Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30676 del 25/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 25/11/2019), n.30676

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9580/2014 proposto

O.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA FORTINI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8134/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/10/2013 R.G.N. 79/2011.

Fatto

RITENUTO

che:

1. la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello proposto da O.O. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato l’impugnativa proposta dalla medesima, dipendente del Ministero degli Affari Esteri, avverso la sanzione disciplinare di dieci giorni di sospensione dal servizio, irrogata per la tardiva risposta a richieste di chiarimenti sulle spese sostenute dall’Istituto Italiano di Cultura di Monaco di Baviera di cui la stessa era direttore, nonchè nei riguardi del provvedimento di richiamo dal predetto Istituto alla sede ministeriale di (OMISSIS), successivamente adottato;

la Corte in via preliminare ha disatteso la censura della O. rispetto al fatto che il procedimento fosse da considerare illegittimo – perchè non era stato garantita d’ufficio la presenza di un difensore o di un rappresentante sindacale, sottolineando come l’assistenza in tal senso fosse meramente eventuale e non dovesse essere la P.A. ad assicurarla;

nel merito la sentenza di appello riteneva che gli elementi istruttori disponibili consentissero di affermare che sia la sanzione disciplinare, sia il provvedimento di richiamo fossero del tutto giustificati;

2. la O. ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a nove motivi, poi illustrati anche da memoria, cui il Ministero degli Affari Esteri ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. i primi quattro motivi di ricorso sono dedicati alla sanzione disciplinare della sospensione per dieci giorni irrogata dal Ministero alla O.;

1.1 con il primo di tali motivi la sentenza impugnata è censurata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere erroneamente interpretato la domanda giudiziale nel senso che si fosse lamentata la mancata assicurazione di ufficio della presenza di un difensore o di un rappresentante sindacale, mentre la ricorrente assume di aver sostenuto l’illegittimità del procedimento per la mancata indicazione nell’atto di contestazione delle guarentigie previste dalla legge a sua tutela;

il motivo va disatteso, in quanto, anche a voler ritenere che la censura della ricorrente fosse nel senso ora da essa propugnato, si tratterebbe di questione infondata, in quanto nessuna norma del procedimento disciplinare richiede l’indicazione espressa, nell’atto di contestazione, delle guarentigie difensive (assistenza di un procuratore o di un rappresentante sindacale) le quali, essendo chiaramente evidenziate dalla legge (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 5, nel testo ratione temporis rilevante), sono del tutto conoscibili e non travisa bili;

d’altra parte è ormai principio pacifico quello per cui, anche a fronte dell’omessa pronuncia, la Corte di Cassazione può limitarsi a integrare la motivazione, giungendo alla conferma della pronuncia di rigetto, ogni qual volta la questione non valutata da parte del giudice del merito non necessita di ulteriori accertamenti in fatto e risulti giuridicamente infondata (v., sotto diverse angolazioni, Cass. 28 giugno 2017, n. 16171; Cass. 1 febbraio 2010, n. 2313; Cass. 1 marzo 2019, n. 6145; Cass., S.U., 2 febbraio 2017, n. 2731);

pertanto l’infondatezza del motivo ne consente la reiezione a prescindere dal fatto che la sentenza impugnata non abbia preso posizione sulla specifica censura come qui esposta;

1.2 il secondo, terzo e quarto motivo sono rubricati con il richiamo all’art. 360 c.p.c., n. 5, ed all'”omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto determinante della controversia”, volta a volta individuato: nell’essersi ritenuta legittima la partecipazione al procedimento disciplinare di un soggetto (tale Dott.ssa L.) che non apparteneva all’ufficio per i procedimenti disciplinari (secondo motivo); nell’essersi ritenuta infondatamente ininfluente tale partecipazione della Dott.ssa L. nella formazione del processo decisionale (terzo motivo) e nell’essersi apprezzata la sussistenza degli addebiti esclusivamente sulla base del materiale offerto dal Ministero, senza considerare analiticamente tutte le altre risultanze decisive presenti in atti, la cui considerazione avrebbe portato ad una decisione di segno del tutto opposto (quarto motivo);

i motivi fanno riferimento ad un’ipotesi, quella dell’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto determinante della controversia, che non è più quella propria dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis alla presente causa e che è ora limitato dalla legge all’omesso esame di un fatto decisivo;

al di là di ciò, le censura sono comunque inammissibili anche da altri punti di vista;

