Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30686 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 27/11/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 27/11/2018), n.30686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6863/2015 proposto da:

AIR ONE spa e COMPAGNIA AEREA ITALIANA spa (già ALITALIA COMPAGNIA

AEREA ITALIANA spa), in persona dei rispettivi legali rapp.ti pt,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio

degli Avvocati ROBERTO PESSI e MAURIZIO SANTORI, che le

rappresentano e difendono giusta procura speciale in atti;

– ricorrenti –

contro

A.S., elettivamente domiciliata presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione unitamente all’Avvocato NYRANNE MOSHI dal

quale è rappresentata e difesa giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 766/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

pubblicata il 9/09/2014; R.G.N. 1139/2012.

Fatto

RILEVATO

che, con la sentenza n. 766/2014, la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia n. 4860/2011 emessa dal Tribunale della stessa città con cui: a) era stata dichiarata la nullità del termine apposti ai contratti intercorsi tra A.S. e la EAS spa, cui erano succedute la Air One spa e la Alitalia CAI spa (a seguito dell’operazione di fusione per incorporazione di EAS spa in Air One spa e di scissione parziale di quest’ultima in Alitalia CAI spa); b) era stata accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 5.6.2004, con condanna di Alitalia CAI spa alla ricostruzione della carriera della lavoratrice e ad inquadrarla nel 5^ livello del CCNL di settore trascorsi 18 mesi dalla data di instaurazione del rapporto, nel 4^ livello decorsi 24 mesi e nel 3^ livello decorsi 36 mesi, sempre dall’assunzione; c) era stata disposta la condanna in solido di Air One spa e di Alitalia CAI spa (la prima fino alla cessione del rapporto di lavoro) a pagare gli scatti di anzianità maturati dalla dipendente; d) era stata respinta l’eccezione di risoluzione per mutuo consenso; e) analogamente era stata respinta l’eccezione di prescrizione formulata con riferimento all’art. 937 c.n.; f) era stata disattesa l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dalle due società in ragione delle operazioni di fusione e di scissione dalle quali era derivata la prosecuzione del rapporto di lavoro originariamente instaurato con EAS spa; g) era stato disposto il pagamento in solido tra le due società dell’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, quantificata in quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

che avverso la decisione di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione la Compagnia Aerea Italiana spa (già Alitalia Compagnia Aerea Italiana spa) e la Air One spa affidato a sette motivi;

che A.S. ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte.

che sono state depositate memorie nell’interesse delle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1372,1418,1419 e 2112 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere omesso la Corte di appello di esaminare e valutare correttamente il comportamento posto in essere dalla A., ai fini della dichiarazione di risoluzione per mutuo consenso dei contratti a tempo determinato intercorsi tra le parti, nonchè per avere omesso di valutare un fatto decisivo per il giudizio, consistente nel passaggio della lavoratrice, nel periodo successivo alla scadenza dell’ultimo contratto a tempo determinato impugnato, alle dipendenze della società Alitalia CAI spa; 2) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, art. 2697 c.c., art. 421 c.p.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essersi la Corte di merito, da un lato, soffermata solamente sul primo contratto a termine stipulato dalla lavoratrice con EAS spa, dichiarando erroneamente la nullità del termine e convertendo l’intero rapporto a tempo indeterminato e, dall’altro, per non avere ammesso le istanze istruttorie dedotte dalla società, senza peraltro attivare, in una situazione di incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, i poteri istruttori di ufficio non soggetti al verificarsi di preclusioni e decadenze, e per avere erroneamente applicato i principi in tema di ripartizione dell’onere della prova; 3) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1230,1231 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di appello, pur avendo riconosciuto un aliquid novi, nella stabilizzazione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, quando era vigente l’ultimo contratto a termine, erroneamente aveva poi escluso che si fosse verificata una novazione non sussistendo, nel caso di specie, un animus novandi ed una causa novandi rispetto alla nuova fonte contrattuale; 4) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte territoriale, applicando non correttamente il disposto normativo di cui al trasferimento di azienda, aveva condannato erroneamente le società Air One spa e Alitalia CAI spa (ora CAI spa) a rispondere di crediti asseritamente vantati dalla lavoratrice e che non erano ancora entrati a far parte del patrimonio di quest’ultima quando prestava ancora attività presso la EAS spa (la dedotta cessione del ramo di azienda era, infatti, avvenuta in data 11.11.2009), senza dichiarare, pertanto, il difetto di legittimazione passiva delle odierni ricorrenti; 5) la violazione e falsa applicazione della L. L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 4 e 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di merito, nel riconoscere l’indennità risarcitoria di cui al citato art. 32, avente natura onnicomprensiva, non poteva poi anche attribuire alla lavoratrice il diritto agli scatti di anzianità maturati e alla conseguente ricostruzione della carriera a far data dal primo contratto a termine ritenuto illegittimo; 6) la violazione e falsa applicazione dell’art. 342, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente ritenuto i giudici di secondo grado, in ordine al riconoscimento degli scatti di anzianità anche per i periodi non lavorati, che le società appellanti sul punto non avevano impugnato il capo della pronuncia di primo grado; 7) la violazione e falsa applicazione dell’art. 937 c.n., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la impugnata sentenza dichiarato la maturata prescrizione biennale dei diritti e dei crediti derivanti dai contratti a termine intercorsi tra le parti, sebbene la lavoratrice non avesse tempestivamente agito per la rivendicazione dei diritti entro il termine biennale dalla data di risoluzione dei relativi rapporti a termine;

