Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30702 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. II, 27/11/2018, (ud. 07/06/2018, dep. 27/11/2018), n.30702

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6557/2014 proposto da:

E.V.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SPALLANZANI 22, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO PROTO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI CARNEVALI;

– ricorrente –

contro

E.V.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIEMONTE

39, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA GIOVANNETTI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati BALDASSARRE INCISA DI

CAMERANA, MARCO WEIGMANN;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1789/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO;

rep. il 19/8/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La sig.ra E.V.L., con atto di citazione notificato il primo febbraio 2008, conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Torino la sorella A. e i nipoti Z.E. e R., chiedendo che venisse individuato la propria quota di legittima della successione di V.G..

L’attrice esponeva di essere stata adottata, insieme alla sorella A., dalla zia, dottoressa V.G., che era titolare di una farmacia in (OMISSIS) e, che tale titolarità aveva conservato fino a pochi mesi prima del decesso.

Raccontava, inoltre, che la madre adottiva, nel maggio 2005, si era recata in vacanza a (OMISSIS), tornando a (OMISSIS) nel settembre di quell’anno. Secondo l’esponente, da allora, ella avrebbe mutato atteggiamento nei confronti suoi e della figlia e avrebbe cominciato a manifestare momenti confusionari e vuoti di memoria. Riferiva la sig.ra E.V.L. che la dottoressa V.G. era stata visitata dalla dottoressa M. e dal Dott. C.F., i quali avrebbero confermato i disturbi di memoria e i saltuari stati confusionali. Per questo motivo, ella aveva intrapreso un’azione giudiziale, chiedendo l’inabilitazione della zia. Il Tribunale di Torino aveva inviato gli atti al Giudice tutelare per l’eventuale nomina di un amministratore di sostegno. Nell’atto di citazione si riportava, inoltre, che in data 20 gennaio

2006, la Dottoressa V.G. aveva donato la propria farmacia alla figlia adottiva E.V.A. e alla nipote Z.E. e che, in data 1 aprile 2006, la Dottoressa V. aveva redatto testamento di cui riportava il contenuto, unitamente all’elenco dei singoli beni relitti dalla medesima.

Lamentava l’attrice di aver subito, in seguito alle attribuzioni testamentarie, una lesione di legittima. Pertanto, essa aveva titolo, previo calcolo del valore venale, al tempo della apertura della successione del relictum ex art. 556 c.c., mediante la preventiva formazione della massa di tutti i beni che appartenevano alla Dottoressa V.G. al tempo della sua morte, detratti i debiti e ricompreso quanto disposto a titolo di donazione dalla defunta a favore dei suoi eredi testamentari, o a richiedere, giusta la disposizione contenuta nel testamento, alla sorella E.V.A. di reintegrare con denari o titoli la quota di legittima ad essa spettante secondo la legge, ovvero, qualora non dovesse o non potesse la suddetta erede provvedere in tal senso, ad agire in riduzione a norma dell’art. 553 c.c., nei confronti di tutti i destinatari delle disposizioni lesive della propria quota di legittima.

Chiedeva, in sintesi: a) in via principale e nel merito dichiarare tenuta e, conseguentemente, condannare la sig.ra E.V.A. ad integrare, giuste le disposizioni testamentarie dettate dalla de cuius, nella misura che risulterà necessaria, la quota di legittima spettante all’attrice; con i frutti e gli interessi dal di della domanda. b) In via subordinata, ordinare la riduzione proporzionale delle disposizioni testamentarie dettate a favore dei sig.ri E.V.A., Z.E. e I.R..

I sig.ri E.V.A., Z.R. ed E. si costituivano tempestivamente in giudizio con comparsa 21 aprile 2008. In essa i convenuti, rilevando, dopo alcune premesse in fatto, nel merito della controversia, che l’attrice E.V.L. nell’atto di citazione, pur facendo riferimento alla quota di riserva e all’art. 537 c.c., non si qualificava erede e non dichiarava di accettare l’eredità Eccepivano, inoltre, che la farmacia che risultava donata alla figlia A. e alla nipote Z.E. in data 20 gennaio 2006 non poteva essere considerata oggetto della riunione fittizia, in quanto la stessa era stata venduta alla figlia e alla nipote come dimostravano la contro dichiarazione che veniva prodotta e i bonifici bancari con cui era stato pagato (in parte) il prezzo Rilevavano, comunque, che la donazione in questione prevedeva la dispensa da collazione e imputazione. Chiedevano, pertanto, il rigetto della domanda attrice.

Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 4226 del 2010, accoglieva la domanda attrice, riconosceva il diritto della medesima al supplemento, liquidato, in conformità con le stesse previsioni della testatrice, a carico di A.E., erede universale, nella somma, in denaro o titoli, di Euro 890.970,72 oltre accessori.

