Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30681 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 27/11/2018, (ud. 04/07/2018, dep. 27/11/2018), n.30681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21518-2014 proposto da:

I.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO STROZZIERI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

HAEMONETICS PRODUZIONE ITALIA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del

Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO

25/B, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GIAMMARIA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLO TAGLIAFERRI

GENTILESCHI, ANDREA MORDA’, GIUSEPPE BOLOGNA, giusta delega in atti;

PALL ITALIA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 1, presso lo

studio dell’avvocato ANDREA ZINCONE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARCELLO FLORIS, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 188/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 04/03/2014 R.G.N. 625/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2018 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per estinzione parziale verso

HAEMONETICS PRODUZIONE ITALIA SRL e rigetto nel resto;

udito l’Avvocato ANTONIO STROZZIERI;

udito l’Avvocato MARCELLO FLORIS;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega Avvocato FRANCESCO

GIAMMARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Con ricorso al Tribunale di Ancona I.G., già dipendente della Instrumentation Laboratory S.p.A cui poi era subentrata la Pali Italia s.r.l. (poi Haemonetics Produzione Italia s.r.l.), conveniva in giudizio la società per sentir accertare che la stessa era rimasta inadempiente agli obblighi assunti con l’accordo del 29/2/2000, richiamato nei successivi integrativi del 20/9/2001 e del 5/5/2003.

1.2. Secondo la prospettazione del ricorrente, l’accordo, stipulato in riferimento al trasferimento del ramo di azienda costituito dall’attività di produzione presso lo stabilimento di (OMISSIS), del quale la Pali Italia s.r.l. si era resa cessionaria dalla Instrumentation Laboratory S.p.A., aveva avuto ad oggetto l’attuazione di un piano industriale ed aveva previsto (tra gli altri) l’obbligo di procedere ad un numero minimo di nuove assunzioni e di aumentare la capacità produttiva aziendale, e, quale contropartita, per i nuovi assunti (con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di formazione e lavoro), un part-time obbligatorio al 90% (36 ore settimanali) per l’intero rapporto e una moratoria contrattuale comprendente il terzo elemento (195,32 Euro lordi mensili), il premio di produzione (Euro 14 al mese) e la 14ma (circa Euro 1.500,00 lordi) che non sarebbero stati pagati per tutto il periodo indicato nell’accordo.

Ad avviso del ricorrente l’inadempimento datoriale aveva nel complesso riguardato tutte le indicate previsioni di cui all’accordo e cioè sia l’aspetto dell’attuazione del piano industriale e dell’incremento produttivo sia l’aspetto delle nuove assunzioni.

Si chiedeva, pertanto, che fosse dichiarata la nullità di tali accordi in relazione alla moratoria salariale in danno del dipendente nonchè in relazione al diritto del lavoratore alla restituzione delle differenze retributive derivanti dalla riduzione dell’orario di lavoro al 90% ed a quello a svolgere il normale orario full time di 40 ore settimanali e per l’effetto ottenere la condanna della Pali Italia s.r.l. (in solido con Haemonetics s.r.l.) al pagamento di tutti gli emolumenti previsti negli accordi in questione quale prestazione e/o controprestazione per l’attuazione del piano di sviluppo e pertanto dall'(OMISSIS) e il riconoscimento del diritto all’orario di lavoro ordinario pari a 36 ore da considerarsi a tempo pieno con condanna al pagamento della relativa retribuzione con le maggiorazioni previste da contratto.

1.3. Il Tribunale accoglieva solo in parte la domanda condannando le società al pagamento dei rivendicati emolumenti retributivi in relazione alla moratoria salariale e ritenendo infondata la pretesa avente ad oggetto la conversione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno.

1.4. La decisione era riformata dalla Corte d’appello di Ancona che, accogliendo le impugnazioni principale e incidentale delle società e rigettando quella incidentale del lavoratore, respingeva in toto l’azionata domanda.