1.2.1 rispetto alla partecipazione della Dott.ssa L. al procedimento disciplinare, la Corte d’Appello, dopo avere escluso che sussistesse un conflitto di interessi, avendo essa soltanto redatto materialmente i messaggi di sollecito all’invio delle informazioni richieste dal Ministero in punto spese dell’Istituto, ha comunque ritenuto che la stessa partecipò al procedimento “in qualità di esperta in materia contabile”, senza che la sua presenza abbia inciso sulle determinazioni assunte dal titolare dell’Ufficio Disciplinare;

tali conclusioni non sono intaccate dall’assunto, di cui al secondo motivo, a tenore del quale la Corte d’Appello non avrebbe potuto al contempo riconoscere la competenza disciplinare in capo ad un Ufficio e anche ad un soggetto – la Dott.ssa L. – che ad esso era estraneo;

sulla base di quanto appena riepilogato, è infatti chiaro che la critica mostra di non aver compreso il senso della decisione e quindi essa è destinata a dover essere valutata come priva di sostanza impugnatoria;

come detto, la Corte territoriale non ha affermato che la Dott.ssa L. avesse fatto parte dell’U.P.D., quanto piuttosto che essa partecipò esso come “esperta contabile” all’audizione dell’incolpata;

il ruolo della predetta fu dunque inteso come quello di una mera consulente rispetto all’ufficio disciplinare, le cui decisioni furono assunte in autonomia, il che esclude in radice la possibilità stessa di ravvisare la contraddizione che si è ritenuto di denunciare con il motivo in esame;

1.2.2 non diversamente, su tali presupposti, è parimenti ininfluente il fatto (di cui al terzo motivo) che gli interventi della Dott. L. in sede di audizione della O. siano stati tre o quattro (o più) o siano stati più o meno marginali; ciò che rileva è infatti la veste di mera consulente, valorizzata dalla Corte territoriale, la quale, in quanto tale, l’ha mantenuta estranea all’attività decisionale vera e propria dell’U.P.D., di cui soltanto è stata ritenuta operare in via ausiliaria e quindi con una connotazione che, in sè, non è stato oggetto di specifica censura in diritto da parte della ricorrente;

1.2.3 il quarto motivo contiene una denuncia ininfluente nella parte in cui si imputa alla sentenza impugnata di avere sottovalutato l’ammissione, contenuta nelle difese del Ministero, in ordine al fatto che dovesse essere il Consolato e non l’Istituto di Cultura a fornire la risposta al Ministero stesso;

ciò infatti non toglie che il ritardo nella risposta fosse da imputare alla O., che era tenuta, in ipotesi, ove essa non avesse proceduto a comunicare direttamente con il Ministero, a fornire allo stesso Consolato le informazioni utili a trasmettere tempestivamente la risposta;

il motivo prosegue poi, dopo avere riprodotto vari elementi istruttori, con l’affermazione secondo cui la “disamina oggettiva di tale quadro probatorio, considerato nel suo complesso” avrebbe reso palese che vi erano fatti decisivi ai fini della decisione viceversa trascurati dalla Corte di merito, riepilogati poi in riferimento ancora alla competenza consolare alla risposta, al fatto che il Consolato era stato avvisato che i dati erano in corso di predisposizione, tanto che vi erano stati ordini in tal senso all’interno dell’Istituto di Cultura impartiti dalla stessa O. e che fin dal 24 settembre vi era stata comunicazione al Console dei dati richiesti dal Ministero, come risultava da una nota in pari data del Console che faceva riferimento ad elementi forniti dal “contrattista con mansioni contabili dello stesso Istituto” e poi riscontrati ancora in data 25.10.2007, attraverso la “comunicazione di tutti i dati richiesti”:

da tali elementi, secondo la ricorrente, si doveva desumere che i dati erano stati appunto forniti al Console fin dal 24.9 ed erano stati oggetto di ulteriore riscontro con la comunicazione del 25.10.2007;

il motivo, nel suo complesso, propone una rivisitazione del merito, inammissibile come tale in sede di legittimità;

infatti, l’assunto secondo cui gli elementi forniti al Consolato dal “contrattista” dell’Istituto costituissero già adempimento agli obblighi informativi manifesta una lettura di tali circostanze che non necessariamente è decisiva (anche ai sensi e per gli effetti del vigente art. 360 c.p.c., n. 5) per la tesi della O., visto che lo stralcio istruttorio riportato (comunicazione del Console in data 24.9.2007) è formulato al condizionale e riguarda dati approssimativi (“dalle parole del contrattista “emergerebbero” impegni già assunti per un valore complessivo “vicino” ai 55.000 Euro”, si legge nello stralcio riportato nel motivo in esame) e non ancora una nota formale del direttore dell’Istituto d’altra parte, la comunicazione formale del 25.10, essendo intervenuta allorquando era stata già formata la nota di contestazione (che è del 22.10), risulta evidentemente inidonea a sopperire ad un ritardo già ritenuto censurabile;

