto, non è sindacabile in sede di legittimità
se non si traduce in un vizio di illogicità della sentenza e la deducibilità
della omessa attivazione dei poteri istruttori come vizio motivazionale
e non come errore in procedendo, impedisce al giudice di legittimità
l’esame diretto degli atti ed impone al ricorrente che muova alla
sentenza impugnata siffatta censura di riportare testualmente, in
omaggio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, tutti
quegli elementi (emergenti dagli atti ed erroneamente non presi in
considerazione dal giudice di merito) dai quali era desumibile la
sussistenza delle condizioni necessarie per l’esercizio degli invocati
poteri (cfr. Cass. 16 maggio 2002, n. 7119; Cass. 20 marzo 2004, n.
5662, Cass. 18 giugno 2008, n. 16507).
Che del pari è infondato il terzo motivo nella parte in cui chiede a
questa Corte una rivalutazione dei criteri per la liquidazione
dell’indennità risarcitoria prevista dall’art. 32 della legge n. 183 del
2010. L’art. 8 della legge n. 604 del 1966, richiamato dall’art. 32
citato, ai fini della determinazione dell’indennità fa riferimento alle
“condizioni delle parti”. Tuttavia, come già ritenuto da questa Corte in
fattispecie analoghe (cfr. Cass. cit. n. 8319 del 2016) , ciò non significa

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ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice

che la lavoratrice debba dimostrare anche altri elementi quali la
mancata instaurazione di altri rapporti, la mancata percezione di
ulteriori somme a titolo retributivo, il tentativo dì reperimento di altre
occupazioni. Ciò che è richiesto è una considerazione complessiva
della situazione dedotta in giudizio, che tenga conto – come ha fatto la
Corte – anche del numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro e
delle dimensioni dell’azienda, secondo quanto disposto dal citato art. 8
e la valutazione di tutti detti elementi, rimessa al prudente

legittimità (cfr., per l’applicazione di tale principio con riguardo
all’indennità di cui alla legge n. 604 del 1966, art. 8, Cass. 5 gennaio
2001, n. 107; Cass. 14 giugno 2006, n. 13732; Cass. 5 maggio 2006,
n. 11107 e con riguardo proprio all’indennità ex art. 32 della legge n.
183/2010, Cass. 16 ottobre 2014, n. 21932). Nel caso in esame la
Corte di merito ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di
determinare in quattro mensilità l’ indennità di cui all’art. 32 cit.
individuandole (dimensioni della società datrice di lavoro e durata
dell’assunzione a termine). Ne consegue che la censura finisce con il
sollecitare questa Corte ad un inammissibile giudizio di merito e per
tale aspetto non può trovare accoglimento.
E’

invece fondata la censura nella parte in cui investe la decorrenza

degli accessori riconosciuti sull’indennità liquidata. Va premesso che
l’indennità in esame rappresenta il ristoro, seppure forfetizzato e
onnicomprensivo, dei danni conseguenti alla nullità del termine
apposto al contratto di lavoro, con riguardo al periodo che va dalla
scadenza del termine alla data della sentenza di conversione del
rapporto (si veda in particolare Cass. 11 febbraio 2014, n. 3029) e che
ad essa si applica l’articolo 429, comma 3, cod. proc. civ. che si
riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto e non soltanto a quelli
aventi natura strettamente retributiva (cfr. Cass. 17 marzo 2016 n.
5344). Ne consegue che correttamente l’impugnata sentenza ha
riconosciuto gli accessori sull’indennità in questione. E tuttavia la
decisione ha errato nel far decorrere gli accessori dalla data della
scadenza del rapporto e non dal momento della disposta conversione
(cfr. Cass. n. 5344/2016 cit.).

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apprezzamento del giudice di merito, è sottratta al sindacato di

Per tutto quanto sopra considerato il ricorso per tale parte deve essere
accolto e, rigettati gli altri motivi, la sentenza impugnata deve essere
cassata in punto di decorrenza degli accessori e, ai sensi dell’art. 384
cod. proc. civ. non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto,
può essere decisa nel merito con condanna della società Poste Italiane
alla corresponsione in favore di Rossella Caforio dell’indennità ex art.
32 della legge n. 183/2010 come determinata dalla Corte territoriale e
maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali a decorrere

Che le spese del giudizio, ferme quelle dei gradi di merito, devono
essere compensate tra le parti in ragione del limitato accoglimento del
ricorso e del comportamento processuale della lavoratrice che nulla ha
opposto.
Che per effetto del parziale accoglimento non sussistono la condizioni
di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte, in parziale accoglimento del terzo motivo di ricorso, rigettati
gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito
condanna la società Poste Italiane a corrispondere gli interessi legali e
la rivalutazione monetaria sull’indennità ex art. 32 della legge n.
183/2010 a decorrere dalla sentenza che ha convertito il rapporto.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità, ferme quelle
dei gradi di merito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà
atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte
della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del
citato d.P.R..

Così deciso nella Adunanza del 28 settembre 2017
Il Presidente
Gue5 zrio

(Vittorio Nobile

dalla decisione di conversione del rapporto.

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