Avverso questa sentenza interponeva appello E.V.A., con atto di citazione, notificato in data 4-10-2010.

Si era costituita l’appellata, chiedendo il rigetto dell’appello principale e la conferma della sentenza.

La Corte di Appello di Torino con sentenza n. 1788 del 2013 respingeva l’appello e confermava la sentenza impugnata. Compensava le spese del grado di giudizio. Secondo la Corte di Appello di Torino, la domanda della Sig.ra E.V.L., comunque la si qualifichi, sarebbe accoglibile. La disposizione in favore di Laura integrerebbe, invero, un legato in sostituzione di legittima, compatibile ai sensi dell’alt. 551 c.c., con il diritto di richiedere il supplemento (con il che l’azione esercitata altro non sarebbe che un’ordinaria actio in personam e non un’azione di riduzione). Ma, pure nell’eventualità in cui la stessa disposizione fosse reputata a titolo di erede – sempre secondo la Corte di merito – la domanda sarebbe comunque fondata, avendo la sig.ra L. accettato, tacitamente, l’eredità.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da E.V.A. con ricorso affidato a quattro motivi, illustrati con memoria. E.V.L. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo E.V.A. denuncia la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 360 c.p.c., n. 4). Secondo la ricorrente la Corte distrettuale (e già prima il tribunale) avrebbe accolto la domanda avanzata da E.V.L. a titolo di legato e non di erede, non tenendo conto che l’azione promossa dall’attrice era fondata sulla qualità di erede pura e semplice: la quale lesa dal contenuto della disposizione testamentaria della madre adottiva, avrebbe diritto a vedere integrata la propria quota di legittima. Soltanto nella comparsa conclusionale e, dunque, con deduzione tardiva ed inammissibile l’attrice avrebbe mutato la propria linea difensiva, affermando come essa fosse da considerare legataria e non coerede.

1.1. – Il motivo è infondato per quelle stesse ragioni già espresse dalla Corte distrettuale, trattandosi proprio di un motivo che ripropone la stessa questione avanzata in sede di appello. Come ha avuto modo di precisare la Corte distrettuale, E.V.L. aveva chiesto un supplemento di legittima sulla base del testamento di V.G., la quale aveva imposto ad E.V.A., sua erede universale, di riconoscere all’attrice un conguaglio, fino alla concorrenza della quota di legittima. Specificando, altresì, che era compito del Giudice adito determinare la qualificazione giuridica, determinare, cioè, se la testatrice aveva attribuito con il testamento, a E.V.L., il diritto al conguaglio, fino a concorrenza della quota di legittima, riconoscendola quale erede o quale legataria.

La determinazione, dunque, della posizione assunta dell’attrice, erede o legataria, era sottratta al potere dispositivo della stessa perchè spettava al Giudice adito stabilire se, stante le allegazioni della domanda, si fosse in presenza di un legato in sostituzione di legittima o se la richiesta di supplemento implicasse in ogni caso l’assunzione del titolo di erede, tenuto conto che la stessa testatrice aveva, nel caso, previsto le modalità e i soggetti tenuti all’integrazione della legittima con riferimento all’ipotesi di cui al capoverso ultima parte dell’art. 551 c.c..

Il Tribunale prima e la Corte distrettuale, poi, accoglievano la domanda dell’attrice ritenendo, in ragione della scheda testamentaria, che la de cuius aveva attribuito a L. un legato e che A. rifiutasse di adempiere.

Ciò detto, appare del tutto evidente che era sostanzialmente irrilevante che, nella prospettazione dell’attrice, il titolo di erede, fosse rimasto nel vago e che esso sarebbe stato proposto solo nella memoria ex art. 183 c.p.c., come sostiene l’attuale ricorrente, proprio perchè l’attrice aveva chiesto, sin dall’atto introduttivo, l’integrazione della legittima in relazione all’unico petitum fondato sul testamento.

2. – Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 551,558,564. 588,1362 c.c.(art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo la ricorrente, avrebbe errato la Corte distrettuale:

a) nel ritenere che la de cuius avesse attribuito a E.V.L. un legato in conto di legittima e non una quota di eredità, non tenendo conto che il riferimento espresso della de cuius alla quota di legittima prevista dalla legge manifesterebbe, in modo inequivoco, la volontà della testatrice di attribuire alla figlia L. non già beni determinati, bensì, una parte del patrimonio ereditario nei limiti della minima legittima.

b) nel ritenere che, comunque, per l’esercizio dell’azione di riduzione non sarebbe stata necessaria l’accettazione con il beneficio di inventario perchè, ai sensi dell’art. 564 c.c., l’azione sarebbe stata rivolta nei confronti di altro erede, non avendo considerato che il principio appena indicato non si applica nel caso in cui il testatore abbia disposto anche legati in favore di altri soggetti diversi dall’erede, come è il caso in esame.

