Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30684 del 25/11/2019

Cassazione civile sez. II, 25/11/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 25/11/2019), n.30684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15905/2015 proposto da:

MISTO SNC, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 132, presso lo

studio dell’avvocato GIAMPIERO AGNESE, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ROBERTO PEA;

– ricorrente –

contro

G.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROBERTO SCOTT

62, presso lo studio dell’avvocato SANDRO CAMPAGNA, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARCO VENERUSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 932/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 09/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/05/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PEA Roberto, difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato VENERUSO Marco con sua delega orale l’Avvocato

CAMPAGNA Sandro, difensori del resistente che hanno chiesto

l’inammissibilità, in subordine, rigetto del ricorso, chiedono e

depositano le notifiche della documentazione allegata alla memoria

ex art. 378 c.p.c…

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 1722/2007 il Tribunale di Padova, all’esito della riunione dei procedimenti di cui in atti, decideva in ordine alle contrapposte domande delle odierne parti in causa.

Il Giudice di prime cure statuiva, in particolare, la legittimità del recesso da parte della società MI.STO. s.n.c. dal contratto preliminare di compravendita immobiliare in data 2.2.1989 stipulato da essa, quale promittente venditrice, in favore del promissario acquirente G.E..

Il medesimo Giudice affermava – per l’effetto – la legittimità del diritto di ritenzione della caparra a favore della stessa società, condannata – per il resto – alla restituzione in favore del convenuto degli ulteriori importi (assommanti ad Euro 51.645,69) da quest’ultimo versati.

Con la suddetta decisione il Tribunale di prima istanza riteneva insussistenti, per mancanza dell’offerta del pagamento del prezzo comprensiva degli interessi, le condizioni per accogliere l’esperita domanda ex art. 2932 c.c., azionata dal G..

Interposto, da parte del G. ed avverso la succitata decisione, gravame resistito dalla appellata società, l’adita Corte di Appello di Venezia riformava la sentenza di primo grado.

La Corte territoriale, con sentenza n. 85/2008, accoglieva la domanda del G. e disponeva il trasferimento in capo ad esso del fabbricato oggetto del negozio inter partes e sito in (OMISSIS), trasferimento sottoposto al pagamento del prezzo residuo di Euro 105.873,66, con condanna della società appellata alla refusione delle spese del doppio grado del giudizio.

Per la cassazione della sentenza della Corte distrettuale ricorre la MI.STO. s.n.c. con atto affidato ad otto motivi e resistito con controricorso dall’intimato.

Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memorie la società ricorrente e la parte controricorrente che, dando notizia del procedimento ex art. 373 c.p.c., instaurato con esito negativo dalla controparte, richiede la determinazione in proprio favore delle spese del medesimo procedimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 1454 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La censura svolta in relazione alla pretesa omessa o insufficiente motivazione è del tutto inammissibile.

La stessa censura, per di più prospettata con erroneo riferimento dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non tiene conto del nuovo testo dell’art. 350 c.p.c., n. 5, che esclude ogni possibilità di censura in ordine a pretesa carenze motive che non si traducano in una totale assenza di ragionamento decisorio di guisa da configurare effettivamente una motivazione inesistente (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053, nonchè Cass. n. 13928/2015).

Non è, in altre e più semplici parole, possibile più, alal stregua delle citate decisioni, in invocare meramente in sede di legittimità una mera revisione del ragionamento decisorio svolto, effettivamente e correttamente, dal Giudice del merito.

Quanto alla parte della censura di cui al motivo inerente il preteso vizio di violazione di legge (art. 1454 c.c.) deve osservarsi quanto segue.

La Corte di merito, sulla base della corretta ricostruzione dei fatti e del valore della lettera-diffida del 9.12.99 (da ultimo riallegata con l’odierno ricorso in esame) ha correttamente escluso la ricorrenza dell’effetto risolutivo del rapporto per effetto della predetta lettera.

In tema la Corte del merito ha applicato con la gravata il noto principio, già enunciato da questa Corte (Cass. n. 20742/2012), secondo cui non determina la risoluzione del contratto la diffida tesa meramente all’adempimento della prestazione non conforme al regolamento contrattuale essendo comunque necessario che vi sia una esatta corrispondenza fra la prestazione richiesta e quella dovuta dalla controparte in base al contratto.

L’articolato motivo qui in esame va, dunque, respinto nel suo complesso.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo non è ammissibile.

Tanto in quanto lo stesso “pur se formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (come novellato ex D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis), svolge, nella sostanza e secondo la stessa giurisprudenza innanzi citata, “una questione di valutazione in fatto….senza neppure la specifica indicazione del “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, del “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, del “come” e del “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e della sua “decisività”, così “riducendosi in una censura che presuppone come tuttora vigente, nel suo vecchio testo, l’art. 360 c.p.c., n. 5”.

