Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30675 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 27/11/2018, (ud. 05/06/2018, dep. 27/11/2018), n.30675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Marcherita Maria – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21400-2016 proposto da:

TRENITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA BENEDETTO CAIROLI N.2, presso lo studio dell’avvocato ANGELO

ABIGNENTE, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.A., BA.TE., BA.EL., nella loro qualità

di eredi di BA.GI., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato

ANTONINO DIERNA, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato RENATO SPERANZONI, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 171/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 20/07/2016 r.g.n. 267/2013 Il P.M. ha depositato

conclusioni scritte.

LA CORTE, esaminati gli atti e sentito il consigliere relatore,

pronuncia la seguente ORDINANZA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza non definitiva pronunciati 30 marzo 2012 il giudice del lavoro di Venezia dichiarava che BA.Gi. aveva svolto dal 14 luglio 1999 mansioni inquadrabili nella nona categoria – quinta area quadri del contratto collettivo nazionale di lavoro personale Ferrovie dello Stato (poi area quadri livello a C.C.N.L. attività ferroviarie 2003 – professional senior) e che pertanto lo stesso aveva diritto ad essere inquadrato nel superiore livello dal 14 ottobre 1999, di modo che condannava la convenuta Trenitalia S.p.A. a corrispondere alle ricorrenti B.A., BA.Te. e El., che avevano agito quali eredi di BA.Gi., le differenze retributive tra la nona e la ottava categoria, con le incidenze su tutti gli istituti contrattuali anche differiti dal 16 ottobre 2003 sino al 28 ottobre 2010, oltre accessori di legge, da quantificarsi nel corso del giudizio. Infatti, le ricorrenti avevano dedotto che il loro dante causa, già inquadrato nell’ottava categoria – quinta area funzionale C.C.N.L. 6 febbraio 1998 e poi nell’area quadri – libello B, professional, ex C.C.N.L. 2003 aveva diritto ad essere inquadrato nel profilo di Capo settori uffici – nona categoria – quinta area funzionale C.C.N.L. FS del febbraio 1998 e, in base all’art. 13 dell’accordo di confluenza, nel profilo di professional senior – area quadri, livello A, C.C.N.L. 2003/2006, per avere svolto da 14 luglio 1999 le mansioni di responsabile del servizio di prevenzione e protezione. In seguito, con sentenza definitiva del 10 ottobre 2012, il giudice adito condannava Trenitalia S.p.A. al pagamento in favore delle ricorrenti della somma di Euro 43.159,06 per differenze retributive relative a competenze fisse, Euro 11.867,45 per differenze relative a competenze accessorie, Euro 6921,63 per rivalutazione e di Euro 6331,79 per interessi legali, oltre agli accessori successivi e al rimborso delle spese di lite.

Le anzidette sentenze venivano appellate da Trenitalia S.p.A. con ricorso del 9 aprile 2013, il cui gravame era rigettato dalla Corte d’Appello di Venezia come da pronuncia n. 171 del 24 marzo – 19 luglio 2016, notificata il 20 luglio 2016, quindi impugnata da Trenitalia S.p.A. con ricorso del 15 settembre 2016, notificato il successivo 16/20 settembre a mezzo posta, sulla scorta di tre motivi, cui hanno resistito B.A., nonchè BA.Te. ed El. mediante controricorso del 20 ottobre 2016.

Trenitalia S.p.A. ha depositato memoria illustrativa, ma fuori termine. Il Pubblico Ministero in sede, come da requisitoria scritta del 12 – 14 maggio 2018, ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo la società ricorrente ha denunciato falsa applicazione dell’art. 21 del contratto collettivo 16 aprile 2003 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, osservando in particolare che la situazione di fatto accertata era ben diversa da quella alla quale era stata applicata la richiamata disciplina contrattuale. La comunicazione di servizio del 12 settembre 1996 indicava i requisiti necessari per l’inquadramento nella 9^ categoria, richiedendo tra l’altro il possesso della laurea in ingegneria, chimica, chimica industriale o fisica, il che dimostrava la fondatezza della tesi della società, che già in primo grado aveva illustrato come normalmente i dipendenti Trenitalia svolgenti funzioni di RSPP fossero inquadrati nei livelli C e D, mentre il BA. muoveva dall’assunto, del tutto errato, secondo cui il lavoratore svolgente il ruolo di responsabile del servizio di prevenzione e protezione doveva rivestire, ipso jure, la qualifica di 9^ categoria, la quale, per l’effetto, non poteva essere riconosciuta sic et simpliciter ai suddetti responsabili. Inoltre, la comunicazione di servizio del 3 novembre 1997 era diretta a verificare l’esistenza di dipendenti già inquadrati nel nono livello, che, fermi i requisiti già indicati nella comunicazione di settembre 1996, e quindi in possesso di particolari titoli di studio, previo periodo di formazione, potevano essere destinati a compiti di responsabile di servizio di protezione. Entrambe le anzidette comunicazioni di servizio sono state integralmente allegate al ricorso, secondo cui di conseguenza, contrariamente a quanto ritenuto dall’impugnata sentenza, era stata applicata una disciplina contrattuale ad una situazione di fatto del tutto estranea alle previsioni del contratto collettivo. Già con il ricorso di appello era stata segnalata l’estraneità delle richiamate direttive interne, nella misura in cui miravano regolare situazioni temporalmente antecedenti di circa due anni all’attribuzione al BA. delle mansioni di responsabile del servizio di prevenzione, avvenuta il 14 luglio 1999. Con il secondo motivo è stata dedotta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., avendo posto la censurata sentenza a carico della società l’onere di allegare e provare che le disposizioni contenute nelle richiamate comunicazioni servizio non fossero più operanti: oltre a risultare evidente dal contenuto delle stesse che miravano a regolare situazioni contingenti, l’onere di provare l’esistenza e la operatività a distanza di due anni dall’assegnazione delle nuove mansioni al BA. ricadeva sulle parti attrici che ne avevano allegato l’esistenza.

