Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30674 del 27/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 27/11/2018, (ud. 05/06/2018, dep. 27/11/2018), n.30674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Marcherita Maria – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12423-2016 proposto da:

TRENITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

S. MARIA MEDIATRICE 1, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO

BUCCI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.S., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI GRACCHI, 209, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA

PELLICCIONI, che li rappresenta e difende; giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6893/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/01/2016 r.g.n. 697/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 6893/05, pubblicata il 26 gennaio 2016 e notificata il 4 aprile successivo, in riforma della impugnata decisione, dichiarava il diritto degli appellanti C.S., + ALTRI OMESSI all’inquadramento superiore (quadri – 9^ categoria), secondo i livelli e le decorrenze per ciascuno di essi indicati, nonchè al pagamento delle conseguenti distinte differenze retributive, oltre che al rimborso delle spese, di lite, con distrazione a favore del procuratore antistatario dei medesimi appellanti;

la Corte capitolina riteneva errata l’interpretazione, restrittiva, della contrattazione collettiva operata dal giudice di primo grado circa le declaratorie ed i profili professionali di cui all’accordo sindacale del 1991, laddove era stata ritenuta necessaria la prova dello svolgimento di tutti i compiti previsti dalla declaratoria, perciò anche in relazione alla direzione di più unità;

detta interpretazione non veniva condivisa dalla Corte territoriale, con conseguente riforma della gravata pronuncia di rigetto, nel senso che per meritare l’invocato superiore inquadramento non occorreva necessariamente il congiunto svolgimento di tutte le mansioni contemplate dalla contrattazione, bastando anche il disimpegno soltanto di alcuni dei compiti previsti;

avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione TRENITALIA S.p.a., come da atto del 19 maggio 2016, affidato a sei motivi, cui hanno resistito gli intimati indicati in epigrafe mediante controricorso del 21 giugno 2016;

in seguito, le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO

che:

i motivi posti a sostegno del ricorso sono i seguenti:

1) violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., con riguardo alle declaratorie del 26 luglio 1991 (assunte a riferimento della sentenza impugnata), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nel senso che la Corte distrettuale aveva accolto le domande in base allo svolgimento di mansioni che, in realtà, erano proprie anche del profilo già rivestito dai lavoratori istanti e che, quindi, erano palesemente ed oggettivamente inidonee a fondare l’accoglimento del preteso inquadramento nella superiore 9^ categoria – capo settore macchine;

2) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto l’aver ritenuto decisivo, ai fini dell’invocato superiore inquadramento, lo svolgimento di mansioni proprie del profilo rivestito costituiva una chiara motivazione apparente o comunque inconciliabile con altra affermazione contenuta nella stessa sentenza, laddove erano state trascritte le declaratorie del capo deposito sovrintendente – 8^ categoria, così riconoscendosi che le attività di coordinamento, programmazione, organizzazione e controllo di interventi a carattere ordinario e straordinario erano proprie del profilo già rivestito e non solo di quello ambito;

3) violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., con riguardo alle declaratorie del 26 luglio 1991, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per cui, esaminate comparativamente le declaratorie concernenti la ottava e la nona categoria, il cui testo era quasi coincidente, differenziandosi soltanto per un paio di aspetti (maggiore autonomina per i dipendenti di 9^, essendo loro attribuito un potere di iniziativa con preposizione ad impianti di rilevante entità e/o complessità, mentre quelli di 8^ sono adibiti soltanto ad una singola unità), occorreva provare la sussistenza cumulativa sia del possesso di autonomia di iniziativa, sia la preposizione ad un impianto di unità organiche di rilevante importanza, ossia ad un settore, cioè ad un insieme di più uffici, tant’è che tutti i profili della 9^ categoria recavano la denominazione “capo settore”. Di conseguenza, una corretta interpretazione delle declaratorie avrebbe dovuto imporre al giudice d’appello di concludere nel senso che proprio quelli sopra indicati erano gli elementi differenzianti le due categorie e quindi i profili di capo deposito sovrintendente e di capo settore macchine. Del resto, gli intimati non erano preposti ad una struttura qualificabile come “impianto di rilevante entità e/o complessità”, come invece richiesto dalle declaratorie in questione;

4) violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4 stesso codice, per omesso esame di una eccezione in ordine ai lavoratori S. e B., laddove con la memoria di costituzione in appello era stato pure dedotto che le acquisite dichiarazioni testimoniali non potevano comunque riferirsi al periodo successivo al 2001, sicchè non avrebbero potuto riguardare le posizioni dei suddetti S. e B., in quanto lo svolgimento delle mansioni superiori da parte di costoro avrebbe avuto inizio, secondo le loro stese allegazioni, rispettivamente dal 2 maggio 2004 e dal 20 marzo 2005. Dunque, si intendeva far valere sia il vizio dell’omesso esame di tale eccezione, sia “quelli di omessa motivazione (nel nuovo testo del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.) e di violazione di legge operata dal giudice di appello nell’estendere la portata delle dichiarazioni testimoniali anche ad un periodo storico cui le stesse non si riferivano, anzichè affermare il difetto di prova in ordine alle domande dei due lavoratori sopra citati” (v. infatti il 5 motivo per omesso esame di un fatto decisivo che era stato oggetto di discussione tra le parti pgg. 60 e 61 del ricorso – sia il 6 motivo, illustrato alle pagine 61 e 62 in ordine a violazione o falsa applicazione degli artt. 2077,2103 e 2697 c.c.);

le anzidette doglianze vanno disattese in forza delle seguenti considerazioni;

quanto ai primi tre motivi, tra loro connessi e quindi esaminabili congiuntamente, nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento dei dipendenti la Corte d’Appello ha correttamente operato l’accertamento in fatto delle mansioni lavorative in concreto svolte dagli odierni controricorrenti, per individuare, in un secondo momento, le qualifiche previste dall’accordo sindacale del 26 luglio 1991, eseguendo, infine, il raffronto tra il risultato della prima indagine ed il testo della normativa contrattuale. D’altronde, l’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto, come nella fattispecie, da logica ed adeguata motivazione;

invero, la Corte capitolina ha ricavato il dato delle mansioni espletate dagli appellanti dalle testimonianze raccolte in giudizio, all’uopo riportate (testi F., Sa., Cu. e G.), in relazione alle declaratorie contrattuali per la ottava e la nona categoria, con particolare riguardo ai profili, rispettivamente, di capo deposito sovrintendente (il quale espleta la propria attività con compiti di coordinamento, programmazione, organizzazione e controllo di interventi a carattere ordinario e straordinario con riferimento ai mezzi e alle ricorse umane) e di capo settore macchine (che svolge attività di direzione di unità organiche di rilevante importanza; di vigilanza, coordinamento e controllo tecnico ammnistrativo su più unità organiche nel settore di appartenenza; di coordinamento, programmazione e controllo di interventi a carattere ordinario e straordinario con attinenza al traffico), giudicando quindi errata la lettura di tale normativa fornita dal giudice di primo grado, secondo il quale il capo settore macchine avrebbe dovuto svolgere cumulativamente tutte le attività elencate nel suddetto profilo, in quanto il distinguo fatto non poteva che essere letto in senso alternativo, cioè nel senso di essere sufficiente lo svolgimento solo di una delle attività indicate per poter riconosce il relativo inquadramento. Infatti, non poteva esservi il contemporaneo svolgimento dell’attività di direzione di unità organiche di rilevante importanza e quella di vigilanza, coordinamento e controllo tecnico-ammnistrativo su più unità organiche nel settore di appartenenza, poichè questo settore ben avrebbe potuto essere un’unità organica di non rilevante importanza. Di conseguenza, era da ritenere sufficiente lo svolgimento dell’attività di coordinamento, programmazione, organizzazione e controllo di interventi a carattere straordinario con attinenza al traffico, così come provato nel corso del giudizio (dall’esame della prova testimoniale era emerso che gli originari ricorrenti, quali addetti di turno al DCTR preposto a monitorare l’andamento della circolazione, avevano svolto tale attività nel periodo in esame… garantivano che tutti i treni fossero dotati dei necessari mezzi di trazione, controllavano il chilometraggio per cui la locomotiva doveva sottoporsi alla manutenzione ciclica e in caso di avarie disponevano le misure necessarie per togliere il mezzo dalla circolazione e avviarlo all’officina, provvedendo quindi alla sostituzione. Alla luce di quanto esposto non vi è dubbio alcuno che gli appellanti abbiano svolto mansioni rientranti nella 9^ categoria – profilo di capo settore macchine); che l’anzidetto motivato accertamento in punto di fatto è insindacabile in sede di legittimità;