In buona sostanza viene dedotta non la omessa valutazione di un fatto in senso ontologico, ma l’essenza stessa del decisum e, quindi, l’apprezzamento in fatto del giudice merito è elemento oggettivo del giudizio e non costituisce quel “fatto in senso ontologico” che è l’unico denunciabile ai sensi della suddetta norma processuale.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

3.- Con il terzo motivo la società ricorrenti lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione degli artt. 112-115 c.p.c., e art. 183 c.p.c., comma 6.

Il motivo (a parte l’errato riferimento al parametro normativo invocato ovvero al citato n. 4) tende in sostanza, alla rivalutazione nel merito della questione, in fatto, della “mancata consegna del progetto” per di più omettendo la precisa indicazione o trascrizione del presunto “fatto storico non oggetto non oggetto di contestazione” solo enunciato in ricorso a pag. 22.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione e falsa applicazione del principio “onus probandi incumbit ei qui dicit”, nonchè omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Con il motivo si persegue, attraverso la strumentale pretesa violazione del suddetto principio, una revisione del valutazione in base alla quale la Corte di merito ha motivatamente escluso che “il mancato perfezionamento dell’operazione potesse essere dipeso dalla condotta del G.”.

L’affermata esclusione è stata argomentatamente ritenuta dalla Corte territoriale sulla base di una serie i elementi specificamente indicati (dati emersi in istruttoria, pattuizioni negoziali in ordine alla consegna del progetto non adempiute “quantomeno fino alla data dell’8 dicembre 1999 dalla S.” con conseguente impossibilità di addossare al G. il mancato perfezionamento del contratto in relazione agli appuntamenti fissati innanzi al notaio l’8.11.1999 ed il 25.11.1999.

Il motivo è inammissibile.

5.- Il quinto motivo del ricorso è così rubricato: “art. 360, comma 1, n. 3, falsa applicazione dell’art. 2932 c.c.; art. 360, comma 1, n. 4, omessa motivazione su un punto decisivo della controversia”

Il motivo è del tutto inammissibile in quanto, ancora per il tramite del ricorso strumentale a pretese violazioni di legge, tende ad una rivalutazione, nel merito, degli elementi di fatto esaminati e considerati dalla sentenza gravata.

6.- Con il sesto motivo del ricorso si eccepisce la “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 99-101 e 112 c.p.c..

Il motivo si incentra, in sostanza, sulla questione degli interessi non dovuti stante sulle somme da versare a titolo di residuo prezzo.

L’impugnata sentenza ha correttamente ritenuto la non debenza di tali interessi stante il fatto che il ritardo nella formalizzazione del rogito innanzi al notaio indicato in quanto vi era stato il detto inadempimento a fornire il progetto approvato prima della stipula del rogito.

Il motivo va, dunque, respinto.

7.- Con il settimo motivo parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed “omessa violazione degli artt. 99-101 e 112 c.p.c.”.

Viene, in sostanza, dedotta la mancata pronuncia sulla domanda subordinata di inadempimento per fatto e colpa G..

Tuttavia tale pronuncia per detta domanda subordinata era implicita per effetto dell’accoglimento della domanda del G..

Il motivo va, pertanto, respinto.

8.- L’ottavo motivo del ricorso è così rubricato:

“violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, artt. 17, 18, 40, D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30 e 46 e art. 1932 c.c., ed omessa motivazione di un punto decisivo della controversia”.

Il motivo è relativo alla questione del certificato destinazione urbanistica e ad una pretesa omessa valutazione dello stesso da parte della Corte territoriale che “non ha dato conto di esistenza siffatta documentazione”.

Orbene, a prescindere dalla circostanza che anche parte ricorrente non ha dato conto del fatto di aver prima dedotto l’eventuale decisiva inesistenza della detta certificazione (nè ha indicato il parametro normativo processuale alla cui stregua si allega la pretesa violazione di norme di legge) va osservato quanto segue.

A prescindere dagli accennati profili di inammissibilità ed alla stregua di noti principi già enunciati da questa Corte (Cass. n.ri 16429 e 14579/2012 e 28416 e 2204/2013) la sanzione della nullità L. n. 47 del 1985, ex art. 40, trova applicazione per le vicende negoziali relative ai soli contratti con effetti traslativi e “non anche con riguardo a contratti (come quello per cui è controversia) con efficacia obbligatoria quale il preliminare di vendita” ed, in ogni caso, in ordine alle conseguenti a decisioni rese ai sensi dell’art. 2932 c.c..

Il motivo va, dunque, respinto.

9.- Il ricorso deve, pertanto e nel suo complesso, essere rigettato.

10.- Le spese seguono la soccombenza e, per l’effetto, si determinano così come da dispositivo.

11.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge, nonchè delle spese del procedimento di sospensione della esecutività della gravata sentenza liquidate in questa sede in complessivi Euro 1.000,00, oltre accessori.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2019

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