che il primo motivo è infondato alla stregua dell’orientamento di legittimità (cfr. Cass. n. 29871/2017; Cass. n. 13660/2018; Cass. n. 13958/2018), cui si intende dare seguito, in virtù del quale in tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo svolgimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici ed adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente;

che, nel caso in esame, la Corte territoriale, con argomentazioni logiche e corrette giuridicamente, supportate da riscontri oggettivi e soggettivi, ha evidenziato come il protrarsi della inerzia imputabile alla dipendente non poteva interpretarsi quale sintomo di disinteresse e volontà abdicativa nei riguardi di un rapporto che non era cessato, bensì si trovava in pieno ed effettivo corso di svolgimento nella modalità a tempo indeterminato e che tale sopravvenuta assunzione rappresentava la più concreta ed univoca manifestazione del suo interesse a non risolvere il rapporto lavorativo;

che il secondo motivo è anche esso infondato in ordine a tutti i profili di censura formulati: è sufficiente osservare che, in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore ha imposto, con il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1,comma 2, l’onere di specificazione delle ragioni giustificatrici “di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo” del termine finale, il che comporta che le stesse debbano essere sufficientemente particolareggiate così da rendere possibile la conoscenza della loro effettiva portata e il relativo controllo di effettività (cfr. Cass. 27.1.2011 n. 1931), in linea con la direttiva comunitaria 1999/70/CE e dell’accordo quadro in essa trasfuso, come interpretata dalla Corte di Giustizia (sent. 23.4.2009, in causa C-378/07 ed altre; sent. 22.11.2005, in causa C-144/04);

che, nella specie, il giudice del gravame correttamente ha ritenuto non connotata da specificità, nei sensi voluti dal legislatore, la causale di cui al primo contratto (in sintesi, per incremento straordinario dei voli cagionato all’attività di start up della linea e al conseguente anomalo incremento dell’organico stabile) perchè nessuna indicazione era stata fornita in ordine all’entità dell’organico aziendale nel periodo di riferimento, nonchè al fabbisogno aggiuntivo di personale generato dall’incremento dei voli menzionati;

che la Corte territoriale ha, inoltre, rilevato la genericità e la non pertinenza della prova per testi come articolata, in ordine alle suddette circostanze, nonchè la irrilevanza delle prove documentali, mancando la dimostrazione del nesso causale fra l’aumento dei volumi di traffico e l’assunzione della lavoratrice a tempo determinato;

che la decisione sul punto non risulta scalfita dalle critiche formulate che si risolvono in un riesame del giudizio di valutazione delle prove non consentito in sede di legittimità (cfr. Cass. 16.12.2011 n. 27197; Cass. 18.3.2011 n. 6288);

