Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30682 del 25/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 25/11/2019), n.30682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17406/2015 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso

lo studio dell’Avvocato ANNA MARIA ROSSANA URSINO, dell’Area Legale

Territoriale Centro di Poste Italiane, che la rappresenta e difende,

anche con facoltà disgiunte, unitamente all’Avvocato STEFANO LEDDA

giusta delega in atti;

– ricorrente principale – controricorrente in ordine al ricorso

incidentale –

contro

D.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

GRACCHI 128, presso lo studio dell’Avvocato VALERIA BISCARDI,

rappresentata e difesa dall’Avvocato ETTORE TENTARELLI in virtù di

delega in atti;

– controricorrente ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 127/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 12/02/2015 R.G.N. 1271/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dal

Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Previo ricorso al Tribunale di Chieti Poste Italiane spa ne otteneva il decreto n. 142/2009, emesso il 27.2.2009, con il quale veniva ingiunto a D’.Ma. il pagamento della somma di Euro 58.457,46, oltre accessori, a titolo di restituzione dell’importo lordo erogato in esecuzione della sentenza n. 587/05 successivamente riformata dalla Corte di appello di L’Aquila.

2. A seguito di opposizione, il Tribunale di Chieti, con la pronuncia n. 489/2013, riduceva l’importo dovuto dalla D. limitatamente alla somma netta effettivamente percepita, ritenendo esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.

3. La Corte di appello di L’Aquila, con la sentenza n. 127/2015, rigettava il gravame principale proposto dalla società che quello incidentale formulato dalla D..

4. I giudici di seconde cure, per quello che interessa in questa sede, precisavano che: a) la possibilità di presentare l’istanza di rimborso D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38, era consentita sia al datore di lavoro che al lavoratore; b) la fattispecie era disciplinata dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in particolare nell’ipotesi “inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento”; c) ininfluente era il richiamo al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, che contemplava la disciplina dei termini e della loro decorrenza per presentare la domanda di restituzione in mancanza di disposizioni specifiche e non, quindi, dell’entità della somma da richiedere; d) non poteva trovare accoglimento l’appello incidentale della lavoratrice, che chiedeva una rimodulazione dell’importo da restituire sulla base della sentenza della Corte di L’Aquila del 6.11.2014, emessa a seguito di rinvio da parte della SCC, non essendo ancora passata in giudicato.

5. Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione Poste Italiane spa articolato su tre motivi.

6. Resisteva con controricorso D.M. presentando, altresì, ricorso incidentale sulla base di cinque motivi cui resisteva a sua volta con controricorso la società.

7. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso principale la società denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in ordine alla tassatività delle ipotesi previste deducendo, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, che: a) l’indebito arricchimento del dipendente andava quantificato comprendendo tutte le somme comunque erogate dal datore, comprese quelle da quest’ultimo trattenute per essere riversate all’Erario e, quindi, al lordo delle ritenute e non al netto di esse, tanto è che il dipendente ben avrebbe potuto scorporare le ritenute di acconto subite, in relazione al proprio reddito complessivo, con il sistema delle detrazioni ed eventualmente monetizzando il suo credito di imposta ottenendo un maggior arricchimento; b) il citato art. 38, non suscettibile di applicazione analogica, consente il rimborso solo per le ipotesi in cui il prelievo alla fonte è viziato esclusivamente sotto il profilo tributario per vizi inerenti alla debenza stessa delle imposte e non anche in conseguenza delle particolari vicende cui il reddito, al quale la ritenuta accede, è sottoposto: deve trattarsi, quindi, di un indebito tributario fin dall’origine non dovuto.

2. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione di norma di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 10, comma 1, lett. D bis, in ordine alla legittimazione della domanda di rimborso: si sostiene che tale disposizione prevede la possibilità di dedurre dal reddito complessivo del contribuente “…. le somme restituite al soggetto erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti…” e che la L. n. 147 del 2013, ha rafforzato il contenuto della norma precedente affermando che l’imposta da restituire può essere portato in deduzione sul reddito dei periodi di imposta successivi; in alternativa può chiedere il rimborso dell’imposta corrispondente all’importo non dedotto secondo le modalità definite con decreto del MEF; il combinato disposto delle norme, avvalorato da due Risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate (n. 110/05 e 71/08), per cui il diritto di ripetere quanto eventualmente pagato in eccesso spetta al debitore principale verso il Fisco (lavoratore) e non al sostituto (datore di lavoro) che si limita ad eseguire la ritenuta per il successivo versamento.