che in proposito l’anzidetta interpretazione appare anche immune da errori di diritto, nei sensi di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., tenuto conto che la declaratoria di riferimento unitamente allo specifico profilo esaminato non autorizza, pure alla stregua del loro complessivo dato testuale, ad intendere come necessario il congiunto espletamento di tutti i compiti ivi previsti;

peraltro (v. Cass. lav. n. 27430 del 13/12/2005) “in sede di interpretazione delle clausole di un contratto collettivo relative alla classificazione del personale in livelli o categorie, ha rilievo preminente, soprattutto se il contratto ha carattere aziendale, la considerazione degli specifici profili professionali indicati come corrispondenti ai vari livelli, rispetto alle declaratorie contenenti la definizione astratta dei livelli di professionalità delle varie categorie, poichè le parti collettive classificano il personale non sulla base di astratti contenuti professionali, bensì in riferimento alle specifiche figure professionali dei singoli settori produttivi, che ordinano in una scala gerarchica, ed elaborano successivamente le declaratorie astratte, allo scopo di consentire l’inquadramento di figure professionali atipiche o nuove (con specifico riferimento ai rapporti di lavoro dei ferrovieri, si è anche parimenti affermato da Cass. lav. n. 1093 del 24/1/2003, che “in sede di interpretazione delle clausole di un contratto collettivo relative alla classificazione del personale in livelli o categorie, ha rilievo preminente, soprattutto se il contratto ha, come nella specie, carattere aziendale, la considerazione degli specifici profili professionali indicati come corrispondenti ai vari livelli, rispetto alle declaratorie contenenti la definizione astratta dei livelli di professionalità delle varie categorie, poichè le parti collettive classificano il personale non sulla base di astratti contenuti professionali, bensì in riferimento alle specifiche figure professionali dei singoli settori produttivi, che ordinano in una scala gerarchica, elaborando successivamente le declaratorie astratte, allo scopo di consentire l’inserimento di figure professionali atipiche o nuove – in senso conforme v. pure Cass. lav. n. 11461 del 18/11/1997, nonchè Sez. 6 – L, ordinanza n. 3547 del 23/02/2016);

in definitiva, le censure appaiono inconferenti, sia perchè non scalfiscono la “ratio decidendi” basata sull’interpretazione dei profili professionali di riferimento, giusta la corrispondente contrattazione collettiva, sia perchè attraverso le stesse si tenta una inammissibile rivisitazione del materiale istruttorio non consentita in sede di legittimità. Infatti, il secondo motivo verte essenzialmente sulla non condivisa valutazione delle risultanze testimoniali, che hanno consentito alla Corte territoriale di acquisire elementi utili alla verifica delle mansioni espletate in concreto dai lavoratori e sul conseguente inquadramento delle stesse nella corrispondente categoria rivendicata di cui al suddetto accordo sindacale. Non va, invero, dimenticato che in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Nella specie, per giunta, è ratione temporis applicabile (essendo stata la sentenza de qua pubblicata nel gennaio dell’anno 2016) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, attualmente vigente, sicchè può rilevare soltanto la (eventuale) omessa considerazione di un fatto, in senso storico, decisivo, mentre la motivazione di per sè può comportare la cassazione della decisione impugnata soltanto ove inferiore al c.d. minimo costituzionale, però con esclusione di ogni sindacato di merito sull’apprezzamento del fatto stesso compiuto dal giudice precedentemente adito (cfr. sul punto, tra le altre, Cass. 3 civ. n. 11892 del 10/06/2016: il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