che non rileva la censura prospettata con il richiamo alla violazione delle regole sul riparto dell’onere probatorio, atteso che, a fronte della deduzione della illegittimità del termine apposto al contratto, era onere della società provare la esigenza organizzativa dedotta, non dovendo tale circostanza essere oggetto di contestazione da parte della lavoratrice (cfr. Cass. 24.11.2014 n. 24954);

che un problema di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi nei termini indicati dalle ricorrenti, ma solo allorchè si alleghi che il giudice di merito: a) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposto di ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; b) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; c) abbia invertito gli oneri probatori, situazioni non rappresentate nei motivi anzidetti, con la conseguenza che le relative doglianze sono mal poste, rifluendo in critiche sul merito non sindacabile: ipotesi, queste, non ravvisabili nella fattispecie in esame; che, nel rito del lavoro, poi, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (cfr. Cass. 12.3.2009 n. 6023); in ogni caso, gli indicati poteri di ufficio non possono essere dilatati fino a richiedere che il giudice supplisca in ogni caso alle carenze allegatorie e probatorie delle parti, in assenza di una pista probatoria rilevabile dal materiale processuale acquisito agli atti di causa; al riguardo deve richiamarsi l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice (previsti nel rito del lavoro dall’art. 421 c.p.c.) anche in difetto di espressa motivazione sul punto, non è sindacabile in sede di legittimità se non si traduce in un vizio di illogicità della sentenza: e tale vizio non è desumibile nella gravata pronuncia;

che, in modo corretto, una volta rilevata la nullità del termine apposto al primo contratto, l’indagine non è stata estesa anche a quelli successivi;

che il terzo motivo è parimenti infondato. Questa Corte (cfr. Cass. 11.10.2012 n. 17328) ha affermato che, poichè la novazione oggettiva si configura come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche, di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l’animus novandi consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto; l’esistenza di tali specifici elementi deve essere in concreto verificata dal giudice del merito, con un accertamento di fatto che si sottrae al sindacato di legittimità solamente se è conforme alle disposizioni contenute nell’art. 1230 c.c., commi 1 e 2 e art. 1231 c.c. e se risulta congruamente motivato;

che, in concreto, i giudici di secondo grado hanno applicato correttamente tale principio, svolgendo la propria indagine sugli elementi sopra menzionati e con argomentazioni congrue hanno sottolineato le ragioni per le quali il venir meno del termine finale, fermo restando ogni altro aspetto del rapporto, non era sufficiente ad evidenziare la comune volontà novativa delle parti, nè la causa novandi che il quarto motivo non è meritevole di accoglimento: invero, deve rilevarsi che: a) nei casi di successione di contratti a termine stipulati in frode alla legge o in violazione dei limiti posti dalla legge, si opera una conversione dei diversi contratti in un unico rapporto a tempo indeterminato e, quindi, seppure per una fictio iuris, si deve ritenere l’esistenza di un unico rapporto lavorativo a tempo indeterminato (cfr. in motivazione Cass. n. 14827/2018; Cass. n. 14996/2012); b) ai fini della operatività della disciplina di cui all’art. 2112 c.c., con particolare riguardo alla solidarietà tra cedente e cessionario, occorre la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento di azienda (cfr. Cass. n. 7517/2010; Cass. n. 4598/2015);

che, pertanto, nel caso di specie si deve opinare che il rapporto lavorativo originariamente instauratosi con la EAS spa, poi fusa in AIR ONE spa, con la successiva scissione parziale in Alitalia CAI spa, non è stato mai interrotto e, conseguentemente, in modo corretto è stata ritenuta la legittimazione passiva di tali ultime due società a seguito dei trasferimenti intercorsi di cui si è fatto cenno;

che il sesto motivo, da trattarsi preliminarmente perchè pregiudiziale rispetto al quinto, del pari non può essere accolto: invero, correttamente la Corte di merito ha rilevato che, con riguardo al riconoscimento dell’anzianità maturata anche negli intervalli non lavorati tra un contratto a termine ed il successivo, non era stata svolta dalle società allora appellanti alcuna specifica doglianza. Infatti, come si evince dall’articolazione del motivo del ricorso per cassazione, la questione fu prospettata negli atti di appello con un generico richiamo a tutte le deduzioni, allegazioni, istanze, eccezioni e richieste avanzate nella memoria difensiva di primo grado. Rileva, però, il Collegio che, qualora le appellanti avessero voluto censurare in modo corretto le conclusioni sul punto della pronuncia di primo grado, avrebbero dovuto proporre un più specifico motivo di censura perchè, se è vero che la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione sulle questioni ex art. 346 c.p.c., è libera da forme, tuttavia la riproposizione deve essere fatta in modo specifico non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte e alle conclusioni prese davanti al primo giudice (cfr. Cass. 11.5.2009 n. 10796; Cass. 25.11.2010 n. 23925), come è, invece, avvenuto, nel caso in esame;