1.3 le censure riguardanti la questione relativa alla sanzione disciplinare vanno dunque integralmente disattese;

2 i motivi dal quinto al nono riguardano invece la revoca dell’incarico di Direttore dell’Istituto Italiano di Monaco di Baviera.

2.1 in particolare il quinto motivo censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., sul presupposto che la sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunciare sulla denunciata violazione della L. n. 401 del 1990, art. 13, comma 3, secondo cui: “il personale in servizio presso gli istituti non può rimanere all’estero più di otto anni consecutivi, nè essere trasferito prima che siano trascorsi tre anni. I direttori non possono permanere nella stessa tede più di sei anni consecutivi”;

la ricorrente si affida alla predetta norma ritenendo che il richiamo del Direttore presso il Ministero si inquadri nell’esercizio dello ius variandi e dunque alla fattispecie generale dell’art. 2103 c.c., tale per cui il trasferimento deve fondarsi su uno specifico motivo tecnico, organizzativo e produttivo e comunque non potrebbe essere esercitato in assenza dei requisiti temporali stabiliti dall’art. 13 cit.;

l’impostazione non può essere condivisa;

come già ritenuto da questa Corte (Cass. 1 dicembre 2017, n. 28873), seppure nel contesto di un incarico a persona “di chiara fama” e dunque estranea al personale dell’Amministrazione, il conferimento della direzione degli,Istituti di cultura italiana all’estero ha carattere ampiamente discrezionale e fiduciario, in espressione diretta dei poteri-doveri di perseguimento delle finalità di diffusione della cultura e della lingua italiana, di sviluppo della reciproca conoscenza e della cooperazione culturale fra i popoli, nel quadro dei rapporti che l’Italia intrattiene con gli altri Stati, che della stessa L. n. 401 cit., art. 2, attribuisce al Ministero ed al Ministro, cui spetta direttamente la corrispondente nomina (L. n. 401 cit., art. 14);

la revoca dell’incarico per ragioni attinenti ai profili fiduciari di esso non ha dunque in tal caso valenza disciplinare, in quanto essa prescinde da un giudizio di disvalore sulla persona dell’interessato e si fonda, analogamente a quanto accade per i trasferimenti per c.d. incompatibilità ambientale (Cass. 26 ottobre 2018, n. 27226; Cass. 23 febbraio 2007, n. 4265), sull’apprezzamento di elementi oggettivi che, in ragione dell’ampia discrezionalità datoriale nel conferimento di quell’incarico, giustificano il provvedimento al fine di una migliore persecuzione dell’interesse pubblico;

la sentenza di appello del resto qualifica espressamente il provvedimento come di “revoca anticipata” dell’incarico conferito, con richiamo presso la sede centrale del Ministero, sicchè non può condividersi l’assimilazione ad un mero trasferimento;

è indubbio che, nel caso di personale dipendente del Ministero (a differenza del caso di incarico a terzi esterni di “chiara fama”) alla revoca dell’incarico non può che conseguire un mutamento del luogo di lavoro (qui, richiamo presso la sede ministeriale), ma ciò per effetto di un provvedimento caratterizzato da ampia discrezionalità, in ragione della natura marcatamente fiduciaria dell’incarico, da cui in via puramente consequenziale deriva l’effetto di trasferimento del lavoratore;

resta dunque fuori gioco l’art. 13, comma 3, cit., in quanto tale disposizione, come anche la contrattazione collettiva richiamata dalla ricorrente, riguarda gli ordinari trasferimenti disposti in ragione del normale evolversi di esigenze del servizio o di mobilità dl personale e non i trasferimenti che conseguono alla revoca dell’incarico di direzione dell’Istituto di cultura all’estero;

pertanto, stante l’infondatezza comunque dell’impostazione di cui si assume il mancato esame da parte del giudice del merito, vale anche in questo caso il principio per cui la censura di omesso esame ex art. 112 c.p.c., non può trovare accoglimento;

il motivo va dunque disatteso;

