Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30676 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 27/11/2018, (ud. 12/06/2018, dep. 27/11/2018), n.30676

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4908-2017 proposto da:

RADIO DIMENSIONE SUONO S.P.A, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO

BERTOLONI 1/E PALAZ. G, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

RIZZO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BRUNO DEL VECCHIO, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5855/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/12/2016, R.G.N. 995/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/06/2018 dal Consigliere Dott. MARGHERITA MARIA LEONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CLAUDIO RIZZO;

udito l’AvvocatoBRUNO DEL VECCHIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Roma con la sentenza n. 5855/2016 aveva accolto il reclamo proposto da R.A. avverso la sentenza con la quale il tribunale di Roma, in sede di procedimento ex lege n. 92 del 2012, aveva rigettato la domanda della R. diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento a lei intimato da Radio Dimensione Suono spa; accogliendo il reclamo la corte aveva condannato quest’ultima a reintegrare la dipendente ed a pagare una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità.

La corte romana aveva ritenuto che le contestazioni mosse alla R., sostanzialmente consistenti nell’aver impropriamente utilizzato i permessi a lei concessi per ragioni di assistenza alla madre disabile e nell’aver usufruito di congedo per malattia risultata fittizia, fossero infondate in quanto le circostanze di fatto non erano risultate idonee a sostenere l’addebito dovendosi annettere al concetto di “assistenza” un significato più ampio rispetto alla semplice e materiale accudienza del soggetto disabile e dovendosi altresì escludere valenza alla circostanza che la lavoratrice fosse uscita di casa nel giorno in cui era stata sottoposta ad un intervento chirurgico e fosse quindi in congedo per malattia, attesa la mancata prova della incompatibilità della uscita con la infermità dedotta.

Radio Dimensione Suono spa proponeva ricorso avverso detta decisione affidandolo a 11 motivi, cui resisteva con controricorso la R., anche depositando successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, della L. n. 183 del 2010, art. 24, comma 2, lett. b) e della L. n. 53 del 2000, art. 4.

Si duole la società dell’errore in cui è incorsa la corte territoriale nel ritenere eliminato il requisito della convivenza in quanto l’eliminazione avrebbe riguardato materia differente (permessi ex lege n. 104 del 1992 per genitori di figlio con handicap).

Il motivo risulta inconferente in quanto, pur avendo la corte richiamato normativa non direttamente afferente alla fattispecie in esame, ha peraltro correttamente individuato nella L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 3 la regola giuridica cui riferirsi per valutare i diritti della lavoratrice e le condizioni cui gli stessi sono legati. Ha infatti valutato, alla luce della suddetta normativa, la esistenza delle condizioni di assistenza cui assoggettare il riconoscimento del diritto vantato.

2)Con il secondo motivo è dedotta la nullità della sentenza (ex art. 360 c.p.c., n. 4) per omessa pronuncia sulla eccezione di giudicato inerente la carenza di attività assistenziale dalle ore 21 alle 24 del 12.9.2014. Rileva la società che la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi sulla eccezione svolta in sede di reclamo sulla circostanza accertata dal tribunale.

Se pur il motivo possa ritenersi ammissibile, essendo privo del riferimento al contenuto esatto della eccezione sollevata (non è sufficiente il mero richiamo alle pagine della memoria), lo stesso sarebbe comunque infondato, in quanto la Corte territoriale ha chiarito, basando su questo la decisione, che la lavoratrice nelle giornate oggetto della contestazione aveva comunque dedicato il proprio tempo ad attività riconducibili in senso lato al concetto di assistenza, non potendo essere, quest’ultimo, interpretato in modo restrittivo limitatamente alla sola attività di accudimento. L’eccezione di giudicato ed il motivo inerente risulta quindi ininfluente rispetto al decisum.

3)- Con il terzo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) quali l’art. 2697,2729 e 2730 c.c.artt. 112,115,116, e 230 c.p.c. in materia di valutazione delle prove.

Il motivo è diretto a censurare la valutazione del materiale probatorio esaminato dalla corte. Come già in molte occasioni affermato “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass.n. 16056/2016). Il motivo risulta inammissibile.

4)- Con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) per la violazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, commi 4 e 5, non avendo, la corte fatto riferimento al concetto di fatto materiale quale elemento integratore della fattispecie da considerare ai fini del licenziamento. In conseguenza di ciò, se pur ritenuto illegittimo il licenziamento, avrebbe dovuto comunque ritenere sussistenti i fatti materiali (anche se privi di rilievo giuridico) e quindi applicare le tutele di cui all’art. 18, comma 5 richiamato.