3. Con il terzo motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione dell’art. 38, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, lamentando l’assunto contenuto nella gravata sentenza, in quanto la ricorrente sostiene che la società non avrebbe potuto ricorrere, per ottenere il rimborso, al meccanismo previsto da tale disposizione trattandosi di norma il cui ambito applicativo è limitato alla sola decorrenza dei termini ed comunque di carattere residuale, trovando applicazione soltanto in mancanza di disposizioni specifiche.

4. Con il primo motivo del ricorso incidentale D.M. denuncia la violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 431,438 e 633 c.p.c., per avere erroneamente respinto la Corte territoriale la richiesta di rideterminazione dell’importo spettante a Poste Italiane spa sul presupposto che la sentenza di rinvio n. 919/2014 non era passata in giudicato, quando invece tale pronuncia, per effetto delle disposizioni di cui agli artt. 431,409 e 438 c.p.c., era provvisoriamente esecutiva di talchè residuava un suo credito di Euro 20.610,12, oltre accessori; evidenziava, altresì, che nelle more la suddetta pronuncia è comunque divenuta definitiva.

5. Con il secondo motivo si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituito dall’omessa considerazione e pronuncia, da parte della Corte territoriale, sul secondo motivo dell’appello incidentale concernente la condanna, ritenuta erronea, della D’. al pagamento della rivalutazione monetaria sulla sorta capitale da restituire a Poste Italiane spa, pur trattandosi di debito di valuta e pur non essendo stato dimostrato il maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2.

6. Con il terzo motivo la ricorrente si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituito dall’omessa considerazione e pronuncia, da parte della Corte territoriale, sul terzo motivo dell’appello incidentale concernente la decorrenza, ritenuta erronea, degli accessori sulla sorta capitale da restituire a Poste Italiane spa.

7. Con il quarto motivo si censura l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituito dalla omessa considerazione e pronuncia, da parte della Corte territoriale, sul quarto motivo di appello incidentale relativo alla condanna al pagamento della D. delle spese di giudizio di primo grado, ritenute ingiuste con riguardo alla sostanziosa riduzione della sorta capitale riconosciuta rispetto a quanto richiesto in sede monitoria.

8. Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, chiedendo che, in caso di accoglimento anche di uno dei precedenti motivi di ricorso, l’impugnata sentenza venisse cassata anche nella parte in cui era stato disposto il pagamento dell’importo pari al contributo unificato già versato in sede di proposizione dell’impugnazione.

9. Ritiene il Collegio che sia il ricorso principale che quello incidentale debbano essere rigettati.

10. I primi due motivi del ricorso principale, da trattarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono infondati.

11. La gravata sentenza è, infatti, sostanzialmente conforme all’orientamento di legittimità, cui si intende dare seguito, rappresentato dai precedenti non solo citati dagli stessi giudici del merito (Cass. n. 1464/2012), ma anche di recente nuovamente ribaditi da questa Corte (Cass. 25.7.2018 n. 19735; Cass. 20.5.2019 n. 13530; Cass. n. 990/2019 con le pronunce ivi richiamate).

12. E’ stato, infatti, specificato in modo chiaro che, in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto di ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, atteso che il caso del venire meno con effetto “ex tunc” dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto ricade nel raggio di applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, secondo il quale il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo.

13. E’ stato, poi, precisato che, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, come modificato dal D.Lgs. n. 143 del 2005, sono legittimati a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute, e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario, sia il soggetto che ha effettuato il versamento (cd. “sostituto di imposta”) sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. “sostituito”).

14. Questa Corte (Cass. n. 21699 del 2011) ha ben evidenziato, inoltre, che l’azione di restituzione riduzione in pristino, proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento, si collega ad una esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza, con riferimento a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti e, quindi, giuridicamente di un pagamento non dovuto.

