Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 307 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 10/01/2011, (ud. 12/10/2010, dep. 10/01/2011), n.307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3198-2007 proposto da:

BANCO DI SICILIA SOCIETA’ PER AZIONI S.P.A., già BANCO DI SICILIA

S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32, presso lo

studio dell’avvocato CIABATTINI LIDIA, rappresentata e difesa

dall’avvocato TOSI PAOLO giusta procura speciale atto Notar SERIO UGO

di PALERMO, del 06/12/2006, rep. n. 69711;

– ricorrente –

contro

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO

MORDINI 14, presso lo studio dell’avvocato ABATI MANLIO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 31/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/01/2006 R.G.N. 1098/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato TOSI PAOLO;

udito l’Avvocato FARANDA RICCARDO per delega ABATI MANLIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Banco di Sicilia Società per azioni spa, già Banco di Sicilia spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Milano, pubblicata il 17 gennaio 2006, che respinse l’appello contro la decisione con la quale il Tribunale di Milano aveva accolto il ricorso per impugnativa di licenziamento proposto da R. F..

Il R., responsabile dell’Agenzia n. (OMISSIS), era stato licenziato senza preavviso in data (OMISSIS), per la seguente contestazione: “per avere arbitrariamente consentito (su due conti correnti) consistenti preutilizzi di partite illiquide, a fronte di versamenti di assegni esteri il cui esito non era ancora conosciuto; per avere deliberatamente e reiteratamente occultato il rischio derivante dalle anzidette partite illiquide, mediante l’arbitrario scarico d’ufficio delle relative avvisate dare; per aver travalicato i poteri decisori … in materia di prelevamenti di contante; per aver impartito all’operatore di sportello in data (OMISSIS) la seguente disposizione scritta: scaricare PAD, da oggi non apporre PAD su accrediti per negoziazioni assegni esteri”.

La Corte d’Appello di Milano ha ritenuto che i primi addebiti siano generici perchè privi dei riferimenti temporali e contabili necessari per individuare i fatti.

Ha quindi considerato nel merito solo il quarto addebito, esaminando e ricostruendo i relativi fatti come accertati in istruttoria.

I risultati di questa ricostruzione sono stati così sintetizzati dalla Corte: ” R. ha commesso un errore nel revocare la PAD soltanto dopo una decina di giorni dall’emissione degli assegni e nell’aver considerato andati a buon fine gli assegni dopo questa data”; tale condotta ha avuto “come risultato una concessione di fido oltre i limiti consentiti al responsabile di filiale”. Tuttavia, “la mancata comunicazione alla filiale di (OMISSIS) del messaggio swift nel periodo dal (OMISSIS) non influisce soltanto, come vorrebbe l’appellante sull’entità del pregiudizio già arrecato alla Banca”, ma influisce sulla valutazione della condotta del dipendente, perchè a fronte di una prassi che imponeva di considerare la singola situazione, a R. era ignoto un dato fondamentale per la determinazione della propria condotta, come sottolineato dal teste N. (“in definitiva ciò che è importante per bloccare eventuali ulteriori negoziazioni, al di sopra di un certo importo, è l’invio del messaggio swift”) dato “conosciuto da altri organismi della banca ed il silenzio in questo caso giocava a favore di un giudizio di affidabilità del cliente”. La conclusione cui perviene la Corte è la seguente: non si può addebitare al R. un risultato che è “l’esito di più condotte concorrenti e quando per un periodo prolungato è stata omessa dal datore di lavoro proprio quella condotta che avrebbe consentito al R. di evitare l’errore di valutazione che oggi gli si contesta”.

Queste valutazioni, unitamente alla considerazione della assenza assoluta di procedimenti disciplinari in un periodo di lavoro iniziato nel 1981, hanno portato prima il Tribunale e poi la Corte a concludere, convergentemente, nel senso che la sanzione del licenziamento in tronco non era proporzionata.

La Banca propone tre motivi di ricorso.

Il R. si difende con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato una memoria.

Deve in primo luogo osservarsi che il controricorrente ha formulato, a conclusione dell’esame critico di ciascuno dei tre motivi di ricorso, eccezioni di inammissibilità per mancata formulazione del quesito di diritto imposti dal nuovo art. 366-bis cod. proc. civ..