Questa corte ha avuto occasione di chiarire che “L’insussistenza del fatto contestato”, di cui all’art. 18, comma 4 St.lav., come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, lett. b), fattispecie cui si applica la tutela reintegratoria cd. attenuata, comprende sia l’ipotesi del fatto materiale che si riveli insussistente, sia quella del fatto che, pur esistente, non presenti profili di illiceità. (Cass. n. 29062/2017; conf. Cass. n. 13383/2017; Cass.n. 12102/2018; Cass.n. 14192/2018). Il motivo è da rigettare.

5) Con il 5, 6 e 7^ motivo la società denuncia il vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., n. 5) per aver la corte omesso l’esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, quale la mancata assistenza alla madre nei tre giorni in contestazione.

I motivi risultano inconferenti in quanto, come sopra già evidenziato, il decisum della corte è centrato sulla circostanza che la lavoratrice nelle giornate oggetto della contestazione aveva comunque dedicato il proprio tempo ad attività riconducibili in senso lato al concetto di assistenza, non potendo essere, questo, interpretato in senso restrittivo limitatamente alla sola attività di accudimento. Alcun rilievo assumono quindi le censure di mancata assistenza peraltro veicolate in modo improprio attraverso il vizio denunciato rispetto al quale non si evidenzia alcuna decisività.

6) Con l’ottavo motivo la società denuncia il vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., n. 5) per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, consistito nella elezione fittizia residenza finalizzata al godimento dei congedi straordinari.

Val la pena premettere che non risulta chiaro, non essendo stata riportata la contestazione originaria nel corpo del ricorso, se tale circostanza sia interna alla vicenda addebitata. Peraltro, il motivo contiene una serie di deduzioni ed elementi di fatto attinenti al giudizio di merito che non possono formare oggetto del giudizio di legittimità. Il motivo è inammissibile.

7) Con il nono motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) quali gli artt. 2697,2729 e 2730 c.c. degli artt. 112,115,116 e 230 c.p.c., in materia di valutazione delle prove ed attendibilità dei testi.

Come già sopra rilevato in relazione al terzo motivo “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass.n. 16056/2016). Anche tale motivo risulta inammissibile.

8) Con il decimo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) quali gli artt. 2697,2729 e 2730 c.c. degli artt. 112,115,116 e 230 c.p.c., in relazione al giorno della malattia. Violazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18.

La società lamenta la errata valutazione della insussistenza del fatto legato alla circostanza che la lavoratrice fosse uscita nel giorno di congedo per malattia (e ciò anche con riferimento alla tutela riconosciuta L. 20 maggio 1970, n. 300, ex art. 18, comma 4 (e non 5)).

Il motivo è inammissibile con riguardo alla valutazione della compatibilità della malattia con la uscita di casa, già esaminata dal giudice del merito ed estranea alla valutazione del giudice di legittimità.

Deve poi essere richiamato quanto detto con riferimento al 4^ motivo ed alla natura del fatto contestato: “L’insussistenza del fatto contestato”, di cui all’art. 18, comma 4 st.lav., come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1,comma 42, lett. b), fattispecie cui si applica la tutela reintegratoria cd. attenuata, comprende sia l’ipotesi del fatto materiale che si riveli insussistente, sia quella del fatto che, pur esistente, non presenti profili di illiceità.

Il motivo è infondato.

9) Con l’ultimo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) quali la L. n. 104 del 1992, art. 3, L. n. 53 del 2000, art. 4 e D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42.

Con tale motivo la società contesta l’interpretazione data dalla corte territoriale alla natura delle cure ed assistenza necessarie ad integrare il diritto di fruire dei permessi a ciò diretti.

La Corte territoriale ha valutato in concreto la riferibilità delle attività svolte dalla lavoratrice, come accertate nel giudizio, alla cure ed assistenza della madre disabile anche considerando ed escludendo l’utilizzo dei permessi e congedi “in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza”. Ha pertanto tenuto presenti i criteri interpretativi del concetto di assistenza come integrato dagli orientamenti del giudice di legittimità (Cass. n. 29062/2017). Ogni differente valutazione atterrebbe al merito del giudizio non consentita in sede di legittimità.

Il ricorso deve essere rigetatto.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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