Riteneva la Corte territoriale che non potesse essere condivisa l’interpretazione del Tribunale circa il collegamento della moratoria salariale anche al preciso e puntuale rispetto (nelle tempistiche) dell’impegno programmatico volto all’incremento industriale ed occupazionale e che tale moratoria, alla luce di una interpretazione letterale e complessiva della clausola contrattuale di cui al primo accordo del 29 febbraio 2000, fosse sottoposta ad un’unica condizione vincolante e cioè al rispetto dell’impegno della conversione, in misura non inferiore al 90%, dei contratti a termine in rapporti a tempo indeterminato, obbligazione, questa, effettivamente ed ampiamente adempiuta dalla società.

Riteneva, pertanto, che non fossero dovuti gli emolumenti previsti in relazione a tale moratoria salariale.

Quanto, in particolare alla posizione dell’ I., già in forza alla cedente Instrumentation Laboratory S.p.A al tempo del trasferimento del ramo d’azienda, riteneva che la sua posizione di dipendente precario non rendesse la sua condizione dissimile da quella di un neo assunto atteso che l’obbligo per il cessionario di rispettare, a norma dell’art. 2112 c.c., il trattamento retributivo del dipendente ceduto fosse operativo solo fino alla scadenza del termine finale; pertanto escludeva che allo stesso fosse applicabile la contrattazione collettiva già in essere per gli ex dipendenti della Instrumentation Laboratory S.p.A. e che quindi non gli spettassero gli istituti di maggior favore (terzo elemento, 14ma mensilità) per tutto il periodo della moratoria. Eguale ragionamento svolgeva per la riduzione d’orario evidenziando anche che la natura ordinaria del nuovo orario di 36 ore non potesse essere condivisa neppure sotto il profilo dei compiti di responsabilità asseritamente svolti dall’ I., risultati non provati.

2. Contro la sentenza d’appello ricorre I.G. con quattro motivi.

3. Pall s.r.l. e Haemonetics Produzione Italia s.r.l. resistono con separati con controricorsi.

4. Successivamente è stato depositato atto di rinuncia al ricorso da parte di I.G. solo nei confronti di Haemonetics Produzione Italia s.r.l., rinuncia che è stata accettata da tale società.

5. La Pali Italia s.r.l. ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. (in relazione all’art. 360 c.c., nn. 3 e 4). Lamenta che la Corte territoriale abbia privilegiato un’interpretazione letterale dell’accordo del 29/2/2000, senza verificare l’intero contesto contrattuale. Rileva che se si fossero considerati gli artt. 8 e 2 medesimo accordo, ultimo paragrafo, si sarebbe desunto che interesse precipuo delle parti non era solo la trasformazione dei contratti a termine ma lo sviluppo del piano industriale della società e cioè l’investimento in opere ed impianti, nella specie non attuato. Sottolinea che significativa in tal senso era la circostanza che la Pall Italia s.r.l., anzichè riscontrare la disdetta sindacale del 7/3/2003 comunicando di aver adempiuto agli accordi sulla stessa gravanti aveva deciso di ricontrattare gli accordi del 2000 e del 2001 (giustificati dall’essere stata la stessa inadempiente alle ulteriori e più pregnanti obbligazioni assunte in precedenza).

1.2. Il motivo non è fondato.

In tema di interpretazione del contratto, questa Corte ha in più occasioni affermato che il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza o illogicità della motivazione, ma è limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr. Cass. 14 luglio 2016, n. 14355; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465).

Analogamente, si è detto che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (v. Cass. 4 marzo 2014, n. 5016; Cass. 18 novembre 2013, n. 25861; Cass. 5 luglio 2013, n. 16880; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539).

Nell’interpretazione del contratto, poi, il criterio letterale e quello del comportamento delle parti, anche successivo al contratto medesimo ex art. 1362 c.c., concorrono, in via paritaria, a definire la comune volontà dei contraenti. Ne consegue che il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non è, da solo, decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sè non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione ‘prima faciè chiara può non apparire più tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti (così Cass. 1 dicembre 2016, n. 24560; Cass. 9 febbraio 2007, n. 2901; Cass. 28 marzo 2006, n. 7083).

Nella specie, la Corte territoriale non si è affatto limitata ad una interpretazione letterale dell’accordo del 29 febbraio 2000, costituente, come si legge in sentenza, “la base degli impegni della Pall (ancorchè su tale accordo andranno ad innestarsi i successivi accordi aziendali)”, emergendo, al contrario, che dello stesso sia stata offerta anche una lettura sistematica alla luce delle ulteriori intese tra le parti.

