Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30688 del 25/11/2019

Cassazione civile sez. II, 25/11/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 25/11/2019), n.30688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25484/2015 proposto da:

P.Q., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI

126, presso lo studio dell’avvocato ROBERTA BORATTO, rappresentato e

difeso dall’avvocato CARLO USAI;

– ricorrente –

contro

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.

PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato MARIA ANTONIETTA

D’INTINO, rappresentato e difeso dall’avvocato PIERO GUIDALDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4476/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/07/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

RITENUTO

che la vicenda qui in esame può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– P.Q. convenne in giudizio M.M. chiedendo emettersi sentenza che facesse luogo del consenso mancante per la stipulazione di un contratto di compravendita di un immobile, avendo sottoscritto una proposta di acquisto immobiliare, la cui accettazione era venuta a conoscenza dell’attore proponente;

– il Giudice di primo grado, qualificata la proposta come “preliminare del preliminare”, dichiarò la nullità del negozio per mancanza di causa;

– la Corte d’appello di Roma, decidendo sull’impugnazione proposta dal P., esclusa la nullità dello strumento negoziale di cui detto, in applicazione del principio enunciato dalle S.U. con la sentenza n. 4628/2015, ne dichiarò, tuttavia, la nullità per indeterminatezza dell’oggetto, poichè sulla base delle risultanze della disposta CTU, non era possibile distinguere l’appartamento promesso in vendita da altro, sito nello stesso stabile, sempre di proprietà del promittente alienante e, inoltre, “nessuno degli appartamenti può essere ricondotto alla descrizione contenuta nella proposta irrevocabile”;

ritenuto che avverso la decisione d’appello ricorre P.Q. con quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria, e che M.M. resiste con controricorso;

ritenuto che con il primo, secondo e terzo motivo, tra loro connessi, il ricorrente denunzia violazione degli artt. 1362 e 1367 c.c., nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, assumendo, in sintesi, che:

– la sentenza era venuta meno al dovere di accertare l’effettiva volontà delle parti quanto alla individuazione del bene, anche attraverso elementi “acquisiti aliunde con riferimento ad altri atti o documenti collegati a quello oggetto di valutazione” (invoca la sentenza n. 25725/2014 di questa Corte); in tal senso andava valorizzato il contratto, che descriveva “nella sua entità materiale, nella sua composizione, nel numero dei vani abitativi (tre) nella destinazione (abitazione, garage, cortile, etc.)” il bene, nella non contestazione del convenuto, nei comportamenti ante causam, nel comportamento processuale del M.;

– la sentenza aveva violato l’art. 1367 c.c., per non avere operato per la conservazione degli effetti del contratto, giustificata dal tenore letterale del contratto;

– l’erronea pronuncia era da addebitarsi all’omesso esame di una pluralità di documenti, sottoposti al dibattito e decisivi, in quanto sulla scorta di essi l’oggetto del contratto risultava determinato;

– in correlazione con quest’ultima censura il ricorrente allega al ricorso i documenti numerati dall’1 al 10;

considerato che il motivo è inammissibile, valendo quanto segue:

a) preliminarmente deve essere dichiarata inammissibile la produzione documentale di cui sopra, poichè, non essendo stato specificato se e in quale sede processuale i predetti documenti siano stati prodotti, non è possibile (peraltro, sul punto vi è espressa eccezione della controparte) accertare in questa sede se e quali di essi non siano acquisibili, poichè offerti in violazione dell’art. 372, c.p.c.;

b) ciò premesso, i motivi esposti sono inammissibili per difetto di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza documentale, perorando le censure un’alternativa ricostruzione fattuale implicante la conoscenza di atti in questa sede non compulsabili;

c) inoltre, e decisivamente, deve rilevarsi essere già stato chiarito che la valutazione riguardante la specificità dell’oggetto forma oggetto di apprezzamento non sindacabile in sede di legittimità (Sez. 2, n. 16613, 20/6/2019; Cass. nn. 3925/2010, 12506/2007, 1165/2000).

Diritto

CONSIDERATO

peraltro, che, fermo restando che per la determinatezza dell’oggetto non è possibile ricorrere a una interpretazione, che svalutando nella sostanza l’elemento indefettibile della forma, si affida al comportamento delle parti, così incrinando inaccettabilmente l’obbligo del rispetto della forma solenne (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 22161, 20/10/2014), si è comunque preteso, anche nelle pronunce più attente alla salvezza della volontà negoziale, che dal documento risulti, anche attraverso il rimando ad elementi esterni ma idonei a consentirne l’identificazione in modo inequivoco, che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può altresì essere incompleta o mancare del tutto, purchè l’intervenuta convergenza delle volontà risulti, sia pure “aliunde” o “per relationem”, logicamente ricostruibile (Sez. 2, n. 11297, 10/5/2018); non si è mancato, poi, di sottolineare come “il contratto preliminare, per la sua validità, deve essere sufficientemente determinato in modo tale da consentire la pronuncia sostitutiva dell’obbligo di concludere il contratto, ex art. 2932 c.c. e, pertanto, deve essere già sufficientemente determinato il bene che dovrà essere trasferito o devono essere esattamente indicate le modalità di determinazione; infatti, se pure è corretto affermare che oggetto del preliminare è una obbligazione di facere, la indeterminatezza di tale obbligazione (derivata dalla indeterminatezza dell’oggetto del contratto definitivo e, per giunta, non funzionale alla esigenza di specificità commessa alla trascrivibilità della domanda e all’affidamento dei terzi) si risolve in un vizio della causa del preliminare, in quanto non suscettibile di quella esecuzione che ne costituisce la funzione”(Sez. 2, n. 13045, 10/06/2014);

considerato che il quarto motivo, con il quale il ricorrente prospetta violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., assumendo che la Corte d’appello non avrebbe potuto d’ufficio pronunciare la nullità del negozio, è privo di giuridico fondamento, dovendo, esattamente al contrario, della stessa il giudice, chiamato a dare effetto al negozio, conoscere d’ufficio (S.U., n. 21095, 4/11/2004);

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e che le stesse possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 13) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2019

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