15. Il principio affermato nella pronuncia di legittimità (Cass. n. 23886/2007), secondo cui il debitore principale verso il fisco è il percettore del reddito imponibile e non il sostituto che esegue la ritenuta ed il successivo versamento, onde è al medesimo debitore principale che compete il diritto di ripetere quanto eventualmente pagato in eccesso, riguarda i rapporti tra sostituto di imposta, sostituito e fisco (cfr. Cass. n. 239/2006) ma non afferma che al lavoratore sostituito possa essere richiesto quanto versato dal sostituto ad un terzo (amministrazione finanziaria).

16. In conclusione, pertanto, salvi i rapporti con il fisco e comunque quanto sopra evidenziato in ordine agli ambiti oggettivi e soggettivi di applicabilità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, il datore di lavoro può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo, restando esclusa la possibilità di chiedere la restituzione di somme al lordo delle ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.

17. La gravata sentenza è, quindi, immune dai vizi denunciati dalla società.

18. Il terzo motivo è inammissibile perchè non è pertinente alla ratio decidendi della gravata sentenza che ha proprio ritenuto ininfluente il richiamo al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, che disciplina i termini per proporre l’istanza di restituzione e la loro decorrenza, che era ipotesi diversa da quella oggetto del giudizio relativa alla entità della somma da richiedere all’accipiente e non, appunto, alla questione sulla decorrenza dei termini.

19. Il primo motivo del ricorso incidentale non è fondato.

20. La domanda di restituzione di somme pagate in base ad una sentenza poi annullata o riformata – sia essa esercitata anche in separato giudizio – collegandosi ad una esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla citata sentenza, prescinde (cfr. Cass. n. 2106/1993) dall’esistenza o meno del rapporto sostanziale (ancora oggetto di contesa) ed è autonoma rispetto al giudizio di rinvio conseguente alla cassazione medesima (Cass. n. 9229/2005; Cass. n. 15384/2003; Cass. n. 25355/2018).

21. Correttamente, quindi, i giudici di seconde cure hanno rilevato che l’assenza del requisito della definitività, della pronuncia emessa a seguito del giudizio di rinvio, fosse preclusiva ad una individuazione dell’importo effettivamente dovuto.

22. Nè tale operazione di compensazione può essere effettuata in questa sede, non essendo ammissibile, nel giudizio di cassazione, una pronuncia di restituzione delle somme, in base ad una sentenza cassata, neanche se la causa venga decisa nel merito ex art. 384 c.p.c. (cfr. Cass. n. 667/2016).

23. Il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso incidentale sono inammissibili per una duplice serie di ragioni.

24. In primo luogo, perchè gli asseriti vizi consistono in censure di “omessa pronuncia”, erroneamente denunciate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – e non in virtù del n. 4 della medesima disposizione normativa – e in essi non viene comunque eccepita la nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, ma si sostiene solo che la motivazione sia mancante o insufficiente (Cass. n. 17931/2013; Cass. n. 24553/2013).

25. In secondo luogo, le censure difettano di specificità perchè, nell’articolazione dei motivi, non è riportata puntualmente, negli esatti termini, l’indicazione specifica delle doglianze proposte in appello, al fine di valutarne l’apprezzabilità, la decisività, la ritualità e a tempestività (cfr. in termini Cass. n. 5344/2013; Cass. n. 16102/2016; Cass. n. 17049/2015).

26. Il quinto motivo del ricorso incidentale è parimenti inammissibile perchè con esso non viene denunciato uno dei vizi tipici previsti dall’art. 360 c.p.c., bensì si chiede, in ipotesi di accoglimento dei motivi sopra proposti, che venga cassata la sentenza anche nella parte in cui era stata disposta la condanna al pagamento del contributo unificato ai sensi della normativa citata.

27. Trattasi, infatti, di valutazione eventualmente da adottare dal giudice di rinvio quale conseguenza del riesame dell’impugnazione e non di statuizione da affermare in sede di legittimità.

28. Alla stregua di quanto esposto, sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati.

29. La soccombenza reciproca induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

30. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte sia della ricorrente principale che di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2019

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