Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30680 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 27/11/2018, (ud. 26/06/2018, dep. 27/11/2018), n.30680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9150/2017 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

SAN SATURNINO 5, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA NAPPI, che

la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GAVINANA 4,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE BARTOLAZZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato BIAGIO CAPACCHIONE giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 250/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 02/02/2017 R.G.N. 1273/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/06/2018 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione;

udito l’Avvocato NAPPI FRANCESCA;

udito l’Avvocato CAPACCHIONE BIAGIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 250 pubblicata il 2.2.17, in accoglimento del reclamo proposto dal sig. G.M. e in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato Poste Italiane s.p.a. alla reintegra del predetto nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegra, oltre accessori, nonchè al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

2. La Corte territoriale ha ritenuto dimostrate le violazioni della normativa antiriciclaggio e della circolare interna COI n. 250, addebitate al sig. G. quale Direttore dell’Ufficio Postale di (OMISSIS) e riferite al periodo da ottobre a novembre 2013.

3. Ha rilevato come i comportamenti posti a base della decisione di recesso fossero incontestabilmente riconducibili alla previsione di cui all’art. 54, comma 5, lett. c) del c.c.n.l. e non a quella di cui al comma 6, lett. c), del medesimo articolo, come erroneamente affermato nella sentenza di primo grado.

4. Ha esaminato la fattispecie descritta all’art. 54, comma 5, lett. c) del c.c.n.l., che prevede il licenziamento con preavviso nel caso di “irregolarità, trascuratezza o negligenza, ovvero per inosservanza di leggi o di regolamenti o degli obblighi di servizio dalle quali sia derivato pregiudizio alla sicurezza ed alla regolarità del servizio con gravi danni alla società o a terzi, o anche con gravi danni alle persone”.

5. Ha ritenuto non integrata la fattispecie suddetta sul rilievo che la società, benchè onerata, non avesse fornito prova dell’elemento costitutivo dei “gravi danni”, da intendersi come danni conseguenza, essendo irrilevante la dedotta (e non provata) esposizione a sanzioni per violazione della normativa antiriciclaggio e infondata la tesi di un danno in re ipsa all’immagine della società.

6. Ha affermato come la mancanza di un “danno grave” comportasse la insussistenza del fatto contestato, con la conseguente tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012.

7. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Poste Italiane s.p.a., articolato in sei motivi, cui ha resistito con controricorso il sig. G..

8. Poste Italiane s.p.a. ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di ricorso Poste Italiane s.p.a. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2007, artt. 11,56,57 e 58.

2. Ha sottolineato come la sentenza abbia omesso di considerare il dettato normativo cogente in materia di antiriciclaggio di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, che ha introdotto un articolato sistema sanzionatorio a carico di determinati soggetti, tra cui Poste Italiane s.p.a. quale intermediario finanziario.

3. Ha sostenuto come, per effetto del decreto legislativo citato, l’esposizione della società ricorrente alle sanzioni ivi previste costituisse conseguenza immediata e diretta delle violazioni addebitate al sig. G., quale Direttore dell’Ufficio Postale di (OMISSIS) e come tale elemento fosse idoneo ad integrare il “grave danno” richiesto dall’art. 54, comma 5, lett. c) del c.c.n.l..

4. Col secondo motivo la società ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 5, lett. c) del c.c.n.l. del 14.4.2011 e degli artt. 2043 e 2059 c.c..

5. Ha argomentato come i “gravi danni” richiesti ai fini dell’illecito disciplinare rientrassero nella categoria del danno-evento, inteso in senso naturalistico, come lesione, mediante la condotta illegittima, del bene giuridico tutelato dall’ordinamento, coincidente nel caso di specie con il diritto all’immagine e alla affidabilità aziendale. Difatti, l’esposizione alle sanzioni previste dal D.L.gs. n. 231 del 2007, vale a rappresentare la lesione dell’immagine di Poste Italiane s.p.a. e della sua affidabilità pubblica, quale intermediario finanziario.

6. Col terzo motivo di ricorso la società datoriale ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per inesistenza della motivazione in conseguenza dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

7. Ha sottolineato come la Corte territoriale abbia omesso di valutare gli elementi costitutivi del grave danno all’immagine della società dedotti e provati da quest’ultima nei propri scritti difensivi, in particolare alle pagine 4, 5, 9, 10, 15, 18, 22, 35, 37, 38, della memoria di costituzione nel giudizio di opposizione.

8. Ha evidenziato come il sig. G. non avesse mai contestato, nei propri scritti difensivi, l’esistenza del danno all’immagine subito da Poste Italiane s.p.a..