Con il terzo motivo è stata dedotta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la erronea applicazione dell’art. 21 del contratto collettivo 16 aprile 2003, poichè dall’esame dei richiamati profili risultava evidente che quanto era stato accertato dalla Corte territoriale rientrava perfettamente nel profilo dell’ottava categoria, per cui non era dato comprendere come potesse essere applicato alla situazione di fatto accertata un inquadramento che richiedeva un diverso livello di autonomia e di responsabilità.

Secondo il Pubblico Ministero, il ricorso di TRENITALIA innesta la censura alla pronuncia della Corte d’Appello su di una sorta di travisamento del contenuto di alcune direttive interne della società, acquisite agli atti del giudizio di primo grado e di cui valore probatorio non sarebbe stato correttamente apprezzato dai giudici di merito, al punto da assumerne uno addirittura antitetico. In particolare, con riferimento al primo motivo di ricorso, la circostanza per cui la società poneva, in un documento inerente alla formazione di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il diploma di laurea quale titolo per la selezione non elideva di certo la fondamentale distinzione in base alla quale il “responsabile” del servizio di prevenzione e protezione era un lavoratore di profilo professionale di nona categoria, mentre gli “addetti” al medesimo servizio appartenevano all’area quadri – profilo professionale di ottava categoria. Dunque, secondo l’Ufficio requirente, al di là di ogni ragionevole dubbio, allorquando Trenitalia, dopo tre anni il suddetto documento, ebbe ad affidare al BA. la responsabilità del servizio di prevenzione e protezione intese perfettamente inquadrare le mansioni affidategli nel profilo professionale implicato dalla funzione assegnata, cioè la nona. Quanto al requisito del titolo di studio, lo stesso -contrariamente alla qualifica derivante dal contratto collettivo- rientrava nella piena disponibilità del datore di lavoro, non trattandosi nè di requisito legale, nè di condizione posta dalla contrattazione collettiva, sicchè costituiva elemento pienamente disponibile da parte della società, fungibile con una valutazione particolarmente positiva della capacità tecnica del lavoratore incaricato o del particolare legame fiduciario che ne caratterizzava le prestazioni.

Pertanto, del tutto inidonee a scardinare l’impianto argomentativo della sentenza impugnata risultavano le altre censure prospettate nel secondo e nel terzo motivo di ricorso. Infatti, ad avviso del Pubblico Ministero, appare ai limiti della comprensibilità il secondo motivo con il quale Trenitalia si doleva che il giudice di merito avesse ad essa addossato l’onere probatorio circa la superata vigenza delle comunicazioni servizio 12 settembre 1996 e 3 novembre 1997, trattandosi di un falso problema. Era come affermare che un documento, scrutinato per il suo valore probatorio, potesse avere, sotto tale profilo, un’efficacia limitata nel tempo. Invero, gli anzidetti documenti erano stati utilizzati dai giudici di merito per evidenziare come, ben prima della destinazione del BA. a responsabile servizio di prevenzione e protezione, la stessa società avesse considerato tale funzione pacificamente rientrante nella nona categoria contrattuale. Era del tutto ultroneo interrogarsi sulla perdurante operatività di documenti peraltro attinenti al profilo della formazione interna, ma che erano stati correttamente evocati quale supporto probatorio ai fini dell’inquadramento astratto della funzione.