Tali eccezioni sono infondate perchè l’art. 366-bis si applica ai ricorsi per cassazione che concernono provvedimenti pubblicati dal 2 marzo 2006. La sentenza della Corte d’Appello di Milano è stata pubblicata prima di tale data, il 17 gennaio 2006.

I motivi del ricorso sono peraltro infondati.

Il primo motivo è rubricato: “omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Violazione dell’art. 2119 cod. civ.”.

Richiamati i molteplici elementi su cui la Corte fonda il giudizio di non proporzionalità del licenziamento (mancata comunicazione alla filiale di (OMISSIS) diretta dal R. del messaggio swift;

inesistenza di un danno effettivo per l’azienda in data (OMISSIS), possibilità per l’azienda di evitare i danni; assenza di precedenti disciplinari nello stato di servizio del R.) la banca assume che l’iter argomentativo della Corte risulta “illogico, contraddittorio ed insufficientemente motivato”.

Questa censura è apodittica e indimostrata. Nella esposizione a sostegno di tale affermazione la ricorrente propone una diversa lettura delle deposizioni e in generale dei fatti accertati, ma non spiega quali sarebbero le contraddizioni logiche, mentre certo non può dirsi che la Corte non abbia motivato la sua decisione o lo abbia fatto in modo insufficiente.

Con il secondo motivo la banca denunzia “omissione” di motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, consistente nel qualificare meramente colposa la condotta del R.. Nel corso della esposizione si sostiene poi che anche a volerla qualificare colposa la condotta è comunque di tale gravità da giustificare il massimo provvedimento disciplinare e che il licenziamento in tronco o comunque per giustificato motivo oggettivo può essere inflitto anche per colpa grave. Infine si sostiene che nella fattispecie ricorre la figura della colpa cosciente e con previsione dell’evento.

A parte le oscillazioni e le contraddizioni interne della esposizione del motivo, in cui non è dato comprendere se la banca considera il comportamento del R. doloso o colposo, gravemente colposo o di colpa cosciente, ciò che è certo è che l’addebito di “omissione” di motivazione sul punto è infondato in quanto la Corte ha motivato in ordine al profilo psicologico del comportamento del R., qualificandolo espressamente colposo, ma ritenendo che essendo il risultato complessivo imputabile a più condotte concorrenti non tutte addebitabili al R. (e considerata l’assenza di procedimenti disciplinari in un rapporto iniziato nel 1981) dovessero escludersi gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo.

La Corte, invero, nel corso della motivazione, formula un’ annotazione di portata generale che non è fondata, laddove sostiene, in un inciso, che gli addebiti di natura colposa non integrano gli estremi del giustificato motivo oggettivo. Tale affermazione deve essere corretta ed espunta dall’iter argomentativo, che tuttavia tiene anche in seguito a tale elisione ed è comunque idoneo a fondare la decisione in ordine alla non proporzionalità del licenziamento.

Con l’ultimo motivo si denunzia violazione dell’art. 2119, cod. civ. per aver la Corte delineato una nozione erronea di giusta causa, dove ha ritenuto che a tal fine sia necessario un danno di apprezzabile entità a carico del datore di lavoro quale conseguenza dell’illecito disciplinare. In realtà, la Corte non ha affermato questo principio, perchè non ha considerato come indispensabile per la sussistenza della giusta causa la presenza di un danno di apprezzabile entità.

La valutazione fatta nella sentenza è ben più complessa ed articolata. Non considera l’elemento danno come elemento dirimente ai fini della decisione, ma considera una pluralità di elementi ed il loro interagire e perviene al giudizio negativo sulla proporzionalità in forza della valutazione integrata di tutti tali elementi.

In presenza di una motivazione articolata, completa e priva di contraddizioni, il giudizio sulla proporzionalità del licenziamento, secondo l’insegnamento costante di questa Corte, non può essere riformulato in sede di legittimità, essendo un accertamento di fatto riservato al giudice di merito (cfr. tra le ultime, anche per i richiami dei precedenti, Cass., 30 marzo 2010, n. 7645).

Il rigetto, oltre che del ricorso, anche delle eccezioni di inammissibilità, manifestamente infondate, sollevate in controricorso, impone di compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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