9. Ha elencato gli elementi dedotti dalla società e comprovanti il grave danno all’immagine subito: la commissione delle violazioni ad opera personalmente del Direttore dell’Ufficio Postale, la reiterazione delle violazioni e la rilevanza degli importi movimentati in contrasto con la normativa, sia aziendale e sia legale, in materia di antiriciclaggio ed ha rimarcato il carattere decisivo di tali elementi che, se valutati, avrebbero condotto ad un esito diverso della decisione.

10. Col quarto motivo di ricorso la società ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 3 e dell’art. 54, comma 4, lett. n) e comma 5, lett. c) del c.c.n.l. del 14.4.2011.

11. Ha sostenuto che, ove anche fosse corretta la statuizione della sentenza impugnata sulla inesistenza del grave danno e, quindi, sulla mancata integrazione del comma 5, lett. c) dell’art. 54 c.c.n.l., la Corte di merito avrebbe, comunque, dovuto concludere nel senso della non riconducibilità della condotta posta in essere dal G. ad ipotesi punite con sanzione conservativa.

12. Ha richiamato la previsione dell’art. 54, comma 4, lett. n) che commina la sanzione della sospensione fino a dieci giorni “in genere per qualsiasi negligenza o inosservanza di leggi o regolamenti o degli obblighi di servizio deliberatamente commesse, anche per procurare indebiti vantaggi a sè o a terzi, ancorchè l’effetto voluto non si sia verificato, e sempre che la mancanza non abbia carattere di particolare gravità altrimenti sanzionabile”.

13. Ha sottolineato come quest’ultima fattispecie si caratterizzi per la non particolare gravità della inosservanza di leggi, regolamenti o obblighi di servizio, laddove nel caso di specie dovesse essere rimarcata l’estrema gravità della violazione della normativa antiriciclaggio commessa dal G..

14. Ha aggiunto che la Corte di merito avrebbe dovuto valutare la condotta posta in essere dal G. alla luce di quanto disposto dall’art. 2118 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 3, rilevando la grave negazione degli elementi fondamentali del rapporto di lavoro e quindi l’idoneità della stessa ad integrare un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, non essendo il giudice vincolato alle previsioni sul punto del contratto collettivo.

15. Col quinto motivo la società ricorrente ha censurato la pronuncia emessa in sede di reclamo per violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 5, come modificato dalla L. n. 92 del 2012.

16. Ha sostenuto, richiamando il precedente di questa Corte n. 18418 del 2016, come l’applicabilità del citato art. 18, comma 4, fosse consentita in ipotesi di inesistenza del fatto contestato oppure di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, laddove, nel caso di specie, la condotta del sig. G. era certamente illecita e rilevante disciplinarmente (oltre che non riconducibile a quelle punite con sanzione conservativa), con conseguente applicabilità al più del comma 5, dell’art. 18.

17. Col sesto motivo di ricorso Poste Italiane s.p.a. ha dedotto violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, per non avere la Corte di merito, comunque, tenuto conto del limite delle dodici mensilità posto dal citato comma 4 all’ammontare dell’indennità risarcitoria.

18. Per ragioni di priorità logica, si esamina prima il quarto motivo di ricorso, con cui la società ha denunciato, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 3.

19. Costituisce principio più volte enunciato da questa Corte quello secondo cui la giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo soggettivo, è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo; l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento, con apprezzamento di fatto del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (cfr. Cass. n. 14321 del 2017; Cass. n. 11027 del 2017; Cass. n. 7511 del 2017; Cass. n. 25380 del 2014, in motivazione; Cass. n. 4060 del 2011; Cass. n. 5372 del 2004).

20. D’altra parte, il giudice può escludere che il comportamento del lavoratore costituisca una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo di recesso, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato e in base alla valutazione di compatibilità con l’inderogabile principio di proporzionalità sancito dall’art. 2106 c.c. e con il modello legale di cui all’art. 2119 c.c. ed alla L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3. Data l’inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, il giudice deve sempre verificare se la previsione del contratto collettivo sia conforme alle nozioni di giusta causa e giustificato motivo e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell’elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore (Cass. n. 6498 del 2012; Cass. n. 16260 del 2004; Cass. n. 5103 del 1998).

21. Si è affermato come la scala valoriale recepita dai contratti collettivi, che esprime le valutazioni delle parti sociali in ordine alla gravità di determinati comportamenti, costituisca solo uno dei parametri a cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto le clausole generali di giusta causa e giustificato motivo soggettivo (Cass. Ord. n. 9396 del 2018; Cass. n. 2906 del 2005), senza che queste ultime possano coincidere completamente ed esaurirsi nelle previsioni della contrattazione collettiva, ciò in coerenza peraltro col disposto della L. n. 183 del 2010, art. 30, comma 3, secondo cui il giudice, nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, “tiene conto” delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi…”.