Inoltre, ad avviso dell’Ufficio requirente, è del tutto inammissibile il terzo motivo di ricorso, con il quale si contesta genericamente ed in assenza di qualsivoglia supporto argomentativo, il risultato ermeneutico tratto dalla Corte distrettuale in ordine al grado di autonomia delle mansioni svolte dal lavoratore e il suo inquadramento nel corrispondente profilo professionale, per ciò che riguarda il grado di autonomia nello svolgimento della funzione stessa. Si tratta, infatti, di critica esterna alla valutazione del giudice di merito e di mera contestazione all’apprezzamento giudiziale, condotta attraverso l’inammissibile estrapolazione di un unico passaggio argomentativo della sentenza, mediante un deprecabile metodo atomistico che vorrebbe poter ricavare da una semplice frase o addirittura da una semplice aggettivazione (sarebbe mancata infatti la qualificazione di “ampia” all’autonomia decisionale) il preteso errore di diritto in cui sarebbe incorso il giudice di merito, metodo ovviamente del tutto estraneo al modello di impugnazione in sede di legittimità.

Tanto premesso, appaiono condivisibili le argomentazioni svolte con l’anzidetta requisitoria, alla stregua di quanto motivatamente accertato in fatto e motivato pure in diritto dalla Corte di merito con la sentenza de qua, pubblicata il 19 luglio 2016, impugnata da TRENITALIA soltanto in base alle succitate pretese violazioni di legge e di contrattazione collettiva, escluso quindi ogni errore di fatto per eventuale pretermissione di circostanze decisive nei sensi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella specie peraltro operante secondo l’attuale vigente formulazione).

Invero, a parte carenti allegazioni rilevanti ex art. 366 c.p.c., comma 1 (non risultando, in particolare, riprodotti adeguatamente il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio e delle difese opposte da parte convenuta, nè il tenore delle sentenze pronunciate in primo grado e nemmeno gli argomenti a sostegno del gravame interposto dalla società con il ricorso del 9 aprile 2013, però respinto con conseguenti conformità), va rilevato che la Corte distrettuale, previa esposizione dell’unico articolato motivo di appello, richiamata la contrattazione collettiva di riferimento, ratione temporis applicabile, unitamente alle corrispondenti declaratorie ed alle statuizioni della pronuncia ivi gravata, ha dato atto che quest’ultima, in particolare, aveva rilevato come la stessa parte datoriale avesse già riconosciuto, mediante comunicazioni interne prodotte dalla medesima resistente, che per il tipo di preparazione e di responsabilità andavano assegnati al ruolo degli “addetti” al servizio di prevenzione e di protezione gli impiegati della 8^ categoria e che invece al ruolo di “responsabile” dello stesso Servizio dovevano essere preposti gli appartenenti alla 9^ categoria (cfr. al riguardo Cass. lav. n. 23665 del 06/11/2014, secondo cui qualora il regolamento aziendale preveda, per una determinata posizione di lavoro, adeguatamente definita nel suo contenuto, una qualifica superiore a quella che conseguirebbe all’applicazione delle disposizioni dei contratti collettivi nazionale ed aziendale sull’inquadramento del personale, l’assegnazione di un lavoratore a detta funzione, dal medesimo accettata, determina il diritto dell’interessato al riconoscimento della qualifica in questione, quale qualifica convenzionale di miglior favore. In senso conforme v. anche Cass. lav. n. 3859 del 22/02/2006, secondo cui l’assegnazione di un lavoratore a detta funzione, dal medesimo accettata, determina il diritto dell’interessato al riconoscimento della qualifica in questione, quale qualifica convenzionale di miglior favore, dato che il regolamento aziendale – in tal caso contenente la promessa di conferimento di una determinata qualifica in corrispondenza di certe mansioni – diventa impegnativo nei confronti dei lavoratori attraverso la accettazione che essi ne facciano, anche implicitamente, e che fa riversare il loro contenuto nel contratto individuale. Nella specie, quindi, veniva confermata l’impugnata sentenza di merito, che aveva ritenuto legittima l’assegnazione al gruppo disciplina di un impiegato di settimo livello, prevista da un atto interno come l’organigramma aziendale, anzichè dal contratto collettivo. V. altresì analogamente Cass. lav. n. 10631 del 28/10/1997).

L’anzidetto espresso riconoscimento non poteva essere superato e rispondeva alla distinzione delle due declaratorie, per il maggior rilievo riconosciuto al ruolo funzionale del responsabile rispetto all’addetto e per la maggiore autonomia e discrezionalità riconosciuta. Inoltre, l’appellante non aveva fornito alcun elemento utile per poter escludere che le anzidette note interne avessero conferito all’interessato il diritto al riconoscimento da lui invocato. Infatti, non era rilevante di per sè l’asserita vetustà dei suddetti provvedimenti, ai quali il giudice adito aveva fatto riferimento, anzichè verificare in concreto le mansioni svolte, poichè con tali deduzioni l’appellante non aveva offerto valide spiegazioni da cui poter desumere che i provvedimenti non fossero più vigenti all’epoca dei fatti. La Corte di merito ha rilevato il dato pacifico in causa, costituito dal fatto che il BA. era stato formalmente nominato in data 14 luglio 1999 Responsabile del Servizio di Prevenzione e Sicurezza, anche soltanto sulla base dei succitati medesimi provvedimenti, che prevedevano l’attribuzione di un tale incarico a dipendenti inquadrati nella 9″ categoria e quello di addetti al Servizio al personale della 8^ categoria, di guisa che il BA. meritava l’invocato superiore inquadramento, cui aveva diritto, e non già a quello della 8^, cui formalmente apparteneva.