Ai punti 8. e 9. della sentenza si dà conto, infatti, di una interpretazione sia letterale sia complessiva evidenziandosi, da un lato, il passaggio dell’accordo del 2000 in cui gli slittamenti nel riconoscimento della parte economica della vigente contrattazione integrativa erano stati vincolati al verificarsi della condizione della trasformazione a tempo indeterminato del 90% dei contratti in scadenza e valutandosi la natura obbligatoria della relativa pattuizione e, dall’altro, scindendo l’ulteriore aspetto più strettamente gestionale del medesimo accordo iniziale del 2000, oggetto anche degli accordi successivi, e considerando che dovesse essere tenuto fuori dall’intesa relativa alla sospensione di alcuni elementi della retribuzione tutto ciò che atteneva all’incremento produttivo riferito ad una ‘seconda fasè del piano industriale ed alla relativa implementazione con conseguente aumento occupazionale (in relazione alla quale si erano registrati i contrasti tra le parti sociali riguardanti essenzialmente la tempistica della realizzazione dell’investimento e della conseguente crescita del personale occupato e che avevano portato ad una prima disdetta del 7 marzo 2003, integralmente ritirata con l’accordo del 5 maggio 2003 fino alla definitiva disdetta del 10 maggio 2003).

In sostanza, ad avviso della Corte di merito, proprio sulla base del complessivo atteggiarsi dell’intenzione delle parti come emerso dal successivo comportamento delle stesse, l’aspetto gestionale e programmatico che afferiva a detta seconda fase non toccava in alcun modo l’obbligazione, pacificamente adempiuta dalla datrice di lavoro, della conversione dei contratti a termine, oggetto del primo momento di incontro (in sè compiuto) della volontà delle parti.

In particolare la Corte territoriale ha dato conto del fatto che la Pali Italia S.p.A. avesse manifestato l’intenzione di sviluppare un piano industriale suddiviso in più fasi, tuttavia ha posto lo slittamento nel riconoscimento della parte economica di cui alla contrattazione integrativa solo in rapporto al verificarsi della trasformazione a tempo indeterminato del 90% dei contratti in scadenza (si vedano specificamente i punti 8.5, 8.6, 9.2, 9.5 e 9.6 della sentenza).

La Corte di merito ha inoltre tenuto ben presente la sequenza degli accordi aziendali intervenuti ed il collegamento tra gli stessi.

Tanto si evince chiaramente dai punti 8.1, 8.1 e 8.3 ove si fa riferimento all’esatta definizione del contenuto obbligatorio della moratoria salariale di cui al primo accordo aziendale del 29 febbraio 2000, svincolata dal preciso e puntuale rispetto (anche nella tempistica) dell’impegno programmatico volto all’incremento occupazionale, impegno, quest’ultimo, mantenuto secondo la regola rebus sic stantibus e, in conseguenza dell’accordo interlocutorio del 5 maggio 2003, rimodulato (con superamento dei termini numerici iniziali) nel senso della saturazione delle linee produttive esistenti e l’indicazione dell’inserimento in azienda di nuove risorse per il completamento di altra linea produttiva.

A fronte di tali argomentazioni del tutto congrue e logiche oltre che rispettose dei criteri interpretativi sopra ricordati, le osservazioni critiche svolte in ricorso sono indirizzate, sostanzialmente, a sostenere un diverso risultato interpretativo degli accordi predetti, considerato preferibile a quello accolto nella sentenza censurata.

Una censura siffatta è, però, inammissibile alla stregua della funzione del giudizio di legittimità, limitata, per accordi del tipo in esame, al controllo della motivazione e alla verifica dell’impiego corretto dei canoni ermeneutici secondo le censure proposte dal ricorrente.

2.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1353,1354 e 1355 c.c. (in relazione all’art. 360 c.c., nn. 3 e 4). Lamenta che la Corte territoriale avrebbe supinamente ed acriticamente aderito alle argomentazioni di parte appellante omettendo qualunque motivazione sulle contrapposte eccezioni di parte appellante. Rileva che se l’unica condizione alla quale era sottoposta la moratoria salariale fosse stata quella della trasformazione dei rapporti essa sarebbe stata invalida perchè meramente potestativa e violativa degli artt. 1353,1354 e 1355 c.c., oltre che priva delle caratteristiche dell’accidentalità e della estrinsecità.

2.2. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed è comunque infondato.

Non si evince, infatti, quando ed in che termini la questione sia stata sottoposta ai giudici di merito il che porta a rilevare l’assoluta novità della prospettazione.

In ogni caso, come da questa Corte già affermato (v. Cass. 16 gennaio 2006, n. 728; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20290; Cass. 21 luglio 2000, n. 9587; Cass. 20 giugno 2000, n. 8390; Cass. 13 novembre 1989, n. 4785), la condizione meramente potestativa e la conseguente sanzione di nullità di cui all’art. 1355 c.c., non sussistono quando l’impegno che la parte si assume, non è rimesso al suo mero arbitrio ma è collegato ad un gioco di interessi e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche il proprio interesse, mentre la condizione potestativa invalidante il negozio è quella che dipende dal mero arbitrio del soggetto obbligato che ne tragga il vantaggio principale, così da presentarsi, alla stregua di un mero “si voluero”, come effettiva negazione di ogni vincolo con la conseguenza che essa deve escludersi quando l’evento dedotto dipenda anche dal concorso di fattori estrinseci che possono influire sulla determinazione della volontà pur se la relativa valutazione sia rimessa all’esclusivo apprezzamento dell’interessato funzionale ad un gioco di interessi e di convenienza.

Orbene, non vi è dubbio che, nel caso in esame, l’impegno che la Pall Italia s.r.l. aveva assunto (trasformare a tempo indeterminato un certo numero di contratti a termine) non era certo rimesso al suo mero arbitrio rappresentando piuttosto la risultante della valutazione ponderata di seri od apprezzabili motivi nel quadro di intese con le organizzazioni sindacali e si presentava, per l’azienda, come alternativa capace di soddisfare anche il proprio interesse.

Nè può revocarsi in dubbio la regolarità dell’apposta condizione sotto gli altri profili dedotti dal ricorrente essendo nella specie chiaramente riscontrabile la possibilità materiale e giuridica, da intendersi come assenza di un impedimento – di fatto o di diritto -, che renda certa l’impossibilità di avveramento dell’evento secondo un giudizio di ragionevolezza.

3.1. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1371 c.c.. Collegamento negoziale tra contratti (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4). Lamenta l’erronea considerazione da parte della Corte territoriale del collegamento tra l’accordo del 29/2/2000 ed i successivi del 20/9/2002 e del 5/5/2003 che avrebbero consentito di escludere che la comune intenzione delle parti fosse stata quella di condizionare l’accordo alla sola successiva trasformazione dei rapporti e che, invece, l’adempimento aveva ad oggetto la realizzazione del piano industriale come emerso anche dalla circostanza che le disdette erano state date perchè la ditta non aveva rispettato l’impegno di realizzare il piano industriale e ritirate a seguito dell’ulteriore impegno di attuarlo integralmente.

3.2. Il motivo è infondato per le stesse ragioni evidenziate al punto sub 1.2.

Quanto alla denunciata violazione degli artt. 1366 e 1371 c.c., va rilevato che, al di là dell’indicazione di tali norme nell’intestazione del motivo, il ricorrente non sviluppa censure idonee ad evidenziare che nella specie la Corte territoriale abbia disatteso, nell’interpretazione degli accordi in questione, i canoni della buona fede e dell’equo contemperamento degli interessi delle parti.

Peraltro, come da questa Corte più volte affermato si tratta di criteri che costituiscono regole ermeneutiche sussidiarie cui è consentito ricorrere solo quando non sia possibile individuare il senso delle clausole e la volontà effettiva delle parti alla stregua delle regole strettamente interpretative di cui agli artt. 1362 – 1365 c.c., prevedenti criteri esegetici necessariamente preferenziali (nella specie ritenute sufficienti a chiarire il senso e la portata delle pattuizioni).

4.1. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4). Lamenta la ritenuta esclusione dell’ipotesi alternativa di non applicabilità nei confronti dell’ I. della moratoria salariale. Evidenzia che l’interpretazione del contratto integrativo del 29/2/2000 come effettuata dalla Corte territoriale non ha tenuto conto dell’atto di assunzione del ricorrente avvenuto da parte della Pall Italia s.r.l. in data (OMISSIS) e del fatto che dal contenuto dello stesso si evinceva che l’assunzione era stata effettuata (direttamente a tempo indeterminato e non con contratto di formazione e lavoro) ai sensi del punto 3 dell’accordo e cioè in ragione del ruolo di responsabilità svolto dal dipendente.

4.2. Anche questo motivo è infondato.

Non corrisponde al vero che la Corte territoriale non abbia tenuto conto dell’atto di assunzione dell’ I. anzi della situazione di quest’ultimo è dato espresso conto ai punti 6.2 e 7.5 laddove è evidenziata l’irrilevanza ai fini della fondatezza della pretesa della risalente posizione dell’ I. di dipendente della Instrumentation Laboratory S.p.A. (con contratto a tempo determinato ed orario a tempo pieno di 40 ore settimanali fino a giugno 2000) per il fatto che, scaduto il termine del suo rapporto, la Pall Italia s.r.l. non era tenuta ad alcuna trasformazione per effetto della cessione. Nella specie la trasformazione del rapporto era avvenuta solo per effetto dell’obbligo assunto con l’accordo aziendale (precedente rispetto alla scadenza naturale del termine) e perciò restava ferma anche nei suoi confronti la moratoria salariale (e rispetto a questa vanno richiamate le ragioni già evidenziate al punto 1.2).

Del resto, a mente dell’art. 2112 c.c., comma 1, in caso di trasferimento d’azienda (o di ramo d’azienda), il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Dunque muta il titolare dell’azienda (o del ramo d’azienda) senza però che la modificazione soggettiva del datore di lavoro comporti alterazioni al rapporto di lavoro stesso che, pertanto, se è stato legittimamente stipulato a termine e tale termine non è scaduto al momento del trasferimento, resta a termine anche presso il cessionario.

Quanto, poi, al rilievo concernente l’ascrivibilità dell’avvenuta assunzione al punto 3 del citato accordo del 2000, si osserva che, con accertamento di merito incensurabile in questa sede, la Corte territoriale ha evidenziato che l’ I. non avesse mai svolto compiti di responsabilità così da fondare la pretesa relativa al trattamento economico integrale, senza applicazione della moratoria salariale.

Nè in questa sede il ricorrente legittimamente sostiene che occorresse ricavare una presunzione di svolgimento di compiti di responsabilità dal fatto che il contratto individuale non aveva previsto la trasformazione in contratto di formazione e lavoro.

Anche in questo caso, infatti, non si evince se la questione sia stata sottoposta ai giudici di merito evincendosi dalla sentenza impugnata che l’ I., in sede di appello incidentale, avesse solo posto il tema dello svolgimento sin dal contratto a tempo determinato di un ruolo di responsabilità e limitandosi il ricorrente a riprodurre il contenuto dell’atto di assunzione senza alcun riferimento alle deduzioni che riguardo ad esso (ed in particolare all’assunzione senza contratto di formazione e lavoro) sarebbero state svolte nelle pregresse fasi del giudizio.

Il rilievo, in ogni caso, involge aspetti attinenti alla discrezionalità del giudice di merito nel ricorso al ragionamento presuntivo.

5. Il ricorso proposto nei confronti della Pali Italia S.p.A. deve, pertanto, essere rigettato.

6. La regolamentazione delle spese tra il ricorrente e la Pall Italia S.p.A. segue la soccombenza.

7. Quanto alla posizione della Haemonetics Produzione Italia s.r.l., l’intervenuta rinuncia al ricorso comporta, ex art. 391 c.p.c., l’estinzione del processo, senza pronuncia sulle spese vista l’accettazione manifestata da parte controricorrente.

8. Va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara l’estinzione parziale del processo nei confronti della Haemonetics Produzione Italia s.r.l.; rigetta il ricorso nei confronti della Pall Italia s.r.l.; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Pali Italia s.r.l. delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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