– che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio -, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. In senso pressochè conforme, Cass. sez. un. civ. nn. 8053 e 8054 del 2014. V. ancora Cass. sez. un. civ. Sez. n. 22232 del 03/11/2016: si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione. Per contro, alla stregua delle ampie argomentazioni svolte nella sentenza qui impugnata, le stesse all’evidenza ne rendono agevolmente comprensibile nella specie la ratio decidendi, sicchè va senz’altro esclusa l’ipotizzata apparenza adombrata con il secondo motivo, laddove d’altro canto nemmeno è dato cogliere la contraddittorietà ivi pure adombrata, avendo invece correttamente riportato la Corte di merito le due declaratorie ed corrispondenti rispettivi profili in discussione, che non sono identici nella loro formulazione, ma si differenziano per il fatto che l’attività ivi delineata è riferita per il capo deposito sovrintendente ai soli mezzi e risorse umane, mentre quella del capo settore macchina, inerente alla 9^ categoria ha attinenza al traffico, ossia alla circolazione dei treni);

infine, vanno analogamente disattese gli ultimi tre, connessi, motivi di ricorso, laddove in effetti TRENITALIA finisce con il pretendere in sede di legittimità una diversa valutazione in punto di fatto, sebbene limitatamente alle sole posizioni degli intimati S. e B., rispetto a quanto invece accertato e opinato dalla Corte di merito, indistintamente per tutti gli attori, però distinguendo le rispettive decorrenze ai fini dell’invocato superiore inquadramento, sicchè valgono le precedenti osservazioni, soprattutto per quanto concerne l’impossibilità di ravvisare al riguardo vizi rilevanti ex art. 360, n. 5 nella fattispecie qui in discussione (peraltro, il vizio di omessa pronuncia, causativo della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., non si configura allorquando il giudice di merito non abbia considerato i fatti secondari dedotti dalla parte, non concernenti, cioè, alcun fatto estintivo, modificativo od impeditivo della fattispecie costitutiva del diritto fatto valere; in tal caso, è integrato il diverso vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 nella misura in cui il giudice abbia omesso la considerazione di fatti rilevanti ai fini della ricostruzione della “quaestio facti” in funzione dell’esatta qualificazione e sussunzione “in iure” della fattispecie – v. in tal sensi Cass. 3 civ. n. 22799 del 29/09/2017. Conforme Cass. n. 17698 del 2011. Cfr. altresì Cass. 2 civ. n. 1539 del 22/01/2018, che nel rigettare il ricorso avverso sentenza pubblicata il 26/01/2012 – con conseguente applicazione del previgente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – chiariva la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – applicabile ratione temporis -, nel senso che, mentre nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa – e, quindi, nel caso dei motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello – nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia);

non sussiste, pertanto, nel caso di specie alcuna ipotesi di omissione rilevante ex art. 112 c.p.c. e ex art. 360 c.p.c., n. 4, mentre le altre doglianze si risolvono in effetti nelle contestazioni di merito circa la rilevanza probatoria di quanto al riguardo ritenuto, per contro, dimostrato dalla Corte distrettuale alla stregua delle succitate acquisite testimonianze, ed esclusa l’applicazione di ogni principio di parità di trattamento (contrariamente a quanto invece pure sostenuto da parte ricorrente al riguardo), laddove inoltre è anche inconferente l’asserita violazione dell’art. 2697 c.c., norma che disciplina unicamente gli oneri probatori di parte – nella specie comunque non violati – e non già il contenuto degli elementi all’uopo complessivamente acquisiti, la cui valutazione in proposito spetta, come è noto, esclusivamente al giudice di merito, nella specie quello superiore, di secondo grado, che ha ritenuto pertanto motivatamente di riformare la gravata pronuncia con l’accoglimento delle domande de quibus, nei limiti in narrativa precisati;

pertanto, la ricorrente, essendo rimasta soccombente, va condannata al rimborso delle ulteriori spese per questo giudizio di legittimità, ricorrendo altresì i presupposti di legge per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore di parte controricorrente, in Euro =3500,00= per compensi ed in =200,00= Euro per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con attribuzione all’avv. Patrizia Pelliccioni, procuratrice antistataria costituita per i suddetti controricorrenti. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018

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