2.2 gli ultimi quattro motivi sono rubricati, uno (sesto motivo) come denuncia di motivazione apparente e i restanti ancora come “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto determinante della controversia”, richiamandosi, sempre con dizione non coerente rispetto alla versione della norma ratione temporis applicabile, l’art. 360 c.p.c., n. 5;

2.2.1 rispetto al sesto motivo va detto che, a fronte di argomentazioni della Corte di merito i cui contenuti sono assolutamente tangibili nella loro dinamica logica (la sentenza di appello ricostruisce in sequenza i concorrenti elementi giustificativi della revoca, facendo riferimento a carenze nella gestione amministrativa e contabile, a carenza nella gestione delle risorse umane ed a carenze nella gestione dei rapporti con gli interlocutori esterni, che poi descrive analiticamente in dettaglio) non è possibile sostenere l’apparenza della motivazione, la quale ricorre soltanto quando non sia percepibile il fondamento della decisione, perchè motivato sulla base di argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass., S.U., 3 novembre 2016, n. 22232);

il motivo contiene del resto al proprio interno interrogativi, dubbi, segnalazioni di asserite incompletezze che costituiscono sollecitazione ad una rilettura del merito, priva della caratura propria della denuncia di legittimità, propriamente intesa come inerente gli specifici vizi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1;

2.2.2 il settimo motivo sostiene poi che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare, nella propria motivazione, l’avvenuta archiviazione a favore della O. in sede di denuncia per danno erariale presso la Procura della Corte dei Conti;

si tratta di motivo inconferente, perchè il provvedimento della P.A., come anche poi la sentenza di appello, non fondano la revoca dell’incarico alla ricorrente su ammanchi o concreti danni patrimoniali cagionati all’istituto, quanto, come detto, su carenze gestionali e di conduzione in sè sole considerate;

2.2.3 l’ottavo motivo è invece incentrato sulla ricostruzione delle vicende attinenti alla trasmissione del bilancio di previsione per l’anno 2007, che la O. afferma essere stato inoltrato in realtà già fin dal 20 dicembre 2006;

la sentenza di appello, sul punto, afferma che il bilancio di previsione deve essere trasmesso entro il 20 ottobre dell’anno precedente a quello di riferimento, mentre per il 2007, il bilancio era stato tardivamente trasmesso il 17.4.2007 e, non essendo stato correttamente predisposto, fu reiteratamente oggetto di richiesta di nuove formulazioni, fino a quella poi approvata del 22.6.2007;

in tale quadro non si vede come possa rivestire portata decisiva (ancora sub specie del vigente art. 360 c.p.c., n. 5) il fatto che già nel dicembre 2006 fosse stato, comunque tardivamente rispetto alla scadenza, trasmesso un primo bilancio di previsione che tuttavia pacificamente necessitò poi di assestamenti e riformulazioni, fino a giungere alla data ultima di approvazione indicata dalla Corte d’Appello;

non vi è infatti ragione, nel quadro complessivo considerato dalla Corte di merito e sopra riepilogato, per affermare che la considerazione di quella trasmissione del dicembre 2006 potesse mutare alcunchè nel giudizio formulato;

2.2.4 il nono motivo consiste ancora nella riproposizione di un diverso giudizio di merito sui vari profili analizzati dalla Corte d’Appello con la già menzionata e non implausibile analisi;

in particolare, con riguardo ai rapporti con il personale la O. sostiene di non avere “ricevuto alcun tipo di lamentela” e che comunque “alle proclamate agitazioni nulla è mai seguito”, il che costituisce prospettazione di una diversa lettura di alcuni dati istruttori e della loro importanza, inidonea a scalfire l’argomentazione, di spettanza esclusiva della Corte di merito, rispetto alla sussistenza viceversa, di “denunce”, di un preannuncio di “un’azione sindacale” e di lamentale rispetto ad un “clima interno tutt’altro che migliorato” con “persistente difficoltà di dialogo”;

in relazione ai rapporti con le associazioni esterne e con l’organo elettivo di rappresentanza dei cittadini italiani all’estero, la ricorrente con il motivo in esame tende a sminuirne la rilevanza o ad attribuire a queste ultime la responsabilità per le relazioni non buone intercorse, proponendo ancora una diversa soluzione di merito, rispetto ad un’ampia motivazione della sentenza impugnata volta a porre analiticamente in evidenza le tensioni manifestatesi anche in questo settore;

3. il ricorso va dunque integralmente respinto, con regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese di giudizio che liquida in Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2019

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