La Corte di merito ha rilevato, altresì, che risultava in atti dimostrato come BA.Gi. avesse svolto i compiti propri del Responsabile del Servizio di Prevenzione Protezione, con autonomia decisionale e assunzione della relativa responsabilità, proprie secondo le previsioni della 9^ categoria e non già della 8^, tenuto altresì conto di quanto previsto dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 9 all’epoca vigente (testo in vigore dal 27-11-1994 al 14-52008 – art. 9. Compiti del servizio di prevenzione e protezione: 1. Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede: a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale; b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive e i sistemi di cui all’art. 4, comma 2, lett. b) e i sistemi di controllo di tali misure; c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali; d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori; e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e di sicurezza di cui all’art. 11; f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’art. 21….), trattandosi comunque di precise competenze imposte dalla legge al Responsabile del Servizio di Prevenzione di Protezione, per giunta nello specifico in relazione alla complessità degli impianti adibiti alle attività di trasporto ferroviario, sicchè era da ritenersi che l’attività di ricerca, consulenza e redazione svolta dal responsabile fosse riconducibile alla notevole preparazione professionale ovvero a contenuti specialistici di particolare rilievo, propri della 9^ categoria dell’Area Quadri. Anche il teste Bo., dirigente dell’azienda convenuta, aveva dichiarato che il RSPP era suo diretto collaboratore e consulente, a conferma che il suddetto responsabile era figura apicale dell’Area Quadri, operando quindi anche con la massima autonomia propria dei Quadri. Ed in proposito è stata richiamata la sentenza n. 25100 del 24/10 – 27/11/2006, con la quale questa Corte rigettava il ricorso di RETE FERROVIARIA ITALIANA S.p.a., osservando in particolare: quanto alla autonomia e alla iniziativa del responsabile del servizio di prevenzione e protezione nella previsione del D.lgs. n. 626 del 1994, la sola qualificazione come responsabile evidenziava l’autonomia di questa figura professionale rispetto al datore di lavoro, non potendosi avere responsabilità senza autonomia decisionale, essendo, quindi, improponibile la tesi secondo cui il responsabile del servizio sia un mero organismo tecnico di supporto al datore di lavoro… (prosegue ancora Cass. lav. n. 25100/06: “… I compiti del servizio sono elencati dall’art. 9 come propri del titolare del servizio di p. e p. e non del datore di lavoro, per il quale si prevedono al comma 2 obblighi di informative nei confronti del servizio, previsione illogica se titolare del servizio fosse il medesimo datore di lavoro. Le censure poi alla interpretazione della declaratoria contrattuale del nono livello sono anche esse infondate. Infatti, si tratta del livello superiore dell’area quadri, al quale, come prevede la legge e ripete la declaratoria contrattuale, “si colloca in una posizione intermedia tra la struttura dirigenziale ed il restante personale”. Attesa tale collocazione, è palesemente insostenibile la tesi che il quadro di nono livello debba essere un alter ego dell’imprenditore, caratteristica che è propria non di tutti i dirigenti, ma soltanto del Dirigente apicale. Il rilievo che le attività del B. non avessero il carattere della novità ma si inserissero come prosecuzione e ripetizione di attività già svolte in precedenza nel servizio… ed è, comunque, irrilevante a stabilire la professionalità necessaria allo svolgimento dei compiti del responsabile del servizio di p. e p.. Infine, l’approvazione del Dirigente alle varie attività programmate dal quadro, dedotto con il secondo motivo, è la logica conseguenza detta collocazione gerarchica del quadro alle dipendenze i dirette del Dirigente, ma non incide sulla autonomia ed iniziativa del dipendente, trattandosi non di collaborazione del Dirigente alle attività del B., ma di controllo successivo di esse…”).

Pertanto, non sussistono le violazioni e le erronee applicazioni ipotizzate da parte ricorrente, la cui impugnazione va quindi respinta, con conseguente condanna di essa soccombente al rimborso delle relative spese, sussistendo altresì i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore di parte controricorrente, in Euro =3500,00= per compensi ed in =200,00= Euro per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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