c) nel non ritenere necessario l’accettazione con beneficio di inventario, anche, nel caso in cui la disposizione testamentaria venisse qualificato come legato, perchè nel caso in cui il testatore abbia espressamente attribuito al legittimario la facoltà di chiedere il supplemento, non avendo considerato che al locuzione di cui al secondo comma dell’art. 551 c.c. “non si applica” si riferisce alla parte della norma che pone l’alternativa tra conseguire il legato (in sostituzione) e reclamare la legittima, ma, non anche, alla parte in cui chiarisce che il legittimario non acquista la qualità di erede.

d) La Corte sembra porre una rigida alternativa: colui il quale sia erede agisce in riduzione; colui il quale sia legatario, chiede l’adempimento della disposizione. Epperò, sempre la ricorrente, la qualità di erede o legatario non incide sulla legittimazione ad esperire l’azione di riduzione, la quale trova fondamento esclusivamente nel legame familiare con il de cuius. L’art. 557 c.c. – ai sensi del quale “la riduzione delle disposizioni lesive non può essere domandata che dai legittimari e dai loro eredi e aventi cause – non distingue tra eredi e legatari Nè l’attribuzione a titolo universale o particolare risulta presupposto necessario indeclinabile per agire in riduzione. La qualità di erede rileva esclusivamente quando – come nel caso in esame – il legittimario non abbia accettato l’eredità con beneficio d’inventario ex art. 534 c.c.; e tale contegno negativo preclude allo stesso la possibilità di ottenere la reintegrazione della legittima lesa.

2.1. – Il motivo inammissibile perchè non coglie l’effettiva ratio decidendi e/o comunque muove da un presupposto di fatto non esistente.

a) Intanto, è inammissibile la censura riferita all’istituzione testamentaria relativa a E.V.L., se erede o legataria, perchè la ricorrente non censura l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui “(….) sia l’istituzione di un’unica erede universale, in persona dell’altra figlia, (…..) sia infine la specifica obbligazione di integrazione della stessa posta a carico dell’erede universale nominata nello stesso testamento sotto il profilo di un proprio legato di genere (artt. 551 e 653), hanno convinto il Collegio giudicante che la clausola contenga un legato in sostituzione di legittima (….)”, di per se stessa sufficiente a giustificare il decisum.

a.1). – Senza dire che l’interpretazione di un atto negoziale è una tipica attività riservata al Giudice del merito non censurabile nel giudizio di legittimità se non per violazione dei canoni interpretativi o perchè incomprensibile o illogica e tale non è l’interpretazione effettuata dalla Corte di appello nel caso in esame. Come più volte ha affermato questa Corte per sottrarsi, comunque, al sindacato di legittimità, quella data del giudice del merito all’atto negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola negoziale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra.

b) Va, altresì, osservato che la sentenza impugnata ha affermato che “in coerenza con le premesse, correttamente, il Tribunale ha qualificato la prestazione integrativa a carico dell’onerato, sino a concorrenza della quota di legittima, un’obbligazione di natura determinabile alla stregua dei parametri individuati dalla stessa testatrice, ha chiaramente connotato l’azione proposta come una vera e propria azione personale e obbligatoria di esecuzione del testamento e di adempimento di detta obbligazione ivi prevista (…)”. Insomma, secondo la Corte distrettuale, la domanda dell’attrice è sempre stata quella di adempimento del legato e non invece, come vorrebbe la ricorrente, un’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie per ricostruire la quota di legittima. Con l’ulteriore specificazione “(…) che l’art. 551 c.c., prevede che possa esservi un legato in conto di legittima con la previsione anche della sua integrazione, (….) e con l’esclusione pertanto, in tale ipotesi, della necessaria attribuzione della qualità di erede, ai fini dell’integrazione del supplemento di legittima, in quanto, in specie, tale supplemento è stato già previsto dal testatore sotto forma di obbligazione a carico dell’erede universale, operando dunque, l’art. 551 cpv., u.p., secondo l’interpretazione di tale norma contenuta nella sentenza, e, non essendo necessario esperire, al fine di conseguire il supplemento, le azioni riservate tipicamente a colui che abbia assunto la qualità di erede, nel concorso dei relativi presupposti (….).

Pertanto, le affermazioni della Corte distrettuale, anche in questo caso, integrano gli estremi di un’autonoma ratio decidendi direttamente collegabile alla scheda testamentaria mai contestate nè sono state, in alcun modo, gravate di impugnazione dalla ricorrente.

3. – Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 536,549 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo la ricorrente la Corte distrettuale nel ritenere che la sig.ra E.V.A. quale erede universale dovrebbe subire il peso impostole dalla testatrice e dalla stessa legge a favore della sorella legittimaria potendo disporre anche della disponibile non avrebbe tenuto conto che: a) l’attribuzione alla legittimaria sig. E.V.L. del diritto di vedere la quota lesa integrata anche con bene dell’erede universale e non solo dell’asse ereditario urta con il principio di cui agli artt. 536 e 549 c.c. (il principio dell’intangibilità della quota di legittima); b) gravare l’erede universale, A., di integrare al quota di legittima di Laura determinerebbe la lesione della legittima di A.; b) la disposizione che fa obbligo all’erede di integrare la legittima elsa con beni propri sarebbe radicalmente nulla, perchè la quota di legittima non può che essere integrata con bene proveniente dall’asse ereditario.

3.1. – Il motivo è infondato, per quelle stesse ragioni già espresse dalla Corte distrettuale che il Collegio condivide. Infatti, la Corte distrettuale ha avuto modo di chiarire che “(….) non potrebbe sussistere in specie alcuna lesione ex art. 549 c.c., a carico di E.A. per il semplice fatto che la stessa non era una mera legittimaria si da risentire in ogni caso di una lesione della propria quota di legittima ex se, in relazione agli obblighi imposti dal testamento, ma è anche erede universale, si che in tale veste deve subire il peso imposto dalla testatrice e dalla stessa legge a favore della sorella, potendo disporre, anche, della quota disponibile. In ogni caso (….), la convenuta non avrebbe avuto titolo ad esperire l’azione di riduzione nei confronti della sorella attrice essendo quest’ultima una mera legittimaria (….)”. D’altra parte, come correttamente ha evidenziato la stessa Corte distrettuale il legato sostitutivo della legittima disposto dalla de cuius a favore di Laura non sarebbe suscettibile di riduzione, per la ragione assorbente che non eccede la sua quota di legittima ma è esattamente pari alla stessa.

E, correttamente, la Corte distrettuale ha aggiunto che, comunque, l’eventuale lesione della quota di riserva di A. conseguente all’adempimento dell’onere, andrebbe dalla medesima proposta ai sensi dell’art. 553 c.c., non già nei confronti della sorella ma nei confronti dei restanti eredi e legatari essendo principio di diritto che l’integrazione della quota di riserva comporti la riduzione delle disposizioni testamentarie (di eredità e di legato) lesive e successivamente delle donazioni eventualmente disposte.

b) Va altresì evidenziato che, ai sensi dell’art. 553 c.c., il legato di una certa quantità di cose determinate solo nel genere è valido, tanto se delle cose legate ve ne siano nel patrimonio ereditario al tempo dell’apertura della successione, quanto se non ve ne siano, a meno che non risulti chiaramente che il testatore intese riferirsi a quelle esistenti nel suo patrimonio al momento della morte. Pertanto, non è nulla la disposizione testamentaria con la quale la de cuius ha disposto I’ eventuale integrazione del legato in sostituzione di legittima “con denaro o titoli ereditari o propri”.

4. – Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 769c.c. e segg. e artt. 1470 c.c. e segg. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe violato il principio tra il chiesto ed il pronunciato, qualificando la vendita della farmacia quale negotium mixtum cum donatione, posto che l’attrice non aveva svolto alcun rilievo in merito alla parziale simulazione del contratto di donazione.

4.1.= Anche questo motivo è infondato e ancora una volta per le stesse ragioni già espresse dalla Corte distrettuale trattandosi di una censura avanzata, anche in sede di appello. Come già ha affermato la Corte distrettuale “(….) il giudice non è incorso in tale violazione, eccedendo i limiti del thema decidendi ma ha soltanto interpretato alla luce delle stesse allegazioni delle parti ed in specie degli stessi convenuti, che ne hanno dedotto l’esistenza, il preliminare di vendita del 20 dicembre 2005 contenenti gli effettivi accordi tra le parti ed ove era stata prevista la natura solo formale dell’atto pubblico di donazione che sarebbe stato successivamente stipulato in data 20 gennaio 2006 come confermato, anche dalla coeva controdichiarazione della V. circa il pagamento del prezzo della vendita. In base all’interpretazione della suddetta scrittura ed, in particolare, della pattuizione del prezzo (….), i primi giudizi hanno stabilito che l’atto di vendita conteneva in sè anche i profili della donazione secondo lo schema di un negotium mixtum cum donatione (….)”. Appare del tutto chiaro, dunque, che la Corte distrettuale ha effettuato un accertamento in via incidentale per stabilire in che misura occorresse tener conto della farmacia nel relictum o nel donatum della testatrice. E, in quanto accertamento in via incidentale esso non può acquisire effetto di giudicato e, dunque, non può viziare di nullità la sentenza che lo contenga.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannata a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione, che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 14.200,00 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso e accessori come per legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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