che il quinto motivo non è meritevole di pregio, in quanto la pronuncia di secondo grado è conforme ai principi di legittimità (Cass. 12.1.2015 n. 262; Cass. 2.7.2018 n. 17248) secondo cui, nel caso di illegittima reiterazione di contratti a tempo determinato con conversione in un unico rapporto a tempo indeterminato, l’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, è esaustiva del diritto al ristoro per gli intervalli non lavorati in quanto inclusiva di tutti i danni, retributivi e contributivi, subiti dal lavoratore, mentre per i periodi lavorati spetta anche, oltre alla retribuzione maturata, il riconoscimento della anzianità di servizio e, dunque, la maturazione degli scatti di anzianità;

che, pertanto, nella fattispecie, anche alla luce di quanto sottolineato in ordine al motivo sub 6) in ordine al giudicato interno formatosi sui periodi non lavorati, la gravata sentenza non è incorsa nelle denunziate violazioni di legge;

che il settimo motivo non può essere accolto, sebbene sul punto il capo della pronuncia impugnata debba essere integrato ex art. 384 c.p.c., u.c.: invero, nel caso in esame, è pacifico tra le parti che il rapporto di lavoro della A. non è cessato. Orbene, deve richiamarsi l’orientamento di legittimità, affermatosi con riguardo all’art. 373 c.n., in tema di navigazione marittima, il cui disposto per la parte che interessa – è sostanzialmente analogo a quello di cui all’art. 937 c.n., per la navigazione aerea richiamato dalle ricorrenti, secondo cui i diritti derivanti dal contratto di arruolamento in regime di continuità sono soggetti alla prescrizione biennale che inizia a decorrere dalla cessazione del rapporto, la quale non coincide con lo sbarco e si verifica nel momento e nel luogo in cui il marittimo riceve la comunicazione della cancellazione dal turno (equivalente alla comunicazione del licenziamento nella disciplina comune) o dalla reiscrizione in esso (cfr. Cass. 26.11.1999 n. 13224; Cass. 1.8.2014 n. 17534). Nell’ipotesi di più contratti a tempo determinato o a viaggio, poi, il termine decorre dalla cessazione o dalla risoluzione dell’ultimo contratto (Cass. 3.8.1991 n. 8524);

che tali principi vanno, altresì, integrati con quello in virtù del quale si è affermato, come sopra detto, che l’illegittimità di un termine di durata ad un contratto di lavoro subordinato importa di per sè la conversione di esso in contratto a tempo indeterminato e, quando più contratti di tale natura si siano succeduti tra le stesse parti, l’unificazione di essi in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

che deriva, pertanto, come conseguenza che, essendo il rapporto di lavoro – da considerarsi come un unico rapporto a tempo indeterminato fin dalla scadenza del primo contratto il cui termine è stato ritenuto illegittimo (in termini cfr. Cass. 21.5.2008 n. 12985) – ancora in essere, deve essere esclusa la decorrenza della prescrizione delle rivendicazioni economiche sino alla cessazione del rapporto stesso, non operando, peraltro, la disciplina comune in tema di stabilità reale attesa la specialità del rapporto di lavoro regolato dal codice della navigazione, come più volte riconosciuto dalla Corte Costituzionale (tra le altre, sent. n. 98/73 e n. 20/2007): e ciò in aggiunta alla corretta, ma parziale, argomentazione adottata dalla Corte di merito secondo cui le azioni tendenti alla declaratoria di nullità del termine, in quanto azioni di accertamento, sono imprescrittibili;

che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato;

che al rigetto segue la condanna delle ricorrenti, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, con distrazione;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore della controricorrente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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