22. Da tali premesse discende che il catalogo contrattuale delle giuste cause o dei giustificati motivi può, a seconda dei casi, essere esteso oltre le ipotesi esemplificative del c.c.n.l. (se si tratta di condotte comunque rispondenti al modello legale di giusta causa o giustificato motivo) oppure essere ridotto (se tra le esemplificazioni contrattuali ve ne sono talune non rispondenti a tale modello legale, risultando in tal caso la relativa clausola nulla per violazione di norma imperativa di legge).

23. L’unico limite è rappresentato dal fatto che il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione (Cass. n. 19053 del 2005). Il che significa che condotte pur astrattamente ed eventualmente suscettibili di integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo ai sensi di legge, non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative (cfr., Cass. n. 9223 del 2015; Cass. n. 13353 del 2011; Cass. n. 1173 del 1996; Cass. n. 19053 del 1995).

24. Nel caso di specie, la Corte di merito ha accertato in fatto, richiamando le prove testimoniali assunte e la consulenza tecnica svolta in primo grado, la sussistenza delle violazioni commesse dal sig. G. nello svolgimento delle funzioni di Direttore dell’Ufficio Postale di (OMISSIS) così come contestate, vale a dire l’avere consentito plurime operazioni di prelievo di denaro contante per somme notevolmente superiori al limite dei 20.000,00 Euro, senza svolgere gli adempimenti richiesti dalla normativa, legale e aziendale, a fini di antiriciclaggio. La Corte territoriale ha infatti ritenuto non dimostrato e non integrato unicamente il requisito del grave danno richiesto dalla fattispecie astratta di cui all’art. 54, comma 5, lett. c) del c.c.n.l..

25. Le condotte addebitate al G. con la lettera di contestazione, e dal medesimo ammesse nel corso della verifica ispettiva, erano consistite nell’avere consentito, nel periodo ottobre-novembre 2013, plurime operazioni di prelievo di denaro contante (per somme pari ad Euro 1.832.490,68) e di pagamento di vaglia circolari (per somme pari ad Euro 1.334.090,00), in violazione della disposizione di servizio (COI n. 250 del 6.6.2013) che imponeva la preventiva richiesta di autorizzazione al TSC Antiriciclaggio in caso di prelievi in contanti di importi maggiori o uguali ad Euro 20.000,00, considerando tutte le tipologie di operazione complessivamente effettuate dal singole cliente, e senza effettuare la segnalazione di operazioni sospette ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2007.

26. Nella lettera di contestazione, trascritta nel ricorso in esame, la società aveva sottolineato come la condotta costituisse “chiara violazione del Codice etico in vigore in Azienda che impone a ciascun dipendente di improntare il proprio comportamento… ai principi di onestà, correttezza e trasparenza ed assume particolare rilievo anche in relazione al servizio di pubblica rilevanza svolto dalla società”; che tale condotta del G. avesse “pregiudicato oltre alla regolarità del servizio anche l’immagine della Società Poste Italiane” e rivestisse “particolare gravità in considerazione della sua funzione in azienda e della connessa spiccata rilevanza che l’elemento fiduciario assume”. La società aveva ripetuto come “i fatti di cui sopra di particolare gravità… costituiscono aperta violazione degli obblighi e dei doveri su di lei gravanti ai sensi e per gli effetti degli artt. 2104 e 2105 c.c. (per mero errore nel ricorso sono indicati gli artt. 2014 e 2015 c.c.) come espressamente richiamati dall’art. 52 del c.c.n.l. del 14.4.2011”.

27. Il licenziamento, sempre secondo quanto riportato nel ricorso in esame, è stato intimato al sig. G. con lettera del 7.5.2014, con preavviso, ai sensi dell’art. 54, comma 5, lett. c) e art. 80, lett. e) del c.c.n.l..

28. La Corte d’appello ha valutato la condotta, come contestata ed accertata nei confronti del sig. G., avendo unicamente in mente la fattispecie astratta descritta dall’art. 54, comma 5, lett. c) del c.c.n.l., senza in alcun modo verificare se quella condotta concreta, pur non corrispondente esattamente alla previsione del contratto collettivo, integrasse comunque un giustificato motivo soggettivo di licenziamento.

29. La motivazione della sentenza non reca alcun passaggio che possa essere interpretato come significativo di una valutazione del fatto compiuta dalla Corte di merito anche rispetto alla nozione legale di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 3,quasi che il Collegio abbia considerato la fattispecie descritta dal contratto collettivo come esaustiva, e non esemplificativa, ai fini della valutazione sulla legittimità o meno della decisione di recesso.

30. La Corte di merito ha del tutto omesso di valutare se la violazione accertata, per le caratteristiche oggettive (di enorme e ripetuto sforamento dei limiti di movimentazione del denaro contante e delle disposizioni antiriciclaggio) e soggettive (di negligenza così grave da rasentare il dolo, anche in relazione al ruolo del sig. G. di Direttore dell’Ufficio Postale, incaricato tra l’altro di vigilare sul rispetto delle norme e degli ordini di servizio da parte dei sottoposti), integrasse un “notevole inadempimento degli obblighi del prestatore di lavoro”, anche in base al grado di negazione dei doveri di fedeltà e diligenza e delle regole poste dal Codice Etico, e si è invece fermata al rilievo del difetto di prova di uno degli elementi costitutivi della fattispecie contrattuale rappresentato dai “gravi danni” derivati dalla violazione di leggi, regolamenti o obblighi di servizio.

31. In tal modo la Corte d’appello non si è conformata ai principi di diritto sopra richiamati che attribuiscono alla elencazione di giusta causa e giustificato motivo soggettivo ad opera dei contratti collettivi un ruolo solo esemplificativo della gravità della condotta ai fini della proporzionalità della sanzione espulsiva ma che non delimitano e non esauriscono la nozione legale di cui all’art. 2119 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 3, la cui interpretazione ed applicazione compete al giudice di merito.

32. E’ vero che l’art. 54, comma 5, lett. c) del c.c.n.l. denota come le parti sociali abbiano individuato come meritevoli della sanzione espulsiva, del licenziamento con preavviso, le condotte consistenti in “irregolarità trascuratezza, negligenza… inosservanza di leggi, regolamenti o degli ordini di servizio” che abbiano provocato conseguenze dannose (“pregiudizio alla sicurezza e regolarità del servizio con gravi danni alla società o a terzi, o anche gravi danni alle persone”). Tale esemplificazione, tuttavia, non preclude che un notevole inadempimento rilevante ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3, possa ravvisarsi, al di fuori della elencazione di cui al contratto collettivo, ove la condotta concretamente posta in essere realizzi una gravissima e ingiustificata negazione del rispetto di leggi, regolamenti e ordini di servizio e dei doveri di diligenza, di fedeltà e di etica.

33. Nel caso di specie non ricorre la preclusione, pure individuata dalla giurisprudenza sopra richiamata, dell’essere la condotta contestata ed accertata riconducibile a quelle punite con sanzione conservativa.

34. Tali rilievi portano a ritenere fondato il quarto motivo di ricorso quanto alla violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3,sub specie di mancata applicazione di tale disposizione da parte della Corte di merito nella valutazione sulla legittimità o meno del licenziamento.

35. Risultano assorbiti il primo ed il secondo motivo di ricorso, relativi alla violazione della normativa antiriciclaggio e al danno all’immagine della società, suscettibili di valutazione da parte del giudice di rinvio ai fini della nozione legale di giustificato motivo soggettivo.

36. Anche il quinto e sesto motivo di ricorso risultano assorbiti poichè presuppongono una declaratoria di illegittimità del licenziamento.

37. Il terzo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non si conforma allo schema legale del nuovo vizio motivazionale, come delineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014), ed applicabile ratione temporis nel procedimento in oggetto (sentenza di reclamo emessa nel 2017), e non può quindi trovare accoglimento.

38. Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite, e dalle successive pronunce conformi (cfr. Cass., 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016), l’omesso esame deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo. Non solo quindi la censura non può investire argomenti o profili giuridici, ma il riferimento al fatto secondario non implica che possa denunciarsi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche l’omesso esame di determinati elementi probatori.

39. Il motivo in oggetto denuncia quale vizio motivazionale l’omesso esame degli elementi significativi del danno all’immagine della società, come la violazione ripetuta della normativa aziendale e nazionale antiriciclaggio, l’entità elevata degli importi in contanti movimentati in soli due mesi. Si tratta, all’evidenza, non di fatti storici intesi in senso fenomenico bensì di elementi probatori che, peraltro, la Corte di merito ha espressamente analizzato e valutato.

40. Per le considerazioni svolte, risulta fondato il quarto motivo di ricorso; deve essere respinto il terzo motivo e devono dichiararsi assorbiti i residui motivi.

41. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, che dovrà compiere un nuovo esame della fattispecie conformandosi ai principi di diritto sopra enunciati, e provvedere altresì sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, respinge il terzo e dichiara